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Orrore, di Pietro Grossi. Feltrinelli, € 14, pp. 140 |
Gli
scrittori e il mistero (del processo creativo, della magione
infestata che è la mente umana): cronaca di una lunga e tormentata
storia d'amore. Sono autori di best-seller i protagonisti dei
kinghiani Misery, La finestra segreta, La metà
oscura; altra addetta ai lavori
anche Delphine De Vigan, che in Da una storia vera si
raccontava in un mystery a tinte saffiche fra autobiografia e
finzione. Ultimo nome all'appello, a proposito di variazioni sul
tema, è quello del nostro Pietro Grossi: in passato edito dalla
selettiva Sellerio, premiatissimo, qui alla sua ottava fatica. È la
prima volta con un genere a cui il titolo allude chiaramente:
l'horror. È la prima volta che lo leggo, io che a pane e horror sono
invece cresciuto. Cosa c'è dietro quella copertina dall'aria
spaventosa? Cosa si nasconde oltre l'uscio di una casa nel bosco da
esplorare da cima a fondo, mossi dalla stessa curiosità che nei
proverbi delle nonne uccide il gatto? Orrore,
più vicino all'estensione del racconto lungo che del romanzo, è
un'altra storia che parla di ispirazione mancata e scrittura, in cui
autore e narratore sin dall'inizio si confondono per precisa volontà.
A raccontarsi è un anonimo padre di famiglia felicemente stabilitosi
negli Stati Uniti – lo stesso Pietro, vorrebbe dirci la suggestione
– che all'indomani della nascita dell'adorato primogenito, di
ritorno in Italia per le vacanze di Natale, si mette in cerca di un
posto nel mondo, di un obiettivo a lungo termine, dell'idea per un
nuovo romanzo. È l'ispirazione stessa, a sorpresa, a raggiungerlo.
Galeotta una sera a cena con Diego e Lidia, una storica coppia di
amici che fra una chiacchiera e l'altra condivide con il protagonista
un'inquietante scoperta: accanto alla loro villetta in alta montagna,
un autentico paradiso per villeggianti, c'è una casetta a tratti
abbandonata, a tratti in perfetto stato d'uso.
Se
solo. Di tutti i momenti per cui da anni mi maledico, questo è
l'unico indipendente da me e da qualunque mia volontà. Dunque, il
più immacolato. […] Se solo. Tre semplici, striscianti sillabe,
capaci di sgretolare esistenze come termiti in una trave di legno.
Fare
irruzione è un gioco da ragazzi – anche se sono lontani, ormai, i
tempi dei giornaletti per adulti rubati in edicola e poi letti di
soppiatto sull'argine del fiume. Il vecchio mulino è una costruzione
in pietra, con all'interno un tavolino da caffè tirato a lucido,
nonostante l'usura generale, e un giornale di dieci anni prima; un
disegno infantile sul frigorifero lasciato acceso e una serie di
maschere di cartapesta, a tema satanico, in esposizione; un bagno
pieno di materiale ospedaliero, come il laboratorio di un moderno
Dottor Frankenstein. Il narratore si improvvisa investigatore
privato. Chi sono i proprietari di quel casolare che confina con un
fiume, e con l'incubo? Dopo l'effrazione ha allora inizio la parte
difficile: osservare, aspettare. In nome dell'ossessione. In nome
delle ombre che l'uomo si porta dentro, e che all'improvviso lo
rendono tutt'uno con la natura del bosco: la pazienza del predatore,
lo sguardo attento del detective, risvegliano presto un morboso
istinto animale. Metafora, forse, della fatica dello scrivere – un
abisso in cui guardi, per dirlo alla Nietzsche, a costo che l'abisso
guardi poi a sua volta dentro di te?
Sei
soltanto curioso, ecco cosa sei. E lo sei sempre stato, questo te lo
concedo. Hai sempre voluto guardare cosa c'è un po' più in là. E
qual era il più naturale luogo in cui guardare oltre la luce che
circondava la tua casa e la tua famiglia? Il buio. Vedevi luce e
felicità ovunque e ti sei fatto incuriosire dalle ombre.
La
missione notturna dell'alter-ego di Grossi corrompe i sogni e i
ricordi, rovina le feste a una famiglia altrimenti realizzata;
prevede nomi rigorosamente puntati, per proteggere la privacy di
figuranti che si confondono fra veri e fittizi, e il rivolgersi a un
tu (il figlio del protagonista) nella tipica prassi delle lettere
aperte. Spettava a un autore affermato, a un editore importante,
liberare l'horror dalla presunta serie B? Orrore è
in realtà una lettura da ombrellone rapida e piuttosto accattivante,
che lascia misteri irrisolti e qualche sincero dubbio sulla propria
efficacia. Scritto sì bene, ha un paio di ottime intuizioni, ma
risulta senza infamia né lode. I personaggi ci restano pressoché
sconosciuti; le pagine, già poche di per sé, si concedono un paio
di attimi di lentezza di troppo. Lecito aspettarsi di più. Da quella
Feltrinelli che non tratta narrativa di genere, di solito, e che a
scatola chiusa faceva confidare in una giustificata eccezione alla
regola. Da uno scrittore, benché da me scoperto soltanto ora, che
sulla fiducia ho immaginato qui non al suo meglio. La nebulosità e la
confusione, infatti, sono quelle degli incubi di cui al risveglio
facciamo fatica a ricordare il finale; quelle di esperimenti, di
piccoli brividi, dal successo frammentario.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Negramaro - Sing-hiozzo
Ciao Michele, sono felice che comunque ti sia piaciuto di più rispetto a me. Hai fatto riflessioni veritiere e hai colto il meglio. Anche se non mancano i Ma. Come scrivi tu, un autore che sicuramente non ha dato il meglio.
RispondiEliminaA presto, Baba Desperate Bookswife
Ciao, Baba! Per fortuna sì, alla fin fine poco ha lasciato, ma si è lasciato leggere senza dispiaceri, e con un filino di inquietudine.
EliminaNe ho sentito parlare bene, vedrò di recuperarlo più avanti.
RispondiEliminaSono in un momento in cui mi tocca prendere libri di seconda mano per poter leggere.
Ci sono acquisti più necessari, caro Pirkaf, o comunque più intelligenti. Vai tranquillo.
EliminaNon lo conoscevo ma non mi convince granché. Copertina inquietante :)
RispondiEliminaC'è di meglio (e di peggio, vabbe'). :)
EliminaI Negramaro come commento sonoro di un libro che si chiama Orrore mi sembrano appropriati, ahahah XD
RispondiEliminaCATTIVO!
EliminaVisto in giro non mi convinceva a pieno. Ora sono certa che passerò oltre, vista la pila infinita di arretrati ;)
RispondiEliminaStefi
Dedicati a quelli, meglio. ;)
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