La
camicia pareva pesante, ma poi Ennis si accorse che all'interno ce
n'era un'altra, con le maniche accuratamente infilate dentro quelle
della camicia di Jack. La sua vecchia camicia scozzese persa tanto
tempo prima: sporca, con il taschino strappato, i bottoni saltati,
rubata e nascosta. Eccole là, come due pelli,
una nell'altra.
Titolo:
Gente del Wyoming – I segreti di Brokeback Mountain
Autrice:
Annie Proulx
Editore: Dalai Editore
Numero
di pagine: 51
Prezzo:
€ 9,30
Sinossi:
In
Gente del Wyoming,
Annie Proulx, che ormai si è affermata come una delle poche e
indiscussi eredi della grande tradizione narrativa nordamericana, è
riuscita a fare un piccolo miracolo. L’intreccio è una specie di
ingranaggio esplosivo. I due personaggi centrali sono uomini
semplici, rudi cowboy abituati alle lunghe solitudini delle
transumanze e dei pascoli estivi. Nel desolato paesaggio, tra i due
gradualmente si accende una passione erotica, una vera pulsione
amorosa. Siamo però nel cuore dell’America tradizionale, dove i
ruoli sessuali sono rigidi e le identità tagliate a colpi di accetta
e di autocensure. Questo sentimento “proibito” è quindi
destinato a scatenare conflitti, che sconvolgeranno tutto il loro
mondo. Da questo romanzo e’ stato tratto il film di Ang Lee
“Brokeback Mountain”, vincitore del Leone D’Oro alla Mostra del
cinema di Venezia 2005.
La recensione
Tutto
costruito su quello. Fai il conto di quanti pochi minuti siamo stati
insieme, in vent'anni. Io non sono te. A me non bastano un paio di
scopate ad alta quota un paio di volte l'anno.Tu sei troppo
importante per me, Ennis, figlio di una puttana troia. Vorrei
riuscire a mollarti.” Sono due poveri diavoli, in cerca di un
impiego per l'estate. Si scrutano furtivamente, appoggiati ai loro
pick up rugginosi, e si domandano senza dirselo se troveranno un
punto in comune, spunti per fare quattro chiacchiere, in quei tre
mesi di solitudine, in alta montagna. Sono giovani mandriani, con
ancora le facce belle della gioventù, ma le mani già segnate per la
fatica dei campi: conservano banconote in un barattolo, sognando di
mettere su famiglia e di essere proprietari di un piccolo
appezzamento di terra; finalmente, non più schiavi. Fuori,
tutt'intorno, la natura mostra i suoi volti nascosti, con il sole
battente, la grandine all'improvviso, la neve ad agosto. Dentro, in
una tenda, nel frattempo, Ennis Del Mar – tanto secco che, se non
fosse per gli stivali pesanti, potrebbe soffiarlo via il vento - e
Jack Twist – i denti a zappa, i fianchi larghi, la cintura con la
fibbia dei rodei - scoprono la loro, di natura. In quell'estate di
fatica e passione che va a intaccare, così, vent'anni e due vite
parallele. Un avvenire intriso di malinconia che vive di rari
incontri, spizzichi e bocconi, immensi rimpianti. Struggendosi nel
ricordo di un fazzoletto di terra, un ruscello, un misero sacco a
pelo contro la tempesta. Tutto quello – ed era poco, pochissimo –
di cui c'era bisogno per volersi bene alla luce del sole. Brokeback
Mountan potrebbe smettere di essere una bolla di sapone, un'isola che
non c'è, se tutti sanno – lo raccontano, nelle bettole, contadini ciarlieli – qual è il destino degli uomini
che vivono senza donne, nel sospetto perenne del vicino di casa? Un
acro di felicità vale forse una vita piena di bugie? Per tutto il
tempo, allora, i due immensi protagonisti si fronteggiano, tremanti.
Gli speroni piantati a terra, le braccia ai lati, per prendere
pistole – o scudi, ché a volte serve solo proteggersi –
invisibili. Lo sguardo rassegnato, ma fiero. Occhi che sembrano
lampeggiare e dire: ora lo stritolo, lo ammazzo. Ora lo bacio. Il
cuore vuole una cosa, il corpo un'altra. Messi alle strette, l'uno si
adatta all'altro. Sembra tutto facile, no? Quest'anno, I segreti
di Brokeback Mountain compie dieci anni. All'epoca ero bambino,
frequentavo la quinta elementare, forse la prima media, e la storia
dei due cowboy innamorati mi faceva ridacchiare. Se solo fossi stato
a conoscenza, invece, delle lacrime e dei nervi, ogni volta, in
agguato... Era il duemilacinque. Grandi attori avevano rifiutato il
ruolo, troppo forte l'imbarazzo, e il dramma declinato al maschile di
Ang Lee era stato sottoposto a una censura tanto inspiegabile quanto
spietata. Tante cose sono cambiate, per fortuna, anche se il film,
vietato ai minori di quattordici anni, con l'America che ha detto sì e
Facebook che si è tinto di arcoboleno per qualche giorno, è tutt'ora
destinato a repliche in tarda serata, su canali secondari.
Quando invece vent'anni fa, dunque dieci anni prima, un altro cowboy romantico ci aveva mostrato, anche se con toni più melensi, qualcosa di simile: l'acre faccia del rimpianto. I ponti di Madison County, come il più impegnato Brokeback Mountain, è il ritratto dell'amore che, a un bivio, aspetta che la vita – lenta, inesorabile come un camion dal carico pesante – liberi il passaggio a due che, da un lato e l'altro della strada, si guardano senza potersi raggiungere. In mezzo, un mare di pedoni che giudicano senza clemenza e schiere di coniugi che non possono chiudere un occhio una volta di troppo. Sergio Leone, parlando di Eastwood, lo diceva dotato di due espressioni messe in croce: con e senza il cappello. Ennis Del Mar ha un cappello per tutte le stagioni, invece, e una sola espressione – è rassegnato; è stato un bambino triste e un adulto a metà – ed è perciò che strazia quando, nei suoi occhi, spunta un luccichio, nella scena in cui – dopo quattro anni – rivede Jack. Lo aspetta con addosso il completo buono: un jeans senza toppe, una camicia stirata a puntino da Alma, la moglie. Lo chiama piccolo mio, in quell'intimità spiata da una partner giustamente sospettosa, giacché non conosce tenerezze, burbero e pragmatico com'è, se non quelle che rivolge alle sue figlie. E' giusta la sua tristezza? E' giusta quella di una moglie che lo ama – una dolcissima Michelle Williams – ma che deve accettare di condividerlo con un altro? Heath Ledger, qui, e per questo la sua scomparsa è così dolorosa, è come il giovane Eastwood secondo Leone, ma migliore. Laconico, scostante, fedele come un cane pastore. Sembra mettersi meno in gioco, non tenere altrettanto a quel Gyllenhaal chiacchierone e solare; meno angosciato senz'altro, quest'ultimo, da una sessualità che, probabilmente, per lui non era un mistero da un po'. Il Jack Twist sempre in moto, sempre innamorato. Bisognoso di certezze e piani di riserva – ad esempio, una compagna intelligente e capace come quella Anne Hathaway in carriera. Ma, come gli rivela nell'ultimo, indimenticabile confronto, è per Jack che Ennis ha messo in pausa matrimonio e lavoro.
Per potere scattare alla porta, pimpante e puntuale, sentendo scricchiolare il suo camioncino sulla ghiaia del vialetto di casa. Allora non resta che l'eco di quella dannata armonica scordata e due camicie, appese sulla stessa gruccia, mai lavate, che sopravvivono, insieme a una cartolina, alla maledizione dei compromessi e perfino a loro stessi. Fu pioggia di candidature e qualche statuetta guadagnata – anche se sembra eccessiva quella a un Ang Lee con un progetto sì coraggioso, ma una regia, purtroppo, poco più che modesta; i pugni chiusi di Heath Ledger, straordinario, meritavano indubbiamente riconoscimenti più del resto – per un film storico: una delle ingiustizie più grandi commesse dall'Academy – quell'anno, gli preferirono il dimenticabile Crash – e tra le storie d'amore più commoventi del decennio passato. Alla sua base, il racconto asciutto, rapido e indolore di un'autrice Premio Pulitzer. Un'attenta descrizione di quello che succede intorno a loro, fuori, ma non di inquietudini laceranti e battiti mancati. Più cronaca che narrazione, dunque, laddove abbondano le descrizioni paesaggistiche e scarseggiano, sfortunatamente, gli stati d'animo. Scene in rapida sequenza; dialoghi calzanti, ripresi per filo e per segno nel lungometraggio. Ma non ci si sbilancia, non si dice altro che non si sappia già. Li ha sentiti più Lee – a cui tanto si può rimproverare, ma non un'emozione latitante: in caso contrario, fatevi controllare il cuore; c'è qualcosa che non va – che la Proulx. Valida narratrice, non aiutata da quelli che per me sono i pochi pregi e i molti difetti della dimensione del racconto. C'è però la verosimiglianza. La realtà rude che il cinema poi finisce per abbellire – vedi i protagonisti, scelte secondarie della produzione, quasi ultime ruote del carro, che sono (o erano) tra gli attori più corteggiati e richiesti – e il sentimento che la grazia dell'immagine e la forza di interpretazioni maiuscole, poi, acuisce. E' così breve, è cosi veloce, che – leggendolo – non si immagina di trovarsi davanti a una storia grande, entrata immediatamente, di petto, nell'immaginario collettivo. Avendo visto già il film, sembra un riassunto. Un racconto basato su una sceneggiatura, e non viceversa. Se la lettura non è imprescendibile, la visione sarà al contrario necessaria – stessa cosa, lo scorso anno, avevo detto parlando del deludente romanzo che aveva ispirato, negli anni novanta, il triste randez vous tra Eastwood e la Streep. La vita è breve, l'amore è lungo. Ma, accanto alla persona sbagliata, nel letto sbagliato, accade il contrario. Gli aggettivi si invertono. La vita si allunga a dismisura – e come passarla, se sei condannato a una gioia clandestina? - e l'amore si accorcia – in incontri tra amanti pieni di vergogna, e in sprazzi di libertà che ti fanno sentire contento e colpevole. Non sprecate un attimo, perciò.
Quando invece vent'anni fa, dunque dieci anni prima, un altro cowboy romantico ci aveva mostrato, anche se con toni più melensi, qualcosa di simile: l'acre faccia del rimpianto. I ponti di Madison County, come il più impegnato Brokeback Mountain, è il ritratto dell'amore che, a un bivio, aspetta che la vita – lenta, inesorabile come un camion dal carico pesante – liberi il passaggio a due che, da un lato e l'altro della strada, si guardano senza potersi raggiungere. In mezzo, un mare di pedoni che giudicano senza clemenza e schiere di coniugi che non possono chiudere un occhio una volta di troppo. Sergio Leone, parlando di Eastwood, lo diceva dotato di due espressioni messe in croce: con e senza il cappello. Ennis Del Mar ha un cappello per tutte le stagioni, invece, e una sola espressione – è rassegnato; è stato un bambino triste e un adulto a metà – ed è perciò che strazia quando, nei suoi occhi, spunta un luccichio, nella scena in cui – dopo quattro anni – rivede Jack. Lo aspetta con addosso il completo buono: un jeans senza toppe, una camicia stirata a puntino da Alma, la moglie. Lo chiama piccolo mio, in quell'intimità spiata da una partner giustamente sospettosa, giacché non conosce tenerezze, burbero e pragmatico com'è, se non quelle che rivolge alle sue figlie. E' giusta la sua tristezza? E' giusta quella di una moglie che lo ama – una dolcissima Michelle Williams – ma che deve accettare di condividerlo con un altro? Heath Ledger, qui, e per questo la sua scomparsa è così dolorosa, è come il giovane Eastwood secondo Leone, ma migliore. Laconico, scostante, fedele come un cane pastore. Sembra mettersi meno in gioco, non tenere altrettanto a quel Gyllenhaal chiacchierone e solare; meno angosciato senz'altro, quest'ultimo, da una sessualità che, probabilmente, per lui non era un mistero da un po'. Il Jack Twist sempre in moto, sempre innamorato. Bisognoso di certezze e piani di riserva – ad esempio, una compagna intelligente e capace come quella Anne Hathaway in carriera. Ma, come gli rivela nell'ultimo, indimenticabile confronto, è per Jack che Ennis ha messo in pausa matrimonio e lavoro.
Per potere scattare alla porta, pimpante e puntuale, sentendo scricchiolare il suo camioncino sulla ghiaia del vialetto di casa. Allora non resta che l'eco di quella dannata armonica scordata e due camicie, appese sulla stessa gruccia, mai lavate, che sopravvivono, insieme a una cartolina, alla maledizione dei compromessi e perfino a loro stessi. Fu pioggia di candidature e qualche statuetta guadagnata – anche se sembra eccessiva quella a un Ang Lee con un progetto sì coraggioso, ma una regia, purtroppo, poco più che modesta; i pugni chiusi di Heath Ledger, straordinario, meritavano indubbiamente riconoscimenti più del resto – per un film storico: una delle ingiustizie più grandi commesse dall'Academy – quell'anno, gli preferirono il dimenticabile Crash – e tra le storie d'amore più commoventi del decennio passato. Alla sua base, il racconto asciutto, rapido e indolore di un'autrice Premio Pulitzer. Un'attenta descrizione di quello che succede intorno a loro, fuori, ma non di inquietudini laceranti e battiti mancati. Più cronaca che narrazione, dunque, laddove abbondano le descrizioni paesaggistiche e scarseggiano, sfortunatamente, gli stati d'animo. Scene in rapida sequenza; dialoghi calzanti, ripresi per filo e per segno nel lungometraggio. Ma non ci si sbilancia, non si dice altro che non si sappia già. Li ha sentiti più Lee – a cui tanto si può rimproverare, ma non un'emozione latitante: in caso contrario, fatevi controllare il cuore; c'è qualcosa che non va – che la Proulx. Valida narratrice, non aiutata da quelli che per me sono i pochi pregi e i molti difetti della dimensione del racconto. C'è però la verosimiglianza. La realtà rude che il cinema poi finisce per abbellire – vedi i protagonisti, scelte secondarie della produzione, quasi ultime ruote del carro, che sono (o erano) tra gli attori più corteggiati e richiesti – e il sentimento che la grazia dell'immagine e la forza di interpretazioni maiuscole, poi, acuisce. E' così breve, è cosi veloce, che – leggendolo – non si immagina di trovarsi davanti a una storia grande, entrata immediatamente, di petto, nell'immaginario collettivo. Avendo visto già il film, sembra un riassunto. Un racconto basato su una sceneggiatura, e non viceversa. Se la lettura non è imprescendibile, la visione sarà al contrario necessaria – stessa cosa, lo scorso anno, avevo detto parlando del deludente romanzo che aveva ispirato, negli anni novanta, il triste randez vous tra Eastwood e la Streep. La vita è breve, l'amore è lungo. Ma, accanto alla persona sbagliata, nel letto sbagliato, accade il contrario. Gli aggettivi si invertono. La vita si allunga a dismisura – e come passarla, se sei condannato a una gioia clandestina? - e l'amore si accorcia – in incontri tra amanti pieni di vergogna, e in sprazzi di libertà che ti fanno sentire contento e colpevole. Non sprecate un attimo, perciò.
Per
dire “Jack, io giuro”, usate questa vita. Usate questo amore.
Il
libro: ★★★
Il film: 8
Il
mio consiglio musicale: Gustavo Santaolalla - The Wings
Il film è splendido, ogni volta che ci ripenso mi salgono le lacrime agli occhi! *___*
RispondiEliminaVero. Un po' per il finale struggente, un po' per quel Ledger che ancora non riesco a perdonare. Davvero un talento sprecato, il suo. Poteva diventare il più grande.
EliminaIl film è davvero bello, ogni volta che mi capita di sentirne parlare ripenso alla tragica fine del suo protagonista e mi intristisco.
RispondiEliminaIl racconto pensavo valesse di più onestamente, sulla fiducia do merito ad Ang Lee per aver saputo conferire più splendore alla storia.
Anche con Vita di Pi - che piaccia o meno, e a me piace molto - Lee ha operato un'ottima trasposizione. Anche se il libro di Martel, tra favola e romanzo d'avventura, non è da meno. Si può parlare male giusto del suo Hulk.
EliminaVita di Pi è una gioia per gli occhi Michè! ;)
EliminaNon ho letto il libro, ma ricordo bene le lacrime alla fine del film. Struggente davvero.
RispondiEliminaEh...
Eliminaadesso posso piangere?
RispondiEliminaUn fazzoletto per Chicca, prego. :)
EliminaBellissimo film, il libro non sapevo nemmeno che fosse di un'autrice Premio Pulitzer.
RispondiEliminaLa Proulx, sempre indirettamente, la conosco per un altro romanzo diventato film: The Shipping News, con la Blanchett, la Moore e, mi pare, Kevin Spacey. Anche in quel caso, dramma notevolissimo; il libro - racconto? - non saprei...
EliminaBellissimo The shipping News! (era Kevin Spacey, sì). Nemmeno ricordavo che il libro, iniziato ma non finito perchè lo stile dell'autrice non mi prendeva per nulla, fosse della Proulx.
EliminaScusate l'intromissione!
Figurati, Tessa! Mi appunto di rivedere il film, allora, e di lasciare perdere il romanzo.
EliminaFinalmente un'analisi profonda e degna di questo capolavoro!
EliminaQuesto film mi ha distrutto, mi ha veramente fatto sentire come se mi stessero cavando lo stomaco.. l'ho visto da poco, e quando ho saputo che era stato trattp da un racconto breve ho voluto subito leggerlo. Direi che si completano benissimo, il libro asciutto e un po'rude come i personaggi, il film struggente ed efficace, pur essendo basato in gran parte su sguardi, piccoli gesti e poco più..
La mia prima reazione è stata pensare che non fosse assolutamente giusto.. irrazionale se volete, ma ci speravo che andasse a finire bene. Non ho trovato consolazione in niente, ed è proprio per questo che dico che sono efficacissimi come storia e messaggio, sia il libro che il film.
Bellissimo film, concordo in pieno con la citazione de I ponti di Madison County, che idealmente può essere associato al lavoro di Lee.
RispondiEliminaProprio vero. Anche il senso delle ceneri da spargere, di ritornare dove tutto ha avuto inizio... Due bellissimi film, anche se, a volte, in Eastwood il commento musicale era un po' stucchevole, secondo me. Non so. Al tempo, magari, andava.
EliminaFilm stupendo e libro pure.. mi hai fatta quasi piangere sul finale, un applauso per te perché non ho affatto la lacrima facile! ;-)
RispondiEliminaMa grazie!
EliminaIl film lo vidi per la prima volta su Rai2, era censurato e poi lo ritrasmisero XD
RispondiEliminaUna storia molto bella e sentita, anche se drammatica sotto diversi profili.
Moz-
Drammaticissima.
EliminaLa censura - ma anche il semplice bollino rosso, in questo caso - sono cose davvero inspiegabili. Oltretutto, non si vede niente, neanche un nudo parziale, per tutto il film. E non parlo da spettatore abituato agli eccessi stravaganti di Shameless. Insomma, in Italia siamo "inguaiati". ;)
E mi torna il magone. Al pensiero del film, meraviglioso, e al pensiero di quell'attore scoperto per caso con Casanova e poi seguito e inseguito fino alla morte. Amato e odiato, soprattutto in Paradiso + Inferno, in cui avrei ucciso il suo personaggio con le mie mani...
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