mercoledì 11 settembre 2024

La letteratura in streaming: Kaos | Dostoevskij | Feud: Capote vs. The Swans

Cospirazioni, tradimenti coniugali, sangue, famiglie. Esiste forse intrattenimento più contemporaneo e accattivante di quello offerto dalla mitologia greca? A partire da una intuizione elettrizzante, Kaos porta in scena i personaggi più amati del mito calandoli nella Creta odierna. Gli dei esistono, sono tra noi e, come sempre, mettono lo zampino negli affari mortali. C'è chi, però, ha smesso di temerli. Il Zeus di un esilarante Jeff Goldblum trema di rabbia e frustrazione, con la segreta paura di essere esautorato. Chi sta tramando contro di lui? Come può gestire la convivenza forzata tra cretesi e troiani, se ha difficoltà perfino a farsi obbedire dalla gelosissima moglie Era o da Dioniso, il più spiantato dei suoi figli? Saga familiare ultraterrena, eccezionalmente raccontata da un Prometeo già prigioniero, questa prima stagione (confidiamo, per favore, in un tempestivo rinnovo) tira in ballo anche un trio di mortali dal ruolo cruciale: Arianna, figlia del Presidente Minosse, che questa volta non ha bisogno di nessun Teseo; Euridice, stanca di essere cantata dall'egoista musicista Orfeo; Ceneo, ex amazzone con disforia di genere. Profondamente umani nella caratterizzazione, toccanti e in crisi esistenziale, i nostri eroi si muovono tra le Moire e le Erinni, la terra e l'aldilà, con una domanda: si può cambiare un destino già profetizzato? Corali, spassosi, kitsch con gusto, gli episodi non ha bisogno di effetti speciali per incantarci: la magia è nella scrittura di Charlie Covell, che brilla di equilibri indovinati e di un irresistibile humour inglese. Dopo tanti passi falsi, Netflix tira dal cilindro una serie finalmente all'altezza delle aspettative. Kaos, chicca imperdibile, fa con la mitologia quello che Romeo + Giulietta fece con Shakespeare. (7,5)

Dopo il successo di Valeria Golino, anche Fabio e Damiano D'Innocenzo tornano al cinema con una serie TV. Lenti, sgradevoli, più oscuri che mai, i gemelli romani ci mettono alla prova con un crime in due atti in cui qualcuno potrebbe vedere la risposta italiana a True Detective. Sono cinque ore di cinema d'autore. Di quello lento, pesante, disperato, tipico di alcuni festival di nicchia. La scena clou della prima parte? La colonscopia particolareggiata a cui viene sottoposto il protagonista: un cattivo detective, colpito dalle dipendenze e dal fallimento familiare, di cui sondare le viscere per sincerarsi del marcio. Sbirro e assassino, infatti, condividono gli stessi demoni. Il serial killer, ribattezzato Dostoevskij per le lettere nichiliste seminate sulla scena del delitto, diventa l'ossessione del nostro antieroe. La morte può diventare una ragione di vita? Nei polizieschi c'è sempre il momento in cui la polizia si muove nel buio. I D'innocenzo immortalano quel brancolare: i tentennamenti, le ipotesi, i buchi nell'acqua. E in quel buio si scavano la tana, inventando una sfumatura di nero che prima non c'era. L'ultimo atto vola, più spedito, più corale, più incalzante, ma non ci sono notti bianche all'orizzonte. Non sarebbe stato possibile condensare tutto in un film? Sì, ma sarebbero venute meno le sequenze descrittive in cui il Lazio sembra il Midwest; l'amicizia sincera di un commovente Vanni e la hybris di Montesi, giovane leva con tutto da da perdere. Condannato a un'oscurità eterna, Dostoevskij si rivela il nostro Prisoners: un delitto senza castigo in cui la voce bellissima e cavernosa di Timi, qui in stato di grazia, risuona tra le bettole della povera gente, nelle memorie del sottosuolo, nel nostro buio più inconfessabile. (8)

Le parole possono tutto. Perfino uccidere. Lo sapeva bene Truman Capote: reduce dal successo di A sangue freddo, cercava ispirazione per il suo prossimo bestseller tra i salotti e i ristoranti dell'alta borghesia. Cinico e pettegolo, lo scrittore omosessuale era la mascotte di un gruppo di donne facoltose ma infelici: le chiamava i cigni. A conoscenza dei loro più sordidi segreti, lo scrittore le sburgiarderà per scrivere Preghiere esaudite: una di loro, disperata, si toglierà la vita. In cambio della gloria, Capote perderà la loro amicizia. E l'anima. Dopo averci raccontato la lotta tra Crawford e Davis, due dive sul viale del tramonto, la serie antologica torna con la consueta classe a svelarci un altro scandalo americano: questa volta si passa dal cinema all'editoria. Splendidamente diretta da Gus Van Sant, pur contando su un eccezionale cast femminile, la serie è una vetrina per mettere in luce il genio e la sregolatezza dello scrittore in confidenza con James Baldwin e in contrasto con Gore Vidal: già portato al cinema più volte, trova nell'interpretazione di un irriconoscibile Tom Hollander la sua incarnazione più spumeggiante. La qualità è alle stelle. Ma, a differenza della prima stagione, questa appare più rigorosa e meno fruibile dai profani; più un biopic, l'ennesimo, che un prodotto corale e femminista. Splende la sola Naomi Watts, l'amica prediletta, che ci regala una delle performance migliori della sua carriera con il personaggio di una donna divorata dal cancro e dalla nostalgia, ma pur sempre piena di decoro; degno di nota il cameo spettrale di mamma Jessica Lange. Questi cigni vittima della monotonia incantano per eleganza, ma hanno un becco che non morde. Lontani dall'orbita di Capote, con una faida già persa in partenza, faticano a volare. (6)

4 commenti:

  1. Kaos è un'ottima serie, con mia somma sorpresa, visto che mi immaginavo qualcosa di molto più trash :)
    E sì, il paragone con Romeo + Juliet ci può stare.

    Dostoevskij la attendo con curiosità, e un pochino di preoccupazione, visto che i D'Innocenzo sono capaci di grandi cose, come Favolacce, e decisamente meno grandi, come America latina.

    Di Feud non avevo retto la prima stagione, però questa seconda ora che dici che è diretta da Gus Van Sant un pochino mi incuriosisce...

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    1. Feud è snob e acida quel tanto che basta da piacerti. E poi c'è Naomi, splendida come lo era stata soltanto in Lynch probabilmente.

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  2. Sono riuscita a bucare tutte le proiezioni al cinema di Dostoevskij, bella l'idea delle serie TV al cinema, ma se poi non riusci a incastrare le due parti che fai? Ne vedi metà e aspetti?
    La aspetto con un po' più di entusiasmo su Sky.

    Con un po' più di entusiasmo domani inizierò Kaos, mi fido perché vedo che avevamo le stesse titubanze per un titolo che sembra l'ennesimo guilty pleasure di Netflix.

    Feud, di cui mi manca ancora la prima stagione e il grande classico di cui si parlava, è finito in fondo alla classifica dei recuperi viste le opinioni fredde. Prima o poi, con calma.

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    1. Kaos bombetta. Ti divertirai tanto, soprattutto a cogliere le citazioni sparse.

      Di Feud ti consiglio nuovamente la prima stagione: bellissima e intrigante. Un po' noiosa questa, ma che classe.

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