Quando
insegnavo a Ortona, si percepiva l'eco della sua notorietà. Rocco
Siffredi era un supereroe. Piace, dunque, la scelta
di raccontarlo come il personaggio di un fumetto: il suo potere lo porterà lontano. Lo interpreta
Alessandro Borghi, bravissimo nel catturarne l'accento e la risata
nasale; impavido, e a giusta ragione, nel nudo.
Sentimentale e animalesco, provinciale e cosmopolita, raccoglie le confessioni dell'uomo dietro il pornodivo: Siffredi è
stato un funambolo sospeso tra eros e thanatos; uno degli ultimi
testimoni di una generazione folle e trasgressiva, cannibalizzata
dall'ignoranza verso la malattia (ruba la scena l'amica storica Moana Pozzi,
dagli occhi tristi e dalle parole sibilline). Ottimamente recitata,
ma didascalica e discontinua, la serie Netflix si affida troppo al
talento dei protagonisti. Delude la sceneggiatura, che parla poco di sessualità; molto di famiglie disfunzionali; troppo di
piccola criminalità (il fratellastro Giannini ha una storyline inutilmente ampia). Pop ma seriosi,
gli episodi non hanno né la malinconia decadente di Shame,
né la verità di Pleasure.
Risultano superflui nelle tinte crime e frettolosi nell'epilogo.
Affascinanti, invece, i personaggi femminili: donne fittizie
(fatta eccezione per la moglie Rosa), che incarnano nei corpi e negli
sguardi diverse facce del desiderio, dell'amore, dell'intimità. Se
la modella Linda Caridi si conferma incantevole, a restare impressa è
la cognata Jasmine Trinca: irraggiungibile, è l'occasione mancata,
il chiodo fisso, una vittima del maschilismo che ne ha fatto una
prostituta anziché una diva. In una storia di “cazzi e pistole”,
insomma, hanno la meglio gli occhi delle donne. Bramati, pretesi, mai
compresi (a partire da quelli, inflessibili, di una madre in lutto),
fotteranno perfino colui che voleva fottere il mondo. (7)
È
in Alaska, in un periodo dell'anno in cui la notte si confonde col
giorno e il gelo è perpetuo, che prende le mosse la quarta stagione
di True Detective. Questa volta è tutta al femminile e le
tinte, con tanto di citazione al classico di John Carpenter in
apertura, sono ineditamente horror. È pur sempre un poliziesco
classico, solido: non aspettatevi il paranormale. I fantasmi sono
quelli della solitudine e della malattia mentale. La suggestione è
legata al folklore della comunità Inuit. Il caso, spaventoso, ruota
attorno alla morte per congelamento di un gruppo di scienziati:
analizzavano i ghiacci in cerca di un miracoloso microrganismo. Chi o
cosa hanno scomodato con le loro ricerche? Come sono legati
all'omicidio irrisolto di una giovane attivista in lotta contro la
miniera locale? Indagano la rediviva Foster e la rivelazione Reis: la
prima ex mangiatrice di uomini segnata dalla tragedia, l'altra sbirra
spirituale e anticonformista, hanno età e metodi agli antipodi. Le
uniranno un segreto scomodo, la solidarietà tra donne e una giovane
leva da guidare, interpretata da un bravissimo Finn Bennett che,
seppure in sordina, ruba spesso la scena alle due giganti. Più
lineare e meno prolissa delle stagioni precedenti, si imbastardisce
un po'. Accetta le contaminazioni, il femminismo hollywoodiano, le
riflessioni ecologiste. I fan coi paraocchi, uomini in maggioranza,
la stroncano. Ma, pur non essendo memorabile, si difende benissimo
schierando un duo affiatato, ambientazioni affascinanti e,
soprattutto, una dimensione familiare e umana che, a dispetto delle
temperature artiche, la rendono la stagione più calorosa delle
quattro. (7)
Le
esistenze di tre donne si intrecciano a Hong Kong. In Cina c'è aria
di rivolta. I giovani, barricati sotto gli ombrelli, condividono
slogan e canzoni. Sono in rivolta anche le protagoniste (una
americana, una indiana, una coreana), che mettono tutto in
discussione all'indomani di una tragedia. Meglio tornare indietro o restare? Antipatiche,
privilegiate, talmente umane da apparire sgradevoli, sono pessime nei
rapporti interpersonali: le colf, viste ora come confidenti e ora
come rivali, gestiscono case e famiglie al posto loro. Il quinto
episodio, quasi un film a sé stante, si apre ai ritornelli dei
manifestanti, alle nostalgie delle domestiche, ai comprimari
nell'ombra. I restanti, meravigliosamente diretti da Lulu Wang,
costituiscono un reticolo di femminilità a confronto. In questa
miniserie, destinata a restare tra le migliori dell'anno, c'è chi ha
perduto un figlio, chi non lo vuole, chi lo aspetta ma da un amante
occasionale. Dolorosamente bello, il dramma di Expats
mostra le risate isteriche in obitorio, gli incantesimi del make-up
per nascondere i lividi della violenza domestica, i pianti catartici
che spezzano le maledizioni. Amiche per affinità, nemiche per caso,
le attrici protagoniste fanno a gara di intensità. E Nicole Kidman, qui struggente mater dolorosa, è così
solidale da permettere alle sorprendenti Serayu Rao e Ji-young Yoo di
brillare. Inscenato su uno sfondo esotico, il loro ritorno alla vita
si interroga sul significato della parola “casa”; riempie i
silenzi con le canzoni di Blondie, Adele e degli Abba; insegna che il
dolore e il senso di smarrimento, così come certi misteri, non
saranno mai archiviati. Ci si può convivere: a patto di non tremare
quando non vedremo più la terraferma all'orizzonte. È lungo, il
viaggio dell'elaborazione. Ma, costrette insieme a bordo, Nicole e le
altre si scopriranno non più straniere a loro stesse. (8)
Cosa
ci fa una scienziata alla conduzione di un programma di cucina per
casalinghe disperate? Cos'è accaduto affinché una donna solitaria, fredda e
razionale si trovasse (autentico scandalo, nei rigidissimi anni
Cinquanta) con una figlia a carico e senza un marito? Scopritelo in
una serie dolcissima e di buoni sentimenti, di cui invidierete gli
outfit dai colori pastello e gli appassionati monologhi sul female
empowerment. Certo, a volte la carne al fuoco risulta troppa:
femminismo, questione razziale, origini familiari; all'appello c'è
perfino un episodio raccontato dal punto di vista di un cagnalone
divorato dai sensi di colpa. Ma in Lezione di chimica, dramedy
ispirata all'omonimo bestseller edito Rizzoli prontamente finita fra
le mie preferite del 2023, l'attrice Premio Oscar Brie Larson si
rivela essere una padrona di casa arguta e volitiva, a cui vorrete in
fretta un gran bene, e il romantico collega Lewis Pullman una
rivelazione ingiustamente snobbata nella stagione dei premi maggiori.
La scienza non ha tutte le risposte. In una reazione chimica contano
anche l'inevitabile, l'inatteso. E in un incontro, in un amore, conta
sempre la predestinazione. La miniserie Apple TV è un chicca per gli
spettatori nostalgici di The Marvelous Mrs Maisel, ma anche
anche gli orfani inconsolabili di This is us. Ci troverete
la stessa energia, la stessa magia. (7,5)
Con Supersex mi sono fermata alla prima puntata, ho serie difficoltà a capire cosa dicono i personaggi e mi pare una fiction Rai con qualche scena di sesso. Di True Detective mi manca l'ultima puntata ma, dopo i primi due episodi folgoranti, mi si è raffreddato (ahah) l'entusiasmo, anche se Jodie Foster è favolosa.
RispondiEliminaVolevo vedere Supersex, più che altro per curiosità e per la prova di Borghi, ma non ho molta simpatia per il personaggio che interpreta, quindi boh, magari finirà come recupero dell'ultima ora.
RispondiEliminaNon sono un fan sfegatato con i paraocchi (credo almeno), ma sono fra quelli che ha stroncato True Detective 4 non tanto in riferimento alle passate stagioni, o ai cambiamenti, ma proprio perché mi ha annoiato. Mi è sembrato che dal primo al 6 episodio fosse tutto un riempitivo.
Salto Expats perché voglio vederla.
Ottima la Larson in Lezioni di Chimica, ma io avrei dato 7: la puntata con il cane parlante che racconta, di nuovo, quello che era successo, non può che far scendere il voto
Supersex per me è sì, ma la risata nasale di Alessandro Borghi anche no :D
RispondiEliminaNight Country parte bene, poi perde un po' di colpi... Mezza soddisfazione e mezza delusione, diciamo
Lessons in Chemistry un po' troppo classica per i miei gusti. Non malvagia, però a tratti mi ha annoiato
Expats ancora mi manca. Non mi ispirava troppo, ma quasi quasi vado di recupero ;)