A
che serve l'ennesimo biopic, per di più con The Crown in
corso d'opera, sull'icona più famosa al mondo? Ultimo ritratto di
signora per Pablo Larraín, Spencer racconta i tre giorni di
agonia di un matrimonio lungo dieci anni; la donna in pezzi prima del
mito inscalfibile. Diana festeggia il Natale in un castello stregato
in cui i riscaldamenti sono sempre spenti, le ceneri dei vecchi
regnanti ricoprono ogni cosa e i servitori, invitati al silenzio,
sono schierati come un esercito. Ma, aggrappata alla tazza in
ghingheri come una sposa, Diana vomita, disobbedisce e semina
dissensi: il suo tormento si manifesta con l'autolesionismo. In una
scena già cult, si strappa la collana e ingoia le perle insieme a
una zuppa immangiabile. Favola nera o forse horror dell'anima, il
film è una psichedelia di danze, spettri e fagiani dove tutto, fatta
eccezione per l'epilogo, è gelo. In questo inferno di ghiaccio,
Kristen Stewart si rivela una scelta tanto azzardata quanto vincente:
sorprendente con accento british, presta gli occhi malinconici e il
temperamento nervoso a una figura in tensione perenne, in grado di
sciogliersi soltanto al cospetto dei figli e di Sally Hawkins; i
costumi da Oscar fanno il resto. Si può fuggire a un destino
segnato? C'è spazio per i miracoli, in un mondo in cui perfino i
bambini sono educati alla violenza della caccia? Per fortuna il buon
cinema tutto può. Il qui e ora non esistono, sussurra Diana:
passato, presente e futuro sono la stessa cosa. Il tempo si fonde
come in Dalì, allora, e attraverso questo magma Diana Spencer può
andare incontro alla vita (e alla morte) nei luoghi in cui è stata
bambina spensierata. È possibile la stessa felicità? Basta lasciare
in pegno il vestito buono agli spaventapasseri e, fanculo il mondo,
inseguire «gli amori, lo shock e le risate». (7,5)
Dopo
Cuarón, Almodóvar e Sorrentino (anche Spielberg è atteso al varco
con un'operazione simile), è il turno di Kenneth Branagh:
riacciuffare una carriera ondivaga al suono di ricordi agrodolci. Il
tutto rigorosamente in bianco e nero, con una fotografia talmente
incantevole da essere degna del cinema Pawlikowski. Siamo
nell'Irlanda degli anni Sessanta. Il piccolo alter-ego del regista si
difende con uno scudo di latta dai draghi, dai drammi familiari,
dagli sconvolgimenti politici. Benché molto preso dalle scorribande
e da una coetanea, è impensierito da una serie tematiche: i
genitori, sommersi dai debiti, meditano di andare altrove; i nonni,
anziani, seminano perle di saggezza e preoccupazioni; le strade, un
tempo familiari, ospitano barricate durante gli scontri tra
protestanti e cattolici. Ogni elemento è al posto giusto,
selezionato per non scontentare: mamma e papà sono di un'avvenenza
fuori dal comune anche quando discutono (Caitríona Balfe è, a onor
del vero, intensissima), gli anziani brontolano da Oscar
(inspiegabile il casting di Ciaràn Hinds, di vent'anni più giovane
della Dench e invecchiato malamente a colpi di trucco), le visite al
cinematografo offrono significativi squarci di colore al biancore
generale. Ma in Belfast, purtroppo, è tutto talmente
attrattivo da risultare furbetto, patinato, piatto. Ogni anno c'è un
film che sembra accontentare tutti tranne me: questo sarà l'anno di
Branagh, con la pellicola più sopravvalutata e, forse, premiata
della stagione. Un pugno di cartoline provenienti da un'infanzia così
artefatta da sembrare di nessuno. (5,5)
L'ascesa
di Venus e Serena Williams dal punto di vista dell'uomo che le ha
messe prima al mondo, poi sui campi da tennis (solitamente
appannaggio dei ricchi bianchi privilegiati): Richard, il loro papà.
Ambientato nei primi anni Novanta, con le campionesse poco più che
bambine, questo biopic tanto classico quanto appassionante mette in
scena i sacrifici, l'orgoglio e lo spirito di abnegazione di una
famiglia vincente. Padre di cinque figlie femmine, il protagonista ha
un piano per ognuna di loro: cambieranno il mondo e si salveranno dal
ghetto. Ma la perdizione esiste soltanto nel loro quartiere, o anche
nelle competizioni del circuito professionistico? Solido nella prima
parte, in cui prevale la grazia della dimensione corale, il film
perde qualche colpo nella seconda: più concentrata sugli esordi di
Venus, fa porre qualche domanda sulla condotta del genitore. La loro
è una famiglia o un team? È giusto predisporre il futuro dei figli
ancora prima che nascano? Quelli di Richard erano sogni o ossessioni?
Disinteressata ad approfondire le controversie sul papà-manager,
Hollywood sceglie per la vicenda un taglio fiabesco e toni bonari.
Non stupisce, allora, la scelta di Will Smith come protagonista:
idolo di generazioni vicine e lontane, qui spiegazzato come non mai,
rispolverara i discorsi motivazionali del set di Muccino e punta
facilmente agli Oscar. Pregi e difetti di un dramma sportivo senza
ombre e con una morale sul valore dell'umiltà (non secondaria, però,
al divertimento), che piace anche ai profani. (6,5)
Agli
spettatori italiani Lucille Ball e Desi Arnaz diranno pochissimo.
Star di una sitcom degli anni Cinquanta, erano i nostri Sandra e
Raimondo. L'ultimo film del sempre bravissimo Sorkin è un biopic che
ce li mostra a un crocevia: accusata di simpatizzare per il
comunismo, Lucille fa i conti con i tradimenti del marito e una
seconda gravidanza. Come mandare avanti comunque lo show? Nonostante
Javier Bardem sia una spalla esemplare, Being the Ricardos è
una masterclass tutta al femminile. Già anima della sitcom
originale, Lucy diventa ancora il fulcro del tutto: Sorkin la mostra
dagli esordi fino alla retrocessione in radio, in preda al fervore
delle riprese e durante le tensioni del quotidiano. Buffa sul set, tutta smorfie e gridolini, nel privato era una padrona di casa perfezionista, polemica e
sbloccata. Contestatissima da alcuni spettatori, una Nicole Kidman fresca di
Golden Globe incarna entrambe le anime del personaggio alla
perfezione e strega con un mimetismo che le arrochisce la voce e
stravolge il viso (più del chirurgo, sì). La vicenda ha scarso
appeal, soprattutto per il pubblico straniero? La struttura a
tasselli non appare sempre funzionale? Se amate le grandi performance
e i grandi autori, sedetevi ugualmente in poltrona e applaudite
Sorkin. La sua è una commedia elegante, pulita, all'apparenza
semplicissima. Ma, proprio come I Love Lucy, di quella
semplicità che soltanto i set collaudati sanno rendere nascondendo
gli sforzi del cast sotto il tappeto. (7)
Mi incuriosisce tantissimo Spencer, ma ho letto su internet che la data di uscita è stata posticipata.. speriamo invece arrivi presto :)
RispondiEliminaSì, rimandato a data da destinarsi, causa contagi!
EliminaDa vedere, possibilmente in lingua originale. ;)
Stavolta non collimiamo... a me "Spencer" non è piaciuto (e te lo dice uno che considera Larraìn uno dei più grandi registi contemporanei). L'ho trovato un film che non va oltre il personaggio, ben lontano dalla filmografia corposa e politica del regista cileno. Brava la Stewart, ben girato, ma interesse zero. Ci sta.
RispondiEliminaInvece ho apprezzato "Belfast". Condivido, è un film ruffiano e paraculo... però è fatto davvero bene. Le emozioni che sprigiona sono autentiche. Io a Belfast ci sono stato, molti anni fa, e quello che racconta il film è assolutamente aderente al vero: il clima era ancora molto difficile anche passato tanto tempo dai fatti descritti. Mi ci sono ritrovato e mi ha coinvolto.
p.s. King Richard spero di vederlo in settimana...
A qualche giorno dalla visione, confesso che Branagh non mi ha lasciato proprio nulla. E mi dispiace, perché io e il protagonista abbiamo moltissimo in comune...
EliminaTroppa forma soffoca la sostanza, a differenza che nell'ultimo Mike Mills: non memorabile, a parere mio, però più spontaneo nel raccontare l'infanzia (in b/n).
Non ti è piaciuto Belfast? What?!?
RispondiEliminaE' piaciuto persino a me che non ho mai provato un briciolo di simpatia per Kenneth Branagh in vita mia. :)
Spencer ottimo, e per certi versi anche piuttosto imprevedibile.
King Richard e Being the Ricardos decisamente coinvolgenti.
Insomma, a questo giro stranamente mi sono piaciuti tutti. XD
Belfast l'ho seguito con fastidio dall'inizio alla fine, mi è parso un lungo spot pubblicitario!
EliminaA questo giro, invece, sono io a storcere il naso per metà di questi titoli.
RispondiEliminaNon per Belfast, di cui aspetto l'uscita, o forse solo la serata più libera.
Non ovviamente per i Ricardos con Sorkin dalla penna magica (ah, che finale perfetto!).
Come sai Spencer mi è sembrato uno spottone d'abiti in alcuni punti, un horror in altri, senza davvero coinvolgermi, senza raccontare Diana.
E sì che approvavo la scelta temporale ridotta, e che il confronto fonale con la Hawkins un brivido me l'ha dato.
E pure la Stewart, anche se bravissima, continuavo a vederla sotto una trasformazione difficile, sempre lì a dire: sono la Stewart, sono brava. Io e Larraìn continuiamo con i nostri alti e bassi, prima o poi ci farò pace e tornerò a venerarlo come in Jackie.