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Gli affamati, di Mattia Insolia. Ponte alle grazie, € 14,
pp. 170 |
Mio
fratello è biondo, robusto, fuma. Mio fratello non mi somiglia.
Sembra il maggiore, ma in realtà è di due anni più piccolo di me.
Da quando vive lontano, mi manca. Sotto l’ombrellone, in un giorno
di mare rubato al mese di settembre, ho trovato un posacenere bianco
con i suoi strascichi. Due mozziconi di sigarette, fotografati poi
accanto al romanzo che mi è sembrato parlasse un po’ di noi. Di
quand’eravamo una coppia di animaletti selvatici, umorali e
amorali, ai bordi di una casa dove gli adulti litigavano come
bambini. Di quando lui, frustrato e addolorato alla fine del liceo,
sognava di ricominciare altrove: alla fine, a differenza mia, ci è
riuscito. La nostra era una vita di provincia – la mia lo è
tutt’ora –, in una casa zeppa di strepiti e non detti. Per
fortuna, però, fuori dalla nostra finestra non vedevamo una realtà
simile a quella della fittizia Camporotondo: un buco di culo di
diecimila anime, dove i cortili sono usati a mo’ di gabinetti e il
desiderio d’altrove si sviluppa fortissimo, selvaggio.
«Però
le cose belle le abbiamo trovate lo stesso. Insomma… alla fine, se
ci pensi, siamo riusciti a trovarle e a vederle pure se tutto fa
schifo, no?». «Sì, siamo riusciti a trovarle. Ma forse non le
abbiamo mai capite davvero».
Assoluti
padroni di casa, i personaggi di Paolo e Antonio gozzovigliano in
mutande davanti alla tivù tra canne, alcol e pizze surgelate.
All’apparenza brutti, sporchi e cattivi, covano entrambi segreti e
sensi di colpa. Si somigliano perfino nei peccati. Quel loro dolore
cencioso li rende protagonisti di un’illusoria affinità elettiva
e, mossi dalla pretesa di vivere più intensamente dei compaesani,
sfidano ogni giorno il mondo in una gara di velocità. Mentre Paolo è
una bomba a orologeria che prova eccitazione fisica nel far danno,
Antonio – più sensibile – si lascia comandare a bacchetta e
salva una copia di Stoner dalla discarica pur di leggerla di
nascosto. E poi c’è una mamma che torna all’ovile, intenzionata
a sottrarre i figli dalle macerie; c’è un migliore amico, Italo,
che propone lavori dignitosi e nuove sistemazioni; c’è un altro
emarginato, l’omosessuale Oscar, di ritorno da Milano per fare
chiarezza. Immersi fino al pomo d’Adamo nelle sabbie mobili del
Mezzogiorno, come reagiranno Paolo e Antonio quando cambiamenti
inevitabili minacceranno di stravolgere i loro equilibri malsicuri?
Dal
dolore non ci si può mai liberare del tutto. Ogni sofferenza è un
parassita che lascia delle tracce, e quelle tracce, scorie velenose,
si ammonticchiano sempre di più e sempre di più fino a ostruire
tutto, i capillari e le vene e le arterie. Saturano tutto. Non
lasciano spazio a nient’altro.
A
farci l’abitudine, c’è serenità nel caos. C’è bellezza nello
squallore. Lo racconta egregiamente Mattia Insolia, classe 1995, in
un esordio che ricorda le dinamiche del miglior Ammaniti e la
fotografia giallastra del cinema dei D’Innocenzo. L’autore
siciliano si muove in un panorama poco raccomandabile, ma meno
spaventoso che in passato. La provincia, infatti, è stata ampiamente
sdoganata dalla narrativa italiana. E bonificata? Dopo ciceroni
d’eccezione, Mattia – il più giovane degli autori del filone; il
più scapestrato – segue le orme dei predecessori con devozione,
rispetta le leggi della giungla e quelle della natura, ma qui e lì
tenta sorpassi, svincoli, sentieri sconosciuti. La provincia, e la
narrativa che la descrive, è forse un territorio troppo
circoscritto?
Eravamo
malati di desiderio. Scintille nel buio, abbiamo illuminato la notte
e siamo bruciati di incanti e meraviglie.
Nonostante
il dubbio tutt’altro che illecito, il tentativo di Mattia
emoziona e, a sorpresa, infonde una certa speranza. La sua scrittura
è pungente senza essere urticante. Sboccatissima, fa scendere a
fantasia lacrime e Madonne. Soprattutto nell’epilogo, eppure
cronaca di una tragedia annunciata, sa glissare con coraggio sui dettagli
più pietosi e cogliere in contropiede grazie alla commozione di una
lettera di sette anni successiva agli eventi raccontati.
Paolo e Antonio,
memorabili, sono due stracci intrisi di benzina: il mondo, fuori, è
una polveriera pericolosissima; la carcassa di un gatto prima
sbranato da un cane cresciuto nella bambagia e infine, per beffa,
travolto dalle macchine in transito sulla statale. Ho guardato a loro
con la tenerezza di chi vorrebbe ripulirli, addomesticarli. Di chi,
in fondo, guardando nell’abisso di sé stesso, nella loro rabbia si
è riconosciuto come in uno specchio deformante del luna park. Con
Mattia Insolia, con me e mio fratello, condividono il metabolismo
veloce e l’inquietudine esistenziale. Perché quando il mondo ti
intossica, non può che restarti in ricordo questa fame chimica.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Anastasio – Rosso di rabbia
Sempre belle le tue recensioni, un po' malinconiche....
RispondiEliminaGià dal titolo mi ispira, lo leggerò. Baci.
Grazie, Lory!
EliminaBuona domenica.
Che bella recensione ☺️ il libro di primo acchito non mi ispirava molto, adesso invece mi è venuta voglia di leggerlo :D
RispondiEliminaSono felice!
EliminaAdesso vogliamo, anzi pretendiamo, tuo fratello che scrive un guest post del blog. ;)
RispondiEliminaQuanto all'autore del romanzo, per essere un classe 1995 all'esordio sembra avere già una discreta maturità. Da tenere d'occhio.
Ahahah! 👍
EliminaAhahahahah, posso chiedere! Darebbe una bella ringiovanita.
EliminaCiao Michele buona domenica anche a te. Ieri sera mi sono riguardata in TV 'Chiamami col tuo nome'. Ma quanto è bello quel film ?!!!
RispondiElimina"The Brothers", perché no, magari potreste parlare di un film un libro in cui vi trovate in contrapposizione, sarebbe innovativo. Si aprono le scommesse! Attendiamo allora, bye!