Si
chiama Lazzaro e come l'omonimo biblico ha vissuto una
doppia vita. La prima ha inizio in una campagna senza confini e senza
tempo in cui si sgobba con il sorriso sulle labbra: un'adolescenza
come mezzadro nei terreni di un'avara nobildonna e, grazie all'arrivo
del figlio ribelle di lei, finalmente l'epifania. La marchesa ha
costretto i braccianti a un Medioevo ignorante, truffaldino e malpagato: sovrana di un impero di tabacco pronto a vacillare, la Braschi ha intossicato la manodopera con un lavoro
nobilitante all'apparenza e infinite bugie. La verità, tuttavia,
rende liberi davvero? Qual è l'effetto del progresso su chi l'ha
conosciuto di sfuggita per generazioni e generazioni, complici
le visite sporadiche di rampolli capricciosi dal ciuffo punk?
L'acclamatissima Alice Rohrwacher porta con sé i plausi di Cannes, l'affezionata sorella Alba e un diffuso
senso di stupore. Il taglio verista di una prima metà in linea con
il cinema di Olmi si sposa con le stranezze della conclusiva: quella
in cui scoprire che il tempo è relativo, e che per alcuni non passa
mai, per altri vola in un lampo. Quella in cui questo Lazzaro con gli
occhi belli dell'esordiente Adriano Tardiolo – ventenne acerbo e
imbabolato, eppure capace di bucare lo schermo con la semplicità di
un'occhiata – ci conduce in una moderna agiografia piena di
allegorie e prodigi inspiegati. Proprietà di nessuno, senza mamma né
padre, il protagonista si fa in quattro per il prossimo e ama
sognarsi fratellastro di un figlio di papà di cui brama l'amicizia. Non cede a compromessi, non cresce, non
viene scacciato. Fa ingresso nella sua seconda vita sulle proprie
gambe, gioioso come una Pasqua, seguendo le indicazioni stradali dei
ladri d'appartamenti e la luna nel cielo. Un Piccolo
principe in cerca della sua
Rosa, un San Francesco capace di ammansire le bestie selvagge e meno i capitalisti, che fa tappa in un'altra esistenza. Poiché miserabile
quanto la prima, bisogna imparare a sfruttare per non essere
sfruttati e non c'è traccia di verde se non ai bordi delle
ferrovie. C'è sempre indigenza, ma di un tipo diverso. Abbondano i
grigi, i debiti, lo squallore, e la magica sospensione dell'apologo
viene minacciata dalla mancanza di galanteria, dallo strombazzare
delle automobili imbottigliate, dalla fila inferocita in banca. Lo
segue la musica. Lo segue un lupo, anche a costo di
sfidare il traffico dell'ora di punta. Lo seguiamo noi, a tratti
troppo confusi per dirsi felici, ma incantati. (7,5)
L'ambizioso
imprenditore Scamarcio è riverso in una camera d'albergo. Poco più
in là c'è il cadavere di una Leone femme
fatale. La stanza è chiusa dall'interno, le finestre bloccate. Da
dov'è entrato, da dov'è uscito l'assassino? All'alba
di una testimonianza decisiva, una grandissima Maria Parato torchia
l'uomo: seduti agli antipodi del tavolo, avvocato e
cliente rivangano il passato. Arrivando a riesumare il ricordo di un
incidente con omissione di soccorso di cui papà Bentivoglio ancora
non si capacita. E un piano criminale su più livelli i cui esiti
lasciano basiti per i mille incastri, lo studio machiavellico dei
colpi di scena, gli intrighi delle deposizioni. Il
testimone invisibile, visto in
anteprima a una proiezione gratuita, è un thriller coi fiocchi: non
facciamone un altro mistero. Peccato che, a proposito di inganni,
abbia un risvolto negativo: le sue idee migliori vengono dal bel
Contrattempo, passato
purtroppo in sordina su Netflix. Copia carbone dell'originale
spagnolo, il film nostrano si sposta dalla Catalogna al Trentino; ripropone l'eleganza della messa in scena e le claustrofobiche
atmosfere teatrali senza improvvisare variazioni sul tema. Il remake
non aggiunge niente di nuovo, no, ma continua a essere un
intrattenimento a regola d'arte: possiamo fargliene forse un crimine se
Mordini, dopo Pericle il nero,
proprio non sfigura nel paragone? Le dinamiche del giallo alla
Christie restano vincenti perché lasciate intonse. Rispondono a
tono, così, il montaggio serratissimo; una regia di insospettabile
classe; un quartetto di attori convincenti che non si lasciano
intimidire mai dai voltafaccia o dagli stravolgimenti dei punti di
vista. Una domanda resta, e su un blog che parla di romanzi suonerà
senz'altro obbligata: perché scomodare autori stranieri con le
librerie piene di firme rinomate – vedasi Donato Carrisi, prima
scrittore e poi regista dell'altrettanto solido La ragazza della nebbia? Mi sarei
lambiccato, confesso, davanti a un rimaneggiamento indecoroso. I
bandoli del Testimone invisibile,
nonostante la conoscenza dell'originale abbia rovinato l'effetto sorpresa, mi hanno però divertito da morire. Trucchi, beffe e
segreti di un giallo perfetto su un delitto perfetto: peccato, questa
volta, sia d'importazione. (7)
Che
invenzione, il computer. Scatola magica che da vent'anni a questa
parte custodisce le nostre vite come un infinito album fotografico.
Contiene traccia delle nostre gioie e dei nostri dolori, una copia
delle ricette della nonna e le e-mail urgenti, scatti e video in abbondanza. Un corto circuito, un comune guasto, e ci sentiremmo
persi per sempre. Il computer è un diario intimo: a volte, il
confessore dei nostri peggiori segreti. Lo pensiamo seguendone
attravero uno schermo gli alti e bassi della splendida famiglia Kim –
dalla spensieratezza dei primi giorni di scuola fino alla tragica
morte della donna di casa, senza mai trascurare i saggi di fine anno
o le vacanze in compagnia – e a proprie spese, nel momento del
bisogno, lo scopre il capofamiglia di un John Cho sempre più serio,
sempre più intenso. Sua figlia, quindici anni, è scomparsa. Tre
chiamate perse in piena notte, l'impossibilità di rintracciarla, e
infine un'amara consapevolezza. Non è in gita con gli amici – non
ne aveva –, non è a lezione di pianoforte – ha smesso di
nascosto sei mesi prima –, non è nella macchina ripescata dal
fondo della palude – qualche macchia di sangue sul cruscotto, ma il cadavere manca. L'opinione pubblica, gli hashtag, i messaggi su
Facebook parlano di Margot come di una novella Laura Palmer: che fine
ha fatto? Sono tutti sospettati, compreso quel papà apprensivo –
evidentemente non abbastanza – con cui l'adolescente evitava
qualsiasi dialogo, preferendo raccontarsi perfino agli sconosciuti di
YouCam. Aggiungete al quadro un'ottima Debra Messing, inedita sbirra
con a cuore il destino della scomparsa, e potreste avere la trama del classico giallo investigativo. La realizzazione di
Searching invece
spiazza: esperimento non meno efficace dei recenti The Guilty e American Vandal, a opera di un esordiente
di ventisei anni appena. È da un computer che assistiamo all'intero
diramarsi della vicenda: leggiamo i messaggi privati, origliamo le
conversazioni telefoniche, frughiamo nei ricordi in cerca di indizi.
Zoomiamo. E in questo intelligente elogio all'arte del multitasking –
i pericoli della rete, eppure, son sempre dietro l'angolo – si
trovano le risposte a tutti i misteri, i colpi di scena spiazzanti e
un cuore assolutamente commovente. Toccante e calibratissimo,
perfetta unione di mezzi tecnici e scrittura d'impatto, Searching
è la struggente ricerca di un
uomo solo: una tipica riflessione sul rapporto genitori-figli, sul
paradosso tutto contemporaneo dell'asocialità al tempo dei social,
che sceglie il più atipico dei mezzi per illuminarci. Dopo Crazy
Rich Asians, è l'anno degli
attori coerani che conquistano i cinema e il botteghino americano. È
l'anno dei gialli bellissimi perché inaspettati, come una richiesta
d'amicizia inoltrata dalla suspance in persona. (7,5)
Esercizi tutte le mattine, lunghe passeggiate, un irrinunciabile
pacchetto di sigarette nel taschino. Le gambe snelle, il cuore
giovane, due polmoni perfetti. Finché Lucky,
arzillo ma solo al mondo, un giorno sviene: così, dal nulla. Ha
novant'anni suonati e prima di quel malessere viveva la sua modesta
routine nell'inconsapevolezza: non si era mai reso conto di
essere vecchio. Come reinventarsi
nell'immobilismo stagnante di certe province? Come
essere una persona migliore, se a lungo ha evitato aiuti esterni, compagnia e palliativi? Sorprendersi delle piccole
cose è sempre un'ottima idea: i quiz a premi alla tivù, un posto a
sedere alternativo nel solito bar, la testuggine in fuga dell'amico
David Lynch, qualche rissa da non disdegnare poiché reduce di
guerra. Non pensarci, alla morte, significa forse evitare che accada? È
stata lei alla fine a cogliere in contropiede lo straordinario
Harry Dean Stanton: il caratterista nell'ombra, qui al suo primo e
ultimo film da protagonista, sarebbe scomparso poco dopo aver
prestato acciacchi e speranze a un personaggio dal nome augurale.
Retore astutissimo, caratterizzato da un senso di giustizia e un
decoro d'altre epoche, l'anziano ascolta Johnny Cash, s'imbuca ai
compleanni dei bambini e canta con i mariachi commuovendoci un po',
parla di nichilismo e antichi conflitti armati. Lascia la porta
aperta alle tartarughe, che magari poi tornano a casa, e alla bellezza
dell'imprevisto: un cactus centenario e mal tenuto – peggio di lui,
insomma – sulla cui cima non smettono di fiorire i
boccioli. Piccolo e saggio, con atmosfere vicine ai
romanzi di Kent Haruf, l'esordio alla regia di John Carroll Lynch è
una lezione di vita già sentita, ma con l'urgenza agrodolce del
commiato. Senza mai calcare la mano – anzi, il passo – cammina su
questa terra, in questa esistenza, e a ben vedere qualche impronta la
lascia. Grazie agli andirivieni di una routine reiterata. Grazie a
una sceneggiatura onesta, che non cerca stratagemmi per farsi
ricordare, eppure ci farà ricordare di Stanton. Per sentirci fortunati di averlo conosciuto: anche se poco, anche se in ritardo.
(7)
Beh tutti film che comunque meritano, mi par di dedurre.
RispondiEliminaPersonalmente avevo già in mente di vedere i primi due, ma anche gli altri due mi incuriosiscono!
Conoscendo i tuoi gusti di lettrice, ma anche quelli di spettatrice, posso assicurarti che li apprezzerai tanto quanto me. Se non di più. ;)
EliminaAhi ahi, mi mancano tutti e almeno tre su quattro mi incuriosiscono. Ieri sera dovevo andare a vedere il remake all'italiana di "Contrattempo" ma all'ultimo ho optato per quella follia - riuscita, a mio parere - di "Un piccolo favore" :)
RispondiEliminaNon vedo l'ora di vederlo, e non solo per la Lively!
EliminaLazzaro felice sorpresa in positivo dell'anno!
RispondiEliminaFilm strano, e strano che mi abbia convinto così tanto.
Il testimone invisibile sempre promettere bene. E non solo per una Miriam Leone femme fatale... forse. :)
Di Searching sento parlare bene, però l'idea di un film ambientato tutto sullo schermo di un computer non mi sembra così nuova, visto che c'erano già stati The Den e Open Windows. Comunque darò un'occhiata.
Lucky mi sa di potenziale palla, o no?
Lazzaro felice strano davvero, e in senso buono, anche se quel finale troppo didascalico mi ha lasciato un po' così...
EliminaVai tranquillo con Searching: al contrario dei film che mi citi tu, questo usa l'espediente veramente in maniera originale e riesce a costruire, soprattutto, una storia che tocca il cuore.
Lucky è molto fordiano, sicuramente, ma scommetto che ti piacerebbe. Anche solo per Lynch attore.
Voglio vedere sia Lazzaro Felice sia Il testimone invisibile, mentre Lucky non è che mi ispiri moltissimo.
RispondiEliminaPer quanto riguarda Searching, un ottimo esperimento e, nonostante i mezzi, un thriller che riesce a mettere una certa tensione. La sceneggiatura non è per nulla banale ed è molto coinvolgente la narrazione, l'ho apprezzato davvero molto.
Una delle maggiori sorprese di fine anno anche per me, assieme a Lontano da qui.
EliminaResto titubante su Il testimone invisibile, e diciamo che non ha la precedenza sui titoli in uscita e da recuperare. Piacevolissime sorprese le altre, forse da Lazzaro Felice mi aspettavo qualcosa di più, ma tanta poesia, ansia a non finire con Searching e cuore spezzato per Lucky, il vecchino che non potevo non amare e che sapevo avresti amato anche tu ;)
RispondiEliminaRecupera lo spagnolo, magari senza fretta. Anche se il tuo ritrovato amore per il bravo Scamarcio vuoi tradirlo così?
Eliminadevo ammettere che "Il testimone invisibile" mi incuriosisce, strano detto da una che non impazzisce per il thriller, tanto meno per i film italiani. Non conoscendo la pellicola spagnola potrei anche godermi di più il film. In generale concordo quando scrivi che le librerie italiane sono piene di romanzi dai quali prendere spunto, eppure si limitano sempre ai remake o ai soliti temi, sigh.
RispondiEliminaAllora resterai a bocca aperta!
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