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L'amore che mi resta, di Michela Marzano. Einaudi, € 17,50, pp.
235 |
La
figlia di Daria si è ammazzata. Così, all'improvviso. Come una
chiamata che una sera ti incastra le viscere in gola e ti fa correre
come un matto nel corridoio di un ospedale in cui ti dicono signori,
mi dispiace, ma abbiamo fatto tutto il possibile. Il possibile
non è bastato a riportare in vita Giada, che ha scelto la morte, e
l'ha sciolta sulla punta della lingua con un pugno di ansiolitici. Il
cuore non ha retto. Quello di Daria, purtroppo, sì.
L'avevo
detto, a tuo padre, che al telefono eri triste. Cioè, non proprio
triste. Contratta, come rassegnata.
Ora
Daria vive ma non vive. Ora Daria si pone dubbi e domande. Ora Daria
smette di credere in Dio e di prendersi cura di se stessa e degli
altri. Suo padre, professore universitario, ha insegnato presto le
parole a Giada. Sua madre, pittrice per amore, le ha rivelato invece i
segreti dei colori e degli accostamenti: l'ha chiamata così per una vita e un nome pieni di sfumature. La figlia di Daria sua
figlia non era. Da qui un doppio dramma, un doppio colpevolizzarsi.
Da qui un dolore amplificato. Sul finire degli anni Ottanta, dopo un
lungo periodo di incartamenti e procedure, una venticinquenne con una
tuba chiusa e un marito ancora ricercatore erano diventati legalmente
i genitori di una neonata di sei mesi appena; un'orfana. Per il
desiderio di essere una famiglia. E affinché tutto quel loro grande
amore non andasse sperperato. Le riveleranno la verità sulle proprie
origini più in là, facendola accomodare sulla sua sediolina rossa
preferita: la stessa su cui siede nel momento delle favole della
buonanotte. Giada non si scompone neanche allora, no. Non mostra
gelosia per la nascita miracolosa di Giacomo, figlio naturale della
coppia e, checché ne dica la genetica, suo fratello in tutto e per tutto. Però la sua
fiaba preferita resta il Brutto Anatroccolo. Però ha il pallino dei puzzle, e alla sua infanzia disordinata manca una tessera chiave.
Incompleta, sradicata, terrorizzata alla prospettiva di un ennesimo
abbandono. Sottoposta alle scelte degli altri sin dalla nascita,
Giada ne ha finalmente presa una sua, una sua e basta:
lasciarsi morire.
Come
si fa a dire che una madre nasce quando nasce il bambino? E se la
madre abbandona il bambino, diventa lo stesso una madre? E se una
madre non lo mette al mondo, quando nasce allora?
C'è
un biglietto a consolare i sopravvissuti, ma cosa vuol saperne il
dolore di chi resta. Forse Daria non l'ha capita. Forse non l'ha
amata abbastanza, facendola sentire sempre un corpo estraneo. L'autopsia sì, l'autopsia no. La cerimonia funebre. Svuotare i
cassetti, l'armadio. Lasciarsi ossessionare, poi, dalla ricerca delle
radici che la ragazza aveva intrapreso in segreto. Perché affannarsi
per ricostruire i primi capitoli di una storia? Perché cercare la
madre biologica, se aveva già tutto, se aveva già Daria? L'amore
che mi resta racconta con
accuratezza implacabile l'elaborazione del lutto peggiore e la realtà
delle adozioni in Italia: dal punto di vista dei genitori, dal punto
di vista dei figli. L'egoismo sotterraneo che c'è, nell'uccidersi e
nel mettere al mondo qualcuno che non te l'ha neppure mai chiesto. Una
notizia shock, una ricerca che trasforma la protagonista in una
statua di sale: il marito, l'altro figlio, piangono anche lei – con
la testa altrove e il cilicio sotto i vestiti per mortificarsi –
come morta.
Il
mio errore è stato quello di pensare che il mio amore ti avrebbe
salvata, esattamente come il tuo arrivo aveva salvato me. [...]
E' questa la vita, Giada, questa mancanza – questo sconforto che
poi diventa una slavina, rabbia e paura, dolore cieco. Questo vuoto
che l'amore non colma, anche se l'amore è necessario, e senza amore
si è morti, prima ancora di morire.
L'autrice
ci mette la rabbia, lo sgomento, la malinconia che strugge. Lascia
immaginare una sofferenza inimmaginabile, che i dizionari di ogni
dove non contemplano. Come racchiudere in duecento pagine un amore
sconfinato? Come parlare di una madre orfana della propria bambina,
se i termini stessi ci si negano?
L'amore che resta, sopravvissuto alla
battaglia, perfino alla tomba, è quello che basta. Straziante, pieno
di vita, delicato come una carezza. Ti riempie il cuore. Ti riempie
le braccia.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Niccolò Fabi – Attesa e inaspettata
Credo che questo libro possa essere proprio nelle mie corde, uno di quei libri che fanno male e che, proprio per questo motivo, di solito mi restano dentro.
RispondiEliminaIo intanto me lo segno! E a te dico, come sempre, bravo, perchè le tue recensioni mi colpiscono sempre. :)
Grazie, Dani!
EliminaEh, questo romanzo, l'avevo già capito, è di quelli che fanno male. Era già in WL. Ora mi faccio coraggio e lo leggo. Convincente, come sempre.
RispondiEliminaGrazie, Tessa!
EliminaAmmetto che non era tra le mie priorità ma, l'ultimo giorno in giro a Torino, l'ho trovato a sei, sette euro su una bancarella sotto i portici. Bella scoperta, la Marzano.
Mi basta la tua recensione per soffrire come un cane. Che bello. #cosedalettoriemo
RispondiEliminaAhahahahah, grazie?
EliminaDesidero leggere qualcosa della Marzano da molto tempo ormai ed ancora non ne ho avuta l'occasione. Che bella la tua recensione, anche se come dice Silvia già le tue parole sono un pugno nello stomaco, figuriamoci entrare nelle pagine di questo libro.
RispondiEliminaGrazie, Julia.
EliminaFammi sapere. La Marzano è un'autrice da cui vorrò ritornare.
Sono reduce dagli orfani bianchi di Manzini. Mi devo riprendere. Il romanzo da un po' mi sollecitava ma ora passo. Non reggo per ora come madre. Già a 20 anni Elsa Morante mi aveva trafitto il cuore con La storia.
RispondiEliminaLa Morante è tra i buoni propositi dell'anno nuovo, promesso. Manzini e i suoi orfani mi erano sembrati troppo tutto, nonostante lo struggimento (o forse proprio per quello, esagerato in pochissime pagine).
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