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Parla, mia paura, di Simona Vinci. Einaudi, € 13, pp. 128 |
Era
nell'aria che ci incrociassimo. Il desiderio a voce alta
di leggerla, così, si è trasformato in un pacchetto blu poggiato
sul mio comodino: regalo inatteso di una persona che mi presta
ascolto, sempre, e che sa rendere le paure più piccole. L'ultima
fatica di Simona Vinci – e uso il sostantivo fatica con cognizione
di causa – è un libro senza precedenti, soprattutto considerando una densa biografia che spazia dalla letteratura cannibale al
racconto, dal Premio Campiello alla
traduzione della poetessa Kate Tempest. Vulnerabile,
dolorante, personalissimo, a tal punto che non saprei
bene cosa dire. Perché mi si è svelata la Simona donna, non la
scrittrice, e confido che alla prossima occasione saprò scorgerla
meglio tra le righe. Parla, mia paura suona
come un invito a far luce sui mostri invisibili della
depressione. Una bestia nera qui braccata, qui immortalata. Le fobie
irrazionali, le mancanze sepolte, l'inclinazione alla malinconia di
chi triste forse ci è diventato, forse ci è nato e basta.
Sarei
morta. Quella notte. E quella dopo. E quella dopo ancora. Avrei
continuato a morire finché non sarei morta davvero.
Un
orizzonte di notti inesorabili in cui tutto il mondo dorme, ma tu non
chiudi occhio. La tentazione di usare qualsiasi cosa – corde,
lamette, pasticche – contro di te. Il pensiero incancellabile che
soltanto il suicidio possa darti meritato ristoro. La paura obbedisce, da brava: risponde per le rime. Mai filtrata, mai educata. Presenza
strisciante, muta, che ti salta al collo e ti succhia il sangue,
grazie a una scrittura ora scabrosa, ora ricercata. Simona ne
contrasta gli eterni ritorni facendo chiarezza. Chiedendo e offrendo
aiuto. Prendendosi cura di sé stessa, con le fughe dall'altra parte
del mondo, qualche ora a settimana sul lettino dell'analista, il ricorso alla chirurgia estetica dopo una
dieta debilitante. Parla a noi, alla sua coscienza, alle canzoni
generazionali di Chris Cornell, a un amico che non c'è. Di un
dolore giovane, taciuto per vent'anni, e di una malinconia curata
male con l'imbarazzo del silenzio. Della casa vissuta come trappola
mortale, e della pace che le ispira il verde dei giardini. Di
un figlio all'inizio non desiderato, poi messo al mondo sentendolo estraneo, infine compreso quando a unirli sono arrivate le prime parole balbettate.
Tu
sei la forma del buco
Dentro
il mio cuore.
Parla,
mia paura è il soliloquio di
una signora scrittrice che si spoglia di altre storie per indossare eccezionalmente la propria. Le stava stretta. A lungo, non le è
piaciuta. Pizzicava la pelle come certi maglioni d'inverno. Faceva difetto in
qualche punto. Ci si sente osservati, infatti; fuori posto. Come se
tutti percepissero la bruttezza delle nostre cuciture, delle nostre
cicatrici, e la forzatura di un benessere stentato. Onestamente, non ho
apprezzato i momenti in cui i toni da saggio tolgono
immediatezza alla confessione. Qualche tecnicismo di troppo
(soprattutto nel penultimo capitolo dedicato ai meccanismi della sanità in
Italia) e un ricorrere alle parole di altri (delle canzoni rock e del
cinema d'autore, degli scienziati e dei filosofi) per farsi coraggio
e schiarirsi la voce qui e lì. Il monologo sa aprirsi però al
dialogo. Con chi dall'abisso ci è passato a nuoto. Con chi per sua fortuna mai ci passerà, ma in caso saprà farsi trovare in allerta; pronto.
La via di fuga sono le belle persone che ti sorprendono, di mercoledì pomeriggio, e i libri così. Loro, e cognomi che sembrano imperativi
categorici. Simona, vinci.
Le
parole mi hanno salvata, ancora una volta.
Ne ho sentito tanto parlare, di questo romanzo. Ho paura che non faccia per me per i "toni da saggio", che già avevo intuito, e che tu mi confermi. Non lo so, il tema è delicato, credo che chi soffre/ha sofferto di un qualsiasi male dell'anima, percepisce, giustamente, la propria sofferenza come unica e diversa. Ben venga quindi l'aprirsi generoso di altre anime doloranti, ma il tono da saggio di auto-aiuto..quello proprio non mi piace.
RispondiEliminaDetto questo, dopo averti letto, magari ci provo e gli do una chance!
Ti dirò, Tessa: i toni da manuale di auto-aiuto, e ho usato questa stessa definizione parlandone con chi me l'ha regalato, sono presenti soprattutto in un capitolo in particolare, meno nel resto. Perché ho avuto l'impressione che questa confessione servisse più a Simona che agli altri - ogni depressione, come ogni famiglia, è uguale a modo suo. E ho apprezzato per forza di cose l'onestà di chi, mettendosi tanto a nudo, aveva più da perdere che da guadagnare.
EliminaLa rileggerò senz'altro, la Vinci.
Anche a me, come a Tessa, spaventano i toni da saggio anche se l'argomento mi attira non poco!
RispondiEliminaMa... il consiglio musicale? È un punto fermo delle tue recensioni che io aspetto sempre hihihihi
Ciao, Daniela! Quando parlo di letture così - più esperienze di vita che libri - non mi sento di scrivere i soliti post né di mettere troppo bocca. Niente stelline e niente canzone, ma l'autrice stessa ti consiglierebbe qualcosa dei Soundgarden. ;)
Elimina:)
EliminaStessa cosa, quasi, con la mia lettura successiva, Ho taciuto. Ma lì ci saranno sia voto che consiglio musicale. Dirò meglio nel post che verrà. ;)
EliminaMi sembra una lettura molto sofferta e che può far molto soffrire. Con la predisposizione d'animo giusto, potrebbe arrivare il suo momento.
RispondiEliminaO magari mi recupero qualche suo lavoro di letteratura "cannibale". :)
Dovrebbe appartenere al filone "cannibale" il suo esordio, Dei bambini non si sa niente. So che è abbastanza destabilizzante e, anche se in romanzi così ci ho sguazzato a volte, il tema mi spaventa un po'. E' sul Kindle, vedremo. Intanto, posso già dire di conoscerla, Simona. E mi piace molto. :)
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