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venerdì 20 ottobre 2017

Recensione: Parla, mia paura, di Simona Vinci

| Parla, mia paura, di Simona Vinci. Einaudi, € 13, pp. 128 |

Era nell'aria che ci incrociassimo. Il desiderio a voce alta di leggerla, così, si è trasformato in un pacchetto blu poggiato sul mio comodino: regalo inatteso di una persona che mi presta ascolto, sempre, e che sa rendere le paure più piccole. L'ultima fatica di Simona Vinci – e uso il sostantivo fatica con cognizione di causa – è un libro senza precedenti, soprattutto considerando una densa biografia che spazia dalla letteratura cannibale al racconto, dal Premio Campiello alla traduzione della poetessa Kate Tempest. Vulnerabile, dolorante, personalissimo, a tal punto che non saprei bene cosa dire. Perché mi si è svelata la Simona donna, non la scrittrice, e confido che alla prossima occasione saprò scorgerla meglio tra le righe. Parla, mia paura suona come un invito a far luce sui mostri invisibili della depressione. Una bestia nera qui braccata, qui immortalata. Le fobie irrazionali, le mancanze sepolte, l'inclinazione alla malinconia di chi triste forse ci è diventato, forse ci è nato e basta.

Sarei morta. Quella notte. E quella dopo. E quella dopo ancora. Avrei continuato a morire finché non sarei morta davvero.

Un orizzonte di notti inesorabili in cui tutto il mondo dorme, ma tu non chiudi occhio. La tentazione di usare qualsiasi cosa – corde, lamette, pasticche – contro di te. Il pensiero incancellabile che soltanto il suicidio possa darti meritato ristoro. La paura obbedisce, da brava: risponde per le rime. Mai filtrata, mai educata. Presenza strisciante, muta, che ti salta al collo e ti succhia il sangue, grazie a una scrittura ora scabrosa, ora ricercata. Simona ne contrasta gli eterni ritorni facendo chiarezza. Chiedendo e offrendo aiuto. Prendendosi cura di sé stessa, con le fughe dall'altra parte del mondo, qualche ora a settimana sul lettino dell'analista, il ricorso alla chirurgia estetica dopo una dieta debilitante. Parla a noi, alla sua coscienza, alle canzoni generazionali di Chris Cornell, a un amico che non c'è. Di un dolore giovane, taciuto per vent'anni, e di una malinconia curata male con l'imbarazzo del silenzio. Della casa vissuta come trappola mortale, e della pace che le ispira il verde dei giardini. Di un figlio all'inizio non desiderato, poi messo al mondo sentendolo estraneo, infine compreso quando a unirli sono arrivate le prime parole balbettate. 

Tu sei la forma del buco
Dentro il mio cuore.

Parla, mia paura è il soliloquio di una signora scrittrice che si spoglia di altre storie per indossare eccezionalmente la propria. Le stava stretta. A lungo, non le è piaciuta. Pizzicava la pelle come certi maglioni d'inverno. Faceva difetto in qualche punto. Ci si sente osservati, infatti; fuori posto. Come se tutti percepissero la bruttezza delle nostre cuciture, delle nostre cicatrici, e la forzatura di un benessere stentato. Onestamente, non ho apprezzato i momenti in cui i toni da saggio tolgono immediatezza alla confessione. Qualche tecnicismo di troppo (soprattutto nel penultimo capitolo dedicato ai meccanismi della sanità in Italia) e un ricorrere alle parole di altri (delle canzoni rock e del cinema d'autore, degli scienziati e dei filosofi) per farsi coraggio e schiarirsi la voce qui e lì. Il monologo sa aprirsi però al dialogo. Con chi dall'abisso ci è passato a nuoto. Con chi per sua fortuna mai ci passerà, ma in caso saprà farsi trovare in allerta; pronto. La via di fuga sono le belle persone che ti sorprendono, di mercoledì pomeriggio, e i libri così. Loro, e cognomi che sembrano imperativi categorici. Simona, vinci.

Le parole mi hanno salvata, ancora una volta.

8 commenti:

  1. Ne ho sentito tanto parlare, di questo romanzo. Ho paura che non faccia per me per i "toni da saggio", che già avevo intuito, e che tu mi confermi. Non lo so, il tema è delicato, credo che chi soffre/ha sofferto di un qualsiasi male dell'anima, percepisce, giustamente, la propria sofferenza come unica e diversa. Ben venga quindi l'aprirsi generoso di altre anime doloranti, ma il tono da saggio di auto-aiuto..quello proprio non mi piace.
    Detto questo, dopo averti letto, magari ci provo e gli do una chance!

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    1. Ti dirò, Tessa: i toni da manuale di auto-aiuto, e ho usato questa stessa definizione parlandone con chi me l'ha regalato, sono presenti soprattutto in un capitolo in particolare, meno nel resto. Perché ho avuto l'impressione che questa confessione servisse più a Simona che agli altri - ogni depressione, come ogni famiglia, è uguale a modo suo. E ho apprezzato per forza di cose l'onestà di chi, mettendosi tanto a nudo, aveva più da perdere che da guadagnare.
      La rileggerò senz'altro, la Vinci.

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  2. Anche a me, come a Tessa, spaventano i toni da saggio anche se l'argomento mi attira non poco!
    Ma... il consiglio musicale? È un punto fermo delle tue recensioni che io aspetto sempre hihihihi

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    1. Ciao, Daniela! Quando parlo di letture così - più esperienze di vita che libri - non mi sento di scrivere i soliti post né di mettere troppo bocca. Niente stelline e niente canzone, ma l'autrice stessa ti consiglierebbe qualcosa dei Soundgarden. ;)

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    2. Stessa cosa, quasi, con la mia lettura successiva, Ho taciuto. Ma lì ci saranno sia voto che consiglio musicale. Dirò meglio nel post che verrà. ;)

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  3. Mi sembra una lettura molto sofferta e che può far molto soffrire. Con la predisposizione d'animo giusto, potrebbe arrivare il suo momento.
    O magari mi recupero qualche suo lavoro di letteratura "cannibale". :)

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    1. Dovrebbe appartenere al filone "cannibale" il suo esordio, Dei bambini non si sa niente. So che è abbastanza destabilizzante e, anche se in romanzi così ci ho sguazzato a volte, il tema mi spaventa un po'. E' sul Kindle, vedremo. Intanto, posso già dire di conoscerla, Simona. E mi piace molto. :)

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