Posh
significa Snob. Titolo adatto per parlare di dieci figli di papà,
ma non di certo quanto lo è quello originale:The Riot Club.
Un circolo ristretto nella prestigiosa Oxford i cui membri sono alla
ricerca di nuovo leve. Tu sei pronto a farne parte? Miles e
Alistair, ventenni di ottima famiglia, sono i prescelti. Spettano loro
piccoli riti di iniziazione, crimini e atti di dispotismo. E il loro
nome entrerà nella storia, ma non nel modo in cui vorrebbero. Quel
secolare cenacolo goliardico di filosofia spiccia ed edonismo è
destinato a finire in un'ultima cena. Scorreranno fiumi di champagne,
sangue, lacrime di coccodrillo. A me piace proprio il modo in cui la
danese Lone Scherfig inquadra il Regno Unito. Gli i(nde)finiti toni
di blu, la fotografia pesta, l'occhio fisso verso un sistema
scolastico che è specchio del mondo. In An Education una
precoce sedicenne, con un'insufficienza in latino e il sogno di
un'educazione accademica, si innamorava di un adulto. In One Day,
le anime gemelle create dalla penna di David Nicholls si incontravano
nel giorno delle loro lauree: lui, benestante, aveva una vita
travagliata e più o meno felice; lei, brillante ma povera, pensava
alla letteratura e serviva ai tavoli. Gli anni sessanta, gli anni
ottanta e adesso gli anni duemila. Posh – con i colletti
inamidati, i vestiti di alta sartoria, il panciotto e i guanti – è
mascherato da studente modello. Esteticamente, sarà per la bellezza
fuori moda dei protagonisti, sembra il frutto di un altro tempo,
anche se non si discosta da quelle storie di ragazzi allo sbando che
tanti ci hanno di recente mostrato. Ma non ne ha la volgarità e
neanche l'audacia. Manca la crudeltà; la spocchia. I protagonisti
fanno più una vaga antipatia che rabbia. Ingessato e british, si
rifà a un'opera teatrale e la cosa si nota, nella scrittura di
dialoghi interessanti e arguti; nella predilezione per gli ambienti
circostritti. Dalla commedia nera passa al dramma e intrattiene che è
un piacere, soprattutto per la notevole cura nella regia e un vento
che soffia intrighi, pur essendo incapace di scuoterti. Tutto è già
stato grossomodo mostrato, ma la lotta tra aristocrazia e
proletariato emerge nel testa a testa finale: il proprietario di un
ristorante fuori mano, una figlia idealista che non riesce a
perdonargli il bisogno continuo di contanti e, contro, quelle tigri
reali mai sazie. Buono il cast, in cui spiccano Douglas Booth, il più
bello; Max Irons, il più protagonista ma con il volto che meno buca
lo schermo; uno psicotico e sociopatico Sam Claflin che, dal punto di
vista recitativo, nonostante un personaggio tutt'altro che insolito,
è colui che spicca. Non c'è spazio per le donne, se non per la
paffuta Jessica Brown Findlay e la lanciatissima Natalie Dormer che,
con un cameo e quell'adorabile aria da stronza che si ritrova, ci fa
scordare la collega. Prove calibrate, messaggio risaputo, una
cornice ricca che rende perfino il quadro stesso più
appetibile. (6)
Toc
toc. Bussano alla porta. La mamma va ad aprire e si trova davanti un
bel fusto: alto, biondo, muscoloso, lo zaino in spalla. La mamma lo
fa entrare, perché l'educazione è la prima cosa e quello
sconosciuto dice di essere stato il migliore amico di un figlio morto
nell'esercito, in nome della cara America. Presentarlo al resto della
famiglia, ospitarlo per qualche giorno, servirlo e riverirlo,
ascoltando racconti di burle tra commilitoni e atti d'onore. Lasciare
che si intrufoli in casa e che faccia sorridere il patriarca
riottoso, innamorare perdutamente la maggiore delle figlie, insegnare
al fratello più piccolo come difendersi dai bulli. Ma il telefono
inizia a squillare, la morte a seguirlo, il mistero ad infittirsi.
Chi è quel soldato in licenza? The Guest non è sbucato dal
nulla: l'hanno preceduto i commenti positivi di chi l'ha visto, una
media più che dignitosa su Imdb, la fama di quel regista che già
con You're next ci aveva intrattenuti a dovere e sporcati
tutti di sangue. E' un thriller da non prendere troppo sul serio,
questo, pensato da uno che si diverte e ci diverte; brusco,
irrazionale, prevedibile ma non così tanto. E quanto cavolo è
divertente! Moltissimo, dall'inizio alla fine. Glielo riconosciamo.
Adam Wingard – che in lista ha una lunga esperienza con gli horror
a basso budget e la tivù – si fa un po' il Robert Rodriguez della
situazione e, anche se la sua regia non brilla, brillano (e non) le
sue idee raffazzonate, scolastiche, ma appassionate. The Guest è
un allegro pasticcio di morte, con le mani sporche di colla e altro,
ma non puoi non sorridere davanti all'entusiasmo e alla cura con cui
è messo in scena, sullo sfondo di un imminente Halloween e di un
ballo in maschera al liceo. La colonna sonora, poi, con compilation
superate e con cd con dediche personalizzate, scritte rigorosamente
col pennarello nero, è fighissima: un viaggio nell'electro dance
degli '80s. E' credibile, come credibili sono due protagonisti di cui
sentiremo secondo me parlare: la bellissima Maika Monroe, che ricorda
le scream queen dei tempi andati, e l'altrettanto aitante Dan Stevens
che, forse, qualcuno conoscerà per l'aristocratico Downtown
Abbey. Al suo primo, vero ruolo da protagonista, il biondo attore
britannico entra in sintonia con lo spettatore – be', con le
spettatrici di sicuro – grazie a un ruolo che lo vuole piacione,
distante, spietato. I suoi occhi di ghiaccio sono un'arma
infallibile. Parte come un thriller home invasion degli anni '90,
dunque, – vi ricordate Inserzione pericolosa, Paura,
The Stepfather? - e finisce per essere una versione più
cruenta, cattiva e fantasiosa di quei tamarissimi e amatissimi film
con Van Damme & Co. Prima il potere della fascinazione, il
mistero; poi muri crivellati di proiettili, sbirri, atrocità e cose
di un trash voluto e irresistibile. (7)
Io
sono un sognatore. Amo i viaggi nel tempo, ma odio la fantascienza e,
spesso, mi sembra che una cosa escluda l'altra, a meno che non si
parli delle commedie inglesi di Richard Curtis e di Ritorno al
futuro. Pescato in una marea di film sottotitolati,
Predestination è la fantascienza che voglio io. Pochi effetti
speciali, una resa notevole, una trama che – nonostante qualche
falla – sa stupire. Si inizia negli anni '70, in un bar in cui ci
si riempie a vicenda di chiacchiere inutili: è nato prima l'uovo o
la gallina? Un barman con un segreto serve da bere a uno sconosciuto
con un segreto: ha in serbo per lui una lunga confessione che parla
di loro. Va indietro negli anni: torna, parlando, a quando quello
sconosciuto al bar era ancora una lei, una donna innamorata, e
sognava di viaggiare nel cielo con gli astronauti. Scandisce a parole
il passaggio da un sesso all'altro, da un decennio all'altro e, ora,
quella persona che si chiamava Jane e che ora è John ha un destino
imprevedibile a cui andare in contro. Mentre un piromane da inseguire
a furia di salti temporali semina il panico in città, questi due
sconosciuti – che al bar parlavano di curiosi paradossi –
scopriranno di non essere chi pensavano. Tanto di cappello a questi
australiani che, dopo The Babadook, mi regalano un'altra bella
sorpresa. Predestination è un prodotto internazionale che
intriga dall'inizio alla fine, con il suo fare da vecchio cantastorie
e la sua voglia costante di sconvolgerti. I registi di quel
Draybreakers che non era niente male affinano la loro arte e
ritrovano Ethan Hawke. Bravo, al solito, non si fa mai cogliere
impreparato: passa dal film d'autore al blockbuster con maestria e di
rado si concede fragorose cadute di stile. Vista nel trascurabile
Jessabelle, ruba però tutte le attenzioni la carinissima
Sarah Snook, che coi capelli rossi e quell'indiscreto fascino nerd
potrebbe un giorno conquistarmi il cuore insieme alla Deschanel e
alla Kazan. Un ruolo ambiguo, che la vuole uomo e donna insieme e la
mostra assolutamente padrona di giochi di mimetismo. Non
inattaccabile, ma magnetico, disegna con poco scenari sterminati e ha
atmosfere retrò atipiche. Mi è mancato un perché, un senso, ma è
il come che è quasi magia. Contenuto e incontenibile, preciso e
stuzzicante, Predestination è un continuo girotondo. Un
impossibile vortice di gente che ha gli stessi occhi azzurri e
destini diversi, in cui ogni esistenza è imprevedibilmente
intrecciata con l'altra. (7)
Dopo
il discreto Catacombs,
il cinema torna nel sottosuolo della città più romantica del mondo:
Parigi. Quand'è uscito questo Necropolis,
però, l'ho ignorato. Quando l'ho visto, avevo le aspettative
sottozero. Grosso però: il film, inaspettatamente, non è male.
Visto a scatola (e a mente) chiusa, si è rivelato sin dall'inizio –
o soprattutto all'inizio – un intrattenimento avvincente; una
maniera sapiente di sfruttare una trama da poco, ma bellina coi suoi
strani miscugli, e il found footage, che qui non viene a noia. Sarà
che i protagonisti non sono i soliti adolescenti festaioli. Sarà che
ti aspetti un horror, ti trovi davanti, poi, una specie di film
d'avventura, e finisci, invece, con un claustrofobico thriller
psicologico a tinte paranormali. I personaggi sono esploratori
urbani. Archeologi che non rispettano le regole e credono ai tesori.
Scarlett crede alla miracolosa pietra filosofale ed è decisa ad
andarla a prendere, con amici reticenti e piccoli mercenari assetati
di denaro, nella tomba del più famoso alchimista. A chilometri sotto
il suolo, lontano dalle stelle. La portano lì furti di indizi,
trucchi, giochi d'astuzia che da piccolo, quando avevo la febbre e
guardavo cose come Il
tesoro dei templari,
mi piacevano da impazzire e, per sete di sapere, si troverà
catapultata in un personale inferno che ha un po' dell'antico Egitto,
un po' della Divina
Commedia.
Cosa ci fanno bambini persi nelle catacombe? Cosa ci fa, nelle
grotte, una macchina in fiamme? Com'è possibile che, nel silenzio,
si senta lo squillo di un telefono fantasma? Le risposte alle domande
prendono per la gola, ma ottenerle – o non ottenerle – non
soddisfa pienamente. Il difetto di Necropolis
è
un epilogo sbrigativo e felice, anche per chi ama il lieto fine come
me. Con una dose maggiore di cattiveria, questa grotta degli orrori
che già fa una figura decorosa avrebbe avuto una marcia in più. Per
chi legge Dan Brown e Paragorn
Hotel, storie
di ordinaria perdizione. (6)
I
film italiani non li disdegno. Le commedie però le guardo, ma non mi
viene niente da dire. Si sa già di che parlano (ossia di poco), e si
sa già come sono (poca roba). Due paroline per Scusate se esisto!
le spendo. Faccio un'eccezione per la Cortellesi e per un film
che parla di argomenti attuali con il sorriso. Uno di quelli
naturali, non da fototessera. Avete presente la fuga dei cervelli?
Bene. Uno di quei cervelli è rientrato in patria. Serena ne ha fatta
di strada e, da un paesino tra i monti abruzzesi, è volata a Londra.
Ma aveva nostalgia di casa. A sua spese è ritornata, e la aspettano
una Roma periferica, in cui la crisi si vede, come un condomino
disordinato e sporco. Il lavoro – uno dei tanti - le fa conoscere
Francesco. L'uomo perfetto... in cerca dell'altro uomo perfetto. Gay
e padre di un figlio, Francesco accetta Serena come coinquilina. In
quell'appartamento si daranno il cambio amanti mezzi nudi e, tra
false identità e fraintendimenti, si costruirà lo scenario
coloratissimo di una graziosa commedia degli equivoci. Con al comando
una Bridget Jones dall'accento meridionale, il nuovo film di Riccardo
Milani è un Will & Grace nostrano che parla delle donne e
del posto fisso, di uomini che amano altri uomini, del pregiudizio e
dell'accettazione del diverso. La regia è standard, la trama è un
collage di situazioni riuscite, gli attori sono in parte e formano
una piacevole galleria di personaggi bizzarri. Grande mattatrice
Paola Cortellesi, con al suo fianco un Bova che si lascia condurre
nelle danze. Pessimo nel recente Fratelli Unici, qui ci mette
il fisico scolpito, la faccia e tanta ironia. Esilarante la
partecipazione di Marco Bocci: il tenebroso Calcaterra della tv che
diverte moltissimo in vesti, come dire?, gaie. Epilogo aperto e non
scontato, una punta di amarezza nei pranzi in famiglia, la voglia
lodevole di fare andare a braccetto satira e rom com. Arrivato prima
dei cinepanettoni, un prodotto della tradizione nostrana che,
con la sua vaga dolcezza di fondo, a lungo andare non dà nausea.
(6,5)
Posh mi ispira veramente molto.
RispondiEliminaPersonalmente,nonostante Douglas sia ritenuto il più bello lo trovo il meno particolare dei tre. Max Irons e Sam Claflin li ho visti alle prese con altri film e li reputo dei bravi attori,poi la trama mi incuriosisce tanto!
Appena posso lo guardo,non posso farmelo scappare.Buone feste (:
Buone feste a te!
EliminaNon è un brutto film, indubbiamente, ma la cattiveria scarseggia.
Devo vedere Posh, anche io ogni tanto spengo il cervello con le commedie italiane purtroppo tutte simili. Necropolis come dici tu non è malaccio ma sono diventato intollerante ai mockumentary/food footage
RispondiEliminaAnch'io, però Necropolis sfrutta la cosa in modo intelligente. Peccato per quel finale da Disney Channel :P Posh pure è un po' edulcorato, nonostante la svolta (ovvia) della fine. So essere più acido io ahahah
Eliminathe guest è spettacolare!
RispondiEliminaposh parte maluccio, ma nella seconda parte secondo me diventa cattivo il giusto e nel complesso mi è piaciuto discretamente.
predestination al contrario comincia bene, poi diventa troppo derivativo nei confronti di altri film sui viaggi nel tempo già visti e molto migliori.
ritorno al futuro resta imbattibile :)
la cosa migliore del film è l'ottima sarah snook, che però fisicamente non mi pare al livello di zooey e di zoe. sarà che in questo film è un po' troppo mascolina... :)
scusate se esisto in futuro potrei recuperarlo. forse...
Scusate se esisto è carino: oggettivamente carino. :)
EliminaPredestination è un po' pasticciato, ma la fine mi ha stupito ugualmente - che sia coerente o meno con il resto. Un bel colpo di scena, proprio.
Sì, la Snook qui è davvero un bell'uomo ahahah
Come già sai Posh mi ha in parte delusa, visto il mio amore per la regista mi aspettavo qualcosina di più, anche solo in cattiveria. Gioca facile, anche con la scelta di attori così... fotogenici :)
RispondiEliminaGli altri mi mancano, ma forse forse, solo quello che il caro Ethan ha una possibilità di essere ripescato.
Ma io ti consiglio anche The Guest, sai? Ti fai due risate, ché ogni tanto il trash (intelligente) piace :)
Elimina"Predestination", come ben sai, mi è piaciuto parecchio, a sorpresa. Bravissima la Snook, e bravissimo anche Ethan Hawke, che ormai mi piace e convince sempre di più! ^^
RispondiElimina"Necropolis" è ancora da recuperare, ma intanto sono contentissima di leggere le tue parole: se non si rivelerà un totale disastro, potrò già dirmi enormemente contenta! XD
Non c'entra assolutamente niente, ma sai cos'ho visto io invece ieri sera? "Philomena"... semplicemente adorabile! *___*
No, Necropolis è bellino. Meritava anche un più, però io sono tirchio: peccato solo quel finale...
EliminaSì, Philomena è emozionante e dolcissimo. Poi amo la Dench: correrei ad abbracciarla :3
OH finalmente un altro parere positivo su Posh oltre il mio :)
RispondiEliminaPer Necropolis per me è un nì, ci mette troppo a carburare e poi sul più bello è praticamente già finito!
Positivo solo in parte. Poteva essere mooolto meglio. Non si impegna troppo, ecco. Eppure gli inglesi e il loro umorismo cattivo sono noti: qui si smentiscono ;)
EliminaPredestination e The Guest di cui parlerò presto da me mi sono piaciuti un casino anche a me The Guest nella parte centrale ha fatto pensare a Van Damme mentre il finale è puro slasher anni '80....
RispondiEliminaIo sono di un'altra epoca, ma qualcosa ho colto.
EliminaMio padre avrà apprezzato pure più di me :)