Conor
ha quindici anni, una famiglia che va allo scatafascio, una città che gli sta strettissima. Mamma e papà mettono in vendita la
casa, vogliono vivere altrove ma separati, e a lui tocca trasferirsi
alla scuola cattolica, in cui gli studenti indossano divise
monocolore e scarpe che non può permettersi. Vessato dai bulli per
la sua gentilezza e preso di mira dal direttore, che proprio non
apprezza i suoi occhi screziati à la David Bowie, il ragazzino trova slancio nelle attenzioni di una ragazza che si sogna modella.
Vuole comparire nell'ultimo videoclip della sua band, sì o no?
Peccato che, di band, nelle giornate del timido Conor, non ce ne siano.
Metterne su una per amore, così, e chiamarla Sing Street.
Dopo la felice parentesi americana con Begin Again, John
Carney torna a casa. Nella stessa Dublino dello splendido Once,
ma con toni che omaggiano la commedia adolescenziale, l'ultimo film
del regista irlandese è un leggerissimo, bellissimo romanzo di
formazione, sullo sfondo di un Paese tagliato fuori dal mondo.
Nelle aule campeggiano enormi crocifissi; a vent'anni si è già
disillusi; il futuro passa solo dal tubo catodico. Londra, distante
una striscia di mare appena, appare un miraggio. Qui, se ne parla
come dell'America. Top of the Pops e i vinili di un fratello
sfattone distribuiranno a piene mani pillole (della felicità) di
Depeche Mode, Cure e Spandau Ballet: tra gli effetti collaterali, un
look da camaleonte; tra i pro, sonorità che omaggiano di tutto un
po', mentre si indagano sentieri non battuti. I protagonisti, liceali
con il pop in circolo, cercano una scorciatoia e una voce. Troveranno
anche loro stessi, magari, nella prossima canzone? Sing
Street, in soldoni, parla di conquistare la bella di
turno, diventare una celebrità, non rimanere inchiodati lì. In
quella Irlanda che da lontano mi incanta, ma che dev'essere stata una
prigione con lo steccato bianco e un amen per salvarci
l'anima. Una trama elementare è però l'occasione per darsi
a un altro irresistibile concerto all'aria aperta. Il Carney retrò
immalinconisce, diverte e, da me attesissimo, non perde un colpo. E
se il suo Sing Street non ha stonature, il merito va alle
guance rosse di Ferdia Walsh-Peelo: un nome impronunciabile, le
dritte fraterne di un prezioso Jack Reynor e, vero animale da
palcoscenico, la capacità di trasformarsi da anatroccolo implume a
idolo, quando con il microfono in pugno. Se mancano i peli sul petto, i
costumisti e le groupie, si compensa con una testa che si inventa,
lassù tra le nuvole, struggenti melodrammi e scenografie rubate a
Ritorno al futuro. Se crescendo ci si è scordati di com'erano
teneri ed esilaranti i quindici anni, infatti, ci si rinfresca la
memoria fischiettando la colonna sonora più bella del mondo. Canta dell'andare fiero del tuo paio di scarpe
marroni, se il mondo ti impone il nero, e di prende il largo in
compagnia della tua sola buona volontà. Di quello, e di balli di
fine anno, sole e sirene, anche in questo novembre che ti vorrebbe
cupo, fotosensibile e boccheggiante. (8)
Dopo il successo di Il codice Da Vinci e Angeli e
demoni, anche il terzo romanzo con protagonista il professor
Langdon – a volere essere pignoli, il quarto: Il simbolo
perduto, infatti, resta ancora orfano di trasposizione – arriva
al cinema. E io, che prima che questo blog esistesse avevo trovato i
precedenti una compagnia piacevole, sono
arrivato all'appuntamento impreparato: ho Inferno in libreria
da anni, ma non l'ho letto. Accanto avevo
papà, per una volta, a sottolineare analogie e differenze; a dire
che il libro era già così così di per sé, eppure di gran lunga
superiore all'adattamento. A dieci anni dall'inizio
della saga, ritornano prontamente regista,
protagonista, compositore; l'arte italiana in filigrana e, a
scatenare l'azione, cospirazioni che minacciano di nuovo di
sconvolgere il mondo. Langdon si risveglia a Firenze senza memoria:
al suo fianco, una dottoressa che non si tira indietro davanti
all'avventura; nel taschino, un indizio che rimanda al capolavoro
dantesco. Tra la Toscana e Venezia, con una virata finale in
direzione Instanbul, Inferno è un thriller legato all'idea
che la sovrappopolazione ci annienterà in tempi brevi. Si corre da una parte e dall'altra, il tempo stringe, il
ritmo è dei più serrati; purtroppo, però, il tutto porta a un
nulla di fatto. Indebolito dalla regia da dozzinale fiction Mediaset,
da un pessimo Hanks – con lui, una Jones per cui però si hanno
sempre occhi dolci – e da un epilogo, giura mio padre, stravolto in
peggio. E quanto suonano ridicoli i dialoghi, in cui parte della
colpa è anche del nostro doppiaggio? E quanto sono abbozzati i
figuranti tutt'intorno, con tanto di immancabili cameo italiani? Si avevano basse aspettative per partito preso, e
Inferno, televisivo e senza nerbo, nonostante le tinte
orrorifiche dell'incipit, non è purtroppo neanche all'altezza di
quelle. L'indagine di un James Bond in antropausa, imbolsito e
visibilmente annoiato, che forse non sarà l'inferno del cinema, ma il purgatorio di Ron Howard. (5)
Vee viene convinta dai
migliori amici ad osare. Sulla
scia di una brutta delusione, così, si affida a Nerve: app
futuristica che spinge chi si iscrive a compiere gesti avventati.
Una variante di “obbligo e verità” in cui è contemplato solo il
primo punto; in cambio, somme di denaro, versate da followers voyeur,
e la fama mediatica. A lungo andare, la posta in gioco si alza: la
sfida, da innocente, si fa mortale. E, presto, ci si trova con le
spalle al muro. Tratto da un romanzo di prossima uscita
per Newton Compton, Nerve parte come commedia adolescenziale,
si evolve come thriller adrenalinico e, infine, arriva a un epilogo –
la parte più insoddisfacente, con gli innamorati l'uno contro
l'altra, come in Hunger Games – a tinte distopiche. Ibrido
pop, coloratissimo, con le sue luci al neon, la musica instancabile,
il montaggio dinamico, è un esperimento giovanile in cui, qui e lì,
si scorge il potenziale: le nuove generazioni prigioniere dei
social, ossessionate dai like e dalle dirette Facebook, che
perdono il contatto con la realtà, il concetto di giusto e
sbagliato, e di conseguenza si perdono, inseguendo l'ennesima folle richiesta. Di notorietà si muore, ma qui il pericolo non viene
mai percepito come reale, e mancano la giusta dose di crudezza e
coraggio. Ci si limita a farsi un po' male, ma mai nulla di grave, e
il coraggio degli sconsiderati protagonisti – l'adorabile Emma
Roberts e un Dave Franco sprovvisto del physique du role – non lo si ritrova, purtroppo, nelle
intenzioni degli autori. Il lieto fine scende come manna dal cielo,
miracoloso e affrettato, e fa sbuffare: gli Hunger Games
finiscono, dal Labirinto si scappa via, c'è pace per i
Divergent, ma dalle maglie della rete – lo dimostrano il
cyberbullismo, tutte le Tiziana Cantone che non ce la fanno a
ricominciare, i leoni da tastiera - non puoi districarti. (6)
Pericle, di mestiere, "fa il culo alla gente". Una notte, però, uccide la donna sbagliata. E, tra clan che si alleano, tradimenti e rivelazioni
sulle sue origini, non resta che la fuga a Calais. Pericle il
Nero, simbolo del tricolore allo scorso festival di Cannes, è la
trasposizione di un controverso romanzo degli anni '90. Il
progetto, fermo per un po', è passato dalle mani di Abel Ferrara a
quelle di Stefano Mordini. Nel mentre, però, Sky ha sdoganato i meccanismi della camorra e Lo
chiamavano Jeeg Robot ha aperto la strada ai bei film di questa
annata. Questione di tempismo sbagliato, per Pericle il Nero,
che tuttavia resta un onesto e curato noir d'esportazione. Producono
i Dardenne e, dall'estremo sud della versione cartacea, il film si
trasferisce al di là delle alpi: si gira al buio, e in una Europa
grigia e tentacolare. Pericle si spaccia per chi non è, s'innamora
di una panettiera madre di due bambini, fantastica di fare l'uomo di
casa. Manesco e fesso, fondamentalmente inoffensivo; tonto, perfino,
a causa delle droghe sintetiche, delle botte, di un'infanzia strana.
Il passato, però, non vuole saperne di dargli un'altra chance. La
sporcizia di Pericle il Nero è superficiale. Nonostante il
suo cruento modus operandi, infatti, l'anti-eroe di Mordini ragione a
voce alta e, finché può, evita i problemi alzando i tacchi. Dopo una buona
prima parte, i difetti arrivano nella seconda: senza connotati, senza
spazio, velocissima, con un protagonista che si muove, prende e va, e
si capisce solo successivamente dove o perché. Pericle il Nero è un esperimento
interessante, soprattutto grazie alla prova di uno Scamarcio
contraddittorio e fragile, sempre più adulto; ma lontano dalle
provocazioni, purtroppo, e altrettanto dalla memorabilità. Rapido e
alquanto indolore, non fa il culo – parafrasandolo - alle sorprese
al cinema di quest'anno: ben fatto, ma costruito alla bell'e meglio.
Qualcuno, comunque, si potrebbe accontare: un marcio Riccardo, Nina
Simone in cuffia e le luci sulla Manica, in fondo, non sono cosa che si vede spesso. (6,5)
Daniel
e Théo si conoscono il
primo giorno di scuola: si trovano. Il primo, per la pubertà che non vuole
saperne di arrivare, è detto Microbo. L'altro, il chiodo e l'olio per
motori sotto le unghie, ha il soprannome
di Gasolina. Con le vacanze estive
di mezzo, ha inizio un'avventura che somiglia a una fuga da una
normalità che appiattisce: con legno, olio di gomito e il motore di
un tosaerba super, costruiscono un'auto che dovrà portarli in giro
per la Francia. Lungo il tragitto, ospiti bizzarri, guai e svincoli.
Che promettono di legarli, lì dove i legami di sangue mancano in
natura, o di dividerli per sempre. Quanto durerà il viaggio? E,
soprattutto, come li troverà il ritorno? Stravolti, risanati,
maturi? Microbo e Gasolina, ultimo film di quel Gondry che
spesso faccio fatica a riconoscere – dopo l'intramontabile Eternal
Sushine of the Spotless Mind, infatti, non posso dire di essere
andato d'accordo con i successivi lavori, discontinui e surreali – ma che qui, senza fuochi artificiali o
fronzoli di sorta, ma a corto di fantasia giammai, è più se stesso
del solito. Sbugiardato e tenerissimo, in borghese e con il cuore in
mano, ci intrattiene con il sorriso in un'ora e mezza piena di
ricordi, adolescenti che pensano e parlano troppo, toni fiabeschi.
Sembrerebbero di altre epoche, Microbo e Gasolina, e sembrerebbe di
qualche generazione fa anche il loro romanzo di formazione su ruote:
qui e lì, ci ricordano che non sono gli anni '80 dei Duffer
Brothers, quelli, la tecnologia che sotterrano letteralmente in un
fosso e le imperfezioni delle famiglie contemporanee. Il regista non
l'ho rintracciato né nei manierismi né nei garbugli delle trame, e
per me non è un difetto, e ho voluto ai protagonisti, bravissimi, un
bene dell'anima. Qualche riserva giusto sul finale, che è amarognolo
e troppo brusco. Di quelli che ti fanno dire: ma è finito già? E
poi: cosa succede poi? (7)
Sing Street in rampa di lancio, e le aspettative sono altissime, faccio già spazio nelle cuffiette!
RispondiEliminaInferno, sono riuscita ad evitarlo, così come ho evitato tutta la saga di Dan Brown, e continuerò a starne alla larga: non fa per me.
Sono tentata invece da Nerve, anche se sembra piuttosto innocuo e tralasciabile, mentre Pericle lo sento pesante e lento fin da qua... Su Gondry, come sai, la pensiamo uguale: ha dei problemi con i finali, ma nel mezzo di mette sempre tanto cuore e tanta fantasia.
Pericle, ti dirò, non è poi così pesante. E, alla fine, lascia comunque più soddisfatti di quel Fiore di cui prima o poi parlerò. Ottimo Scamarcio, anche se qui va forte con il francese ma ha un napoletano che mamma mia... Uè uè!
EliminaNerve non ti si addice, secondo me, ma al Cannibale potrebbe piacere. :)
Nerve in effetti mi è moderatamente piaciuto, la visione scivola che è un piacere, però speravo in qualcosa di un po' più incisivo...
EliminaTu che hai una certa cultura di teen movie, non so se hai mai visto o ricordi una commediola con Sara Paxton e Alexa Vega, "Sleepover". Mi ha ricordato quello, più uno sci-fi messo a caso.
EliminaE pure Carney: il british L'ordine naturale dei sogni, con una giovanissima Felicity Jones. :)
Sing Street devo assolutamente vederlo. Non fosse altro che per fare un salto indietro nel tempo e ritrovarmi adolescente
RispondiEliminaE' un gioiellino!
EliminaIo, che eppure ai tempi non c'ero, conosco comunque benissimo quelle canzoni. Lo stereo di mio padre, in macchina, non contempla aggiornamenti (per fortuna). ;)
A questo giro concordiamo parecchio!
RispondiEliminaSing Street l'ho a dir poco adorato anch'io. Che meraviglia!
Una trama elementare, per un film che suona alla grande.
Nerve mi è sembrato un incrocio tra Hunger Games e una puntata di Black Mirror (comincia a vederlo subito!), guardabile soprattutto per Emma Roberts, ma non indimenticabile.
Così come Pericle il Nero con Scamarcio che fa il culo alla gente: apprezzabile il tentativo, risultato così così ma comunque più che decente.
Microbo e Gasolina adorabilmente fuori dal tempo.
E Inferno ancora mi manca, ma non "brucio" dalla voglia di vederlo. :D
E fai bene! ;)
EliminaSu Sing Street: sono arrivato in quel periodo dell'anno in cui inizio a non sapere cosa mettere nel listone, ma fortunatamente tra Carney e qualcos'altro, tutti film passati alla Festa del cinema di Roma, ci sono potenziali pezzi da novanta. :)
Considerando che di Brown mi è piaciuto solo Il Codice Da Vinci come libro, non mi ha sorpreso che la lettura di Inferno non abbia entusiasmata. Il film l'ho trovato un po' povero.
RispondiEliminaIo ricordo Angeli e Demoni, che forse è quello che ho preferito, una vera corsa contro il tempo su carta. I film non mi sono mai rimasti impressi, anche se hanno sempre avuto un'ottima colonna sonora. Qui, purtroppo, lascia a desiderare anche quella...
Eliminasing street miniteressa! Nerve alla fine mi son piaciuti solo i Neon...
RispondiEliminaSo che sei un fan dei neon (demon). :-D
EliminaSul film di mordini ci siamo confrontati in precedenza ;)
RispondiEliminaÉ un noir che non manca di pregi (e di difetti,eventualmente)
Inferno non mi convince e non so se mi lascerò tentare e lo guarderò...
mi segno Nerve,mi attira .... :))
Passo a leggerti, se decidi di recuperarlo. ;)
EliminaInferno è il trionfo del MEH, Sing Street nel mio mirino già da un po' assieme a millemila altre cose e Nerve mi intriga giusto per la Roberts ma temo non incontrerà i miei gusti...
RispondiEliminaMah, non lo escluderei però ;)
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