Le
abbiamo lette, le abbiamo supportate, le abbiamo immaginate.
Perfino io, fermo per ragioni sconosciute al primo romanzo. E le
abbiamo riconosciute a colpo d'occhio con commozione nella serie che
doveva farcele conoscere in carne e ossa e che, tiriamo un
sospiro di sollievo, non ha deluso le attese. Sono nate in un rione
alle porte di Napoli. Non parlavano italiano fluentemente, solo
dialetto stretto. Erano scapigliate, vestite di poco e ambizione: a
volte amiche del cuore, altre nemiche giurate. Quanta strada hanno
fatto. Prima nelle librerie di tutto il mondo, poi in anteprima a Venezia: ora sul piccolo schermo di casa nostra, e con
cifre record, nell'evento televisivo che ha compiuto il miracolo.
Dare loro un volto, un passo spedito, riuscendo a rendere giustizia
tanto alla nostra immaginazione quanto alla loro grandezza. Siamo
nella Napoli del secondo dopoguerra, la stessa di De Filippo: i
Solara e i Carracci si fanno guerra; le donne abbandonate lanciano stoviglie come la
sceneggiata comanda; i padri padroni picchiano, i
giovani sparano, le ragazze accettano a malincuore il
destino di angeli del focolare. In queste atmosfere violente,
rischiarate a sprazzi dai bagliori di una striscia blu all'orizzonte
o dalle ripetizioni di Latino sui gradini polverosi, si muovono tra
l'infanzia e l'adolescenza Lenù e Lila: la prima contemplatrice che
poco si sbottona, ma che eppure ha uno sguardo talmente parlante da
rendere superflua la voce narrante di Alba Rohrwacher; l'altra,
invece, coetanea sfortunata ma prodigiosa – nell'impossibilità di
diventare la nuova Jo March si reinventa infatti imprenditrice – che da
piccola prende a sassate i maschi, da adulta li fa
capitombolare con lo sguardo di chi non dà soddisfazioni. Dirige Costanzo, producono Rai e HBO, e l'ardimento è di casa. Al pari dell'ultimo Cuaròn, la
serie è un tranche de vie senza apparenti guizzi che, con la
scusa di un'amicizia da rivangare, racconta uno spaccato di Italia a metà tra i coming of age e le cronache
agrodolci delle nostre nonne. Abbonderanno dunque i silenzi, gli
sguardi profondi – le esordienti Margherita Mazzucco e Gaia Girace,
senza scordarci delle controparti infantili Elisa del Genio e
Ludovica Nasti, sono meravigliose –, assieme a sequenze censurate
poiché di una franchezza scomoda e di una poesia a cui il pubblico
generalista è disabituato. Il dialetto regala immediatezza, la
colonna sonora di Max Richter i brividi consueti, e la messa in scena
– con tanto di citazioni a Rossellini o ai languori di
Guadagnino – presenta gli scorci spigolosi di una tela di De
Chirico. Si parla di ruoli: quanto contano il genere, l'istruzione e
la buona sorte? A volte il talento non basta. Serve fortuna, e
conquistarla richiede compromessi inammissibili per uno spirito
orgoglioso. A volte non basta nemmeno la fama, se vivere di
rendita non aggrada. Elena Ferrante ha tutto: la fiducia dei migliori
addetti ai lavori e una schiera fittissima di affezionati. Già al
cinema grazie a Martone, Faenza e prossimamente Maggie Gyllenhaal, la
scrittrice del mistero conferma in otto episodi la sua energia vitale
e il fascino di un microcosmo che voleva farsi costruire tassello
per tassello, filmare da un regista d'eccezione, per renderci prigionieri di un quartiere – di una dipendenza nuova – senza vie
di fuga. Storia del nuovo cognome è già sul mio comodino.
(8)
Ogni
mito d'infanzia nasconde degli scheletri nell'armadio. Pensate ad
esempio a Michael Jackson o Bill Cosby. Ai sospetti, alle accuse,
alla fine del sogno. Purtroppo o per fortuna sulla reputazione di Mr.
Pickles – Tonio Cartonio, ma con marionette
annesse – non c'è la macchia dello scandalo. È stato vittima di
un incidente nemmeno dipeso da lui, che era perfettamente
presente a sé stesso, ancorato alla cintura di sicurezza, in regola
col bollo e l'assicurazione: chi gli viaggiava accanto, però, non ce
l'ha fatta. Suo figlio è morto. Come sentirsi ancora il
papà d'America senza? Come fingere l'allegria quando i brutti pensieri abbondano? Jeff ha un altro figlio, finito nel tunnel della
dipendenza a soli dodici anni; una Judy Greer fedifraga che d'un
tratto vuole andare a convivere con l'amante; la
sorella artista Catherine Keener con un marito omosessuale in odore
di outing; il papà-socio Frank Langella con programmi alternativi
per il loro show. Nel momento del bisogno, così, tutti
si reinventano per dimenticare; tutti vogliono
rimpiazzare un conduttore sprovvisto della verve di un tempo. Non
sarebbe l'ora di aprire gli occhi ai bambini sulle delusioni in
agguato, i miracoli dell'ascolto, i qui pro quo del sesso? Se lo
chiede disperatamente un Jim Carrey di nuovo in forma smagliante:
torna sulle scene in un ruolo che ha tanto di autobiografico, buffo e
vulnerabile come solo lui sa, e rinnova su Showtime il
vincente sodalizio con Michel Gondry. Il regista francese, qui principalmente impegnato come
produttore, ci mette l'intensità del cinema indie, un po' di
stop-motion, la malinconia degli ultimi sognatori. Le leggi della
messa in onda vogliono rubare al protagonista i sentimenti, perfino
l'identità: spersonalizzato, trasformato ora in un videogioco, ora
in un giocattolo parlante, Carrey è sull'orlo del collasso. Innamorarsi nel mentre di una malata terminale, nutrire
un'amicizia epistolare con un condannato a morte, elargire consigli e
donazioni anche all'automobilista incrimianto non sono un'idea
troppo brillante. La furia omicida o la rivalsa di chi infine
riprende in mano le redini sono nell'aria. Il precipizio è lì, a un
passo, ma Mr. Pickles insegna che giù dalla cascata si apre spesso
un miracoloso paracadute. Quanto deve durare l'illusione?
Soprattutto, quand'è che lo spettacolo deve continuare? Non sono
tematiche queste, non sono serie TV – per qualità e impegno –, con cui
scherzare. (7)
Troppo
con i piedi per terra per prestar fede ai supereroi, mi piace però
credere nelle eccezioni alla regola e nelle buone intenzioni.
Nell'arco di un paio di stagioni ho creduto al trionfo e alla
caduta di un giustiziere con il mondo contro: folle –
anzi, cieco –, e per quello amatissimo da pubblico e critica. Meno
da Netflix, che dall'oggi al domani ha
deciso di non rinnovarlo nelle proteste generali. Riapprocciarlo
allora in ritardo, con parsimonia, e a sorpresa trovarsi davanti una
stagione senza sbavature né parentesi da sciogliere. Che fine ha
fatto Matt Murdock, avvocato di giorno e paladino di notte? Non è in
un'aula di tribunale né nel suo appartamento sfitto. Il suo studio
ha chiuso i battenti e, in tredici episodi, non indosserà mai la
tuta rossa. Prima creduto morto, poi etichettato come nemico
pubblico, si conferma un vigilante atipico perché dolente e umano:
l'eroe che piace a chi non apprezza l'universo Marvel. In
crisi d'identità, si muove nel sospetto come il
Cavaliere di Nolan. Ci sono cose della sua infanzia che non sospetta. Ci sono torti, crimini, che vanno scontati
ammazzando e non davanti a un giudice. La fede nel Diritto lo ha
tradito, lo ha tradito anche Dio. Mentre il collega Foggy ambisce
alla carica di procuratore e Karen fa i conti con mani
macchiate di sangue, il potente Fisk ha trovato l'ennesima
scappatoia dalla galera. Agli arresti domiciliari in una safe house
che ha tutta l'aria di un hotel a cinque stelle, tiene in scacco a
suon di ricatti e vendette perfino l'FBI: tutti sono
corruttibili – soprattutto Nadeem, agente con famiglia a carico, e
Bullseye, nemesi dalla mira perfetta. Sfiduciato, ateo
all'improvviso, Daredevil frequenza le chiese – a curarlo è una
suora con un segreto scomodo – e si interroga sui passi fatti, su
quelli da fare. Uccidere per la prima volta un uomo, o rimetterlo in manette con il rischio che di lì a
poco s'imbatta in un altro secondino da assoldare? La serie di Goddard conferma di non avere né effetti speciali né prodigi
mirabolanti. Non ha i superpoteri – sanguina, sfoggia i
lividi e i punti di sutura –, ma è super. Una granitica crime
story che lascia da parte la lentezza della stagione introduttiva,
gli affollamenti della seconda, e trova con successo una dimensione
noir assolutamente atipica per il genere. Così come
atipiche continuano a essere le scazzottate in piano sequenza,
l'intensità di Cox e D'Onofrio nei ruoli della vita
– sorprendente il villain di Wilson Bethel, bello che non ballava
in Hearts of Dixie –, le polemiche per la cancellazione
immerita. Sì, perché Daredevil purtroppo si chiude qui. Con
il numero perfetto, il tre, e il migliore dei congedi:
giù la maschera, fino a svelarci il suo volto più tormentato. E per
questo più autentico. (8)
Ciao e buone feste :D
RispondiEliminaL'amica geniale e Kidding devo recuperarli al più presto, di Daredevil ho amato anche questa terza stagione e mi piange il cuore a pensare che non vedremo altro.
Verissimo, però il finale mi è piaciuto talmente tanto che sono a posto così. Buone feste!
EliminaL'amica geniale ottima serie, sebbene mamma Rai le abbia tentate tutte per depotenziarla. Se censurano delle scene fondamentali, a un certo punto farebbero meglio lasciare la produzione alla sola HBO e continuare a trasmettere solo le loro fiction rassicuranti per famiglie...
RispondiEliminaC'è però qualcuno ancora più insopportabile dei tagli Rai: Mr. Pickles! :)
Mamma mia quanto ho odiato lui e la sua serie, e sì che io di Gondry avevo amato praticamente tutto il resto. Qui dentro il suo tocco però non l'ho quasi trovato.
Daredevil l'avevo lasciato con la noia della seconda stagione e nonostante il tuo votone non ho tutta 'sta voglia di recuperare la terza.
Trattandosi di un nudo integrale di una sedicenne e di una violenza sessuale più insistita, non penso fossero scene così tanto indispensabili, nonostante la censura sia sempre dannosissima.
EliminaTipo i tuoi pareri contro due signore serie TV!
Kidding è cresciuto piano piano, toccando vertici e temi bellissimi. Vallo a capire il Cannibale che non ha apprezzato svolte e poesie!
RispondiEliminaCon L'amica geniale ho preferito aspettare, troppo dentro alla storia, troppo il clamore per apprezzarlo come vorrei. Fra qualche mese, magari.
Ed è un po' un peccato, nei listoni non dovrebbe mancare. 😔
EliminaKidding, nonostante le buone recensioni, l'ho saltata a piè pari e non ne sento la mancanza.
RispondiEliminaCon L'amica geniale sono in pieno recupero, e la trovo semplicemente perfetta. Spero che le prossime stagioni siano all'altezza *^*
Tanta tristezza per Daredevil, a questo punto credo che sarà seguita a ruota da Jassica Jones e The Punisher. Da un lato stilettata al cuore, dall'altro almeno si può dire che la serie ha avuto una specie di fine.
The Punisher dici che è da recuperare? Nella seconda stagione avevo adorato il suo ruolo.
Eliminaanche io son rimasta entusiasta de L'AMICA GENIALE.. e anch'io proseguirò con la lettura del secondo libro perchè son ferma al primo :-D
RispondiEliminaCi aggiorniamo allora!
EliminaKidding♥ invece l'amica geniale proprio non mi ispira né libri né serie... :(
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