Lei è artista e mamma: la classica moglie trofeo. Lui è nel ramo delle costruzioni, ma non riesce a costruire una casa per i genitori lontani: nel frattempo fa da padre al fratello minore. I protagonisti si incontrano e si scontrano nel parcheggio di un supermercato. Uno sgarbo da poco creerà una stori di vendetta lunga diversi anni e dieci episodi. Le premesse sembrano quelle di una commedia romantica. Il prosieguo, degno di un un purissimo dramma introspettivo, sfocia perfino nel thriller sparatutto. Beef è una commeda. È un crime. È tutto quello che c'è nel mezzo. È, a oggi, tra le serie dell'anno. Merito di un cast come Dio comanda, in cui Ali Wong e Steven Yeun fanno continuamente a gara di bravura; merito di una sceneggiatura che unisce il nichilismo di un Bojack Horseman a tutta la freschezza del cinema asiatico. Quando fa bene a Hollywood la carica sovversiva delle penne coreane? Un po' fuori posto in Occidente, ognuno alla ricerca del proprio spicchio di sogno americano, i personaggi sono il frutto bacato della società aggressiva dei self-made men. Ai due estremi del ring, benché curiosamente simili nei tormenti, si combattono a sangue. Ma si specchiano, nel frattempo, l'uno nell'altra. Può lo scontro frontale tra due solitudini non rivelarsi mortale? La risposta è in un finale tanto assurdo quanto memorabile, capace di regalare un sorriso commosso all'indomani di un'allucinazione alla Wertmuller. (8)
venerdì 1 dicembre 2023
Per trenta minuti: Beef | Tore | The Lovers | Still Up | Heartstopper S02
venerdì 24 novembre 2023
Ritorni d'autore: Babylon | Oppenheimer | Coup de Chance | The Killer | Monster
Due innamorati ballavano romanticamente e si interrogavano, speranzosi, su come conciliare sentimenti e carriera. Questa volta ci sono elefanti in pista da ballo, umori corporei, feticismi. Come si è passati dal musical al baccanale, dal sogno al delirio? Caustico, volgare e disincantato, il film tradisce la fiaba per raccontare l'evoluzione della settima arte. E la progressiva degenerazione del mondo che c'è dietro. Si passa dal muto al sonoro, dai divi alle meteore, dal western alla commedia: il tutto per accontentare un pubblico che in fretta si annoia e dimentica. Babylon ha anticipato lo sciopero degli sceneggiatori. Ha irritato Hollywood e infastidito gli spettatori, entrambi artefici del meccanismo perverso che fagocita i protagonisti. Il pubblico deve essere intrattenuto. Chi non sa reinventarsi è spacciato. Pitt è sul viale del tramonto, come l'amica Swanson; Robbie prende lezioni di etichetta, ma il richiamo del lato selvaggio è forte; Calva rischia di essere risucchiato dal caos della festa che si limitava a contemplare. Questo Chazelle è coreografico come Luhrmann; folleggia come Tarantino. Maneggia serpenti, ammazza comparse, divora topi. Provoca e denuncia, in un'opera esilarante ed esaltante, pornografica e candida. Mi rincresce averlo perso al cinema. Sarebbe stato un onore piangere insieme al protagonista, nel finale, e guardare attraverso i suoi occhi schegge di Gene Kelly, di angeli e fantasmi. (10)
giovedì 16 novembre 2023
Recensione: Giù nella valle, di Paolo Cognetti
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Giù nella valle, di Paolo Cognetti. Einaudi, € 16, pp. 124
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Quella di Paolo Cognetti è una scrittura che ha trovato negli opposti la sua segreta armonia. È calda, ma freddissima. È delicata, ma scabrosa. La sua massima espressività? A sorpresa, in una storia come questa: apparentemente senza sorprese. Lungo poco più di cento pagine, Giù nella valle è un romanzo breve ma compiuto – spietato, convulso, intenso. Questa volta siamo nei primi anni Novanta, a novembre. Non fra le cime svettanti, ma a valle. Considerata il pisciatoio d'Italia, la Valsesia è un imbuto asfissiante in cui proliferano nebbie, alluvioni, bettole mal frequentate. I camion scaricano rifiuti industriali nelle cave abbandonate, il fiume è inquinato dai solventi chimici, l'illuminazione è costituita dai neon delle insegne dei bar. Il tasso di alcolisti e suicidi è alle stelle. Più cupo, questo Cognetti ha il fascino ombroso del fondovalle e fa spazio al dramma di due fratelli agli antipodi.
Lo sai cosa vorrei, invece? Un bell'abbraccio da mio fratello. O anche fare a pugni, scegli tu. Ma qualcosa di vero.
Luigi fa la guardia forestale: pallido e ordinato, somiglia al larice piantato dal padre. Alfredo, invece, è un abete: pungente e frondoso, ha conosciuto il Canada, si è spinto fino al Mar Glaciale e infine è tornato indietro, complice un'eredità da impugnare. Fra di loro ci sono: una belva che semina cani sbranati; una donna un tempo contesa, Elisabetta, che fa il bagno nuda nel fiume e ha preparato uova sbattute a suo suocero fino al giorno in cui il vecchio non l'ha fatta finita; una casupola a 1800 metri d'altezza che presto confinerà con una pista da sci. Mentre la conta dei morti cresce, il progresso fa timidamente capolino: per lasciare spazio al divertimento dei turisti, toccherà abbattere oltre cinquemila alberi. Non ci vuole molto a cogliere analogie con i romanzi precedenti: i protagonisti dai caratteri opposti ricordano gli amici lontani di Le otto montagne; Fontana Fredda e la vita selvaggia facevano già capolino nel più fiabesco La felicità del lupo. Cognetti ormai scrive sempre la stessa storia? Forse sì, ma ancora una volta la scrive meravigliosamente bene, pur auspicandomi un ritorno in città per il prossimo romanzo. A dispetto della ripetitività delle tematiche e della debolezza dei personaggi femminili – le donne di Paolo sono tutte forestiere, detentrici di valori familiari e calore: non persone né personaggi; candidi archetipi piuttosto –, è impossibile non lasciarsi incantare da una voce carezzevole che omaggia il Bruce Springsteen di un famoso album datato 1982.
Era piccola, la sua valle, eppure c'erano ancora posti che non aveva mai visto. Sceso dall'argine, lasciò andare avanti l'uomo e osservò il paesaggio di pioppi e betulle, una conca dove la Sesia faceva un'ansa, tra i banchi di ghiaia modellati dalla corrente. Adesso che era in secca, il fiume si diramava creando isolotti e spiagge. Gli venne in mente che dieci anni prima ci avrebbe portato Elisabetta a fare il bagno, ma per i bagni nel fiume c'era una stagione, nella vita, che poi chissà perché passava. Poi veniva la stagione dei figli, delle case da comprare e ristrutturare, dei vantaggi di un lavoro salariato.
Sinceramente grato, Cognetti cita le canzoni e gli scrittori del cuore: sono tutti americani. Ma è alla provincia italiana che deve gli incisivi spaccati per le troppe birre aperte con i denti, il vino rosso e lo spezzatino in tavola, i misantropi un po' romantici che preferirebbero una tenda nel bosco al tepore del talamo, i fiumi che vogliono rigorosamente l'articolo determinativo declinato al femminile. Il suo personale Nebraska è una partita a mosca cieca. Un girare in tondo animato da furia e tenerezza, in cui Luigi e Alfredo, divorati da una struggente tensione verso l'alto – gli occhi sempre puntati lì, sull'abbacinante Monte Rosa –, si inseguono sulla scia di una domanda. Il larice e l'abete crescono bene fianco a fianco, o si fanno troppa ombra a vicenda? Una lite, un incendio, li ha fatti ardere qualche anno prima. La neve caduta ha spento le fiamme soltanto all'apparenza. Il fuoco è penetrato nel terreno, l'incendio è soltanto dormiente. Basta un soffio di vento, e Luigi e Alfredo torneranno a bruciare. E, forse, a volersi bene.
Il mio consiglio musicale: Bruce Springsteen – The River
venerdì 10 novembre 2023
Recensione: Chiodi, di Antonio Schiena

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Chiodi, di Antonio Schiena. Fazi, € 16, pp. 180 |

| Chiodi, di Antonio Schiena. Fazi, € 16, pp. 180 |
Era lecito aspettarsi più carattere da uno che gestisce una pagina intitolata Antipatia gratuita. È il primo pensiero che ho fatto una volta terminata la lettura di Chiodi, ultimo romanzo del trentatreene Antonio Schiena ma il primo pubblicato con un grande editore. L'autore, da me molto apprezzato sui social per i suoi post deliziosamente caustici, arriva in libreria con una piccola storia sul diventare grandi. Ma mancano la fermezza di Niccolò Ammaniti, la fantasia ardita di Stephen King e il suo romanzo, generalista e didascalico, si rivela una fiaba nera adatta soprattutto a un pubblico di giovanissimi. In un imprecisato paese del Sud, si è diffusa una leggenda che accomuna generazioni vicine e lontane: racconta dell'Avvinto, un giovane arrogante che sfidò la morte e ne pago le conseguenze. È forse lui il nuovo guardiano del cimitero? I bambini si sfidano a scavalcare i cancelli e ad affrontarlo. Una volta tornati indietro, saranno uomini. A prestarsi al rito di iniziazione è Marco: un tredicenne disarmonico e sgraziato, reduce da un'infanzia di prodotti sottomarca e da anni spesi a incassare le vessazioni dei gradassi. Fra il bambino e il guardiano, entrambi emarginati, nascerà un breve dialogo intergenerazionale dagli incastri drammatici, ma non così imprevedibili. Marco vuole una storia da raccontare ai compagni. Ha importanza se sia le verità oppure no?
Essere soli non è male. Essere circondato dalle persone sbagliate è molto peggio.
I temi, delicatissimi e sempreverdi, vanno dalla rabbia repressa al bullismo, dell'isolamento alle onde sismiche del rancore. Peccato per l'abuso di luoghi comuni, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi: i bulli fumano e indossano il chiodo; il guardiano ha un occhio guercio e un alano nero al seguito; Marco ha un armadio total black, un amico in sovrappeso, una mamma troppo presa delle frequentazioni occasionali per curarsi di lui, una manciata di professori ciechi e sordi davanti alle prepotenze. Storia di due solitudini allo specchio, Chiodi attinge a un immaginario lugubre e malinconico. Piace quando è di corsa, fra le lapidi del cimitero, ma fa storcere il naso per la prevedibilità degli altri scenari. Schiena scrive in punta di penna. Concede ai lettori un finale amaro il giusto, ma non calca la mano per eccessiva prudenza. Ne viene fuori una morality play poco sfumata, ma al contempo senza colori decisi. Una vicenda a tinte forti né abbastanza oscura da inquietare, né abbastanza luminosa da regalare speranza agli afflitti. Come il suo protagonista, al crocevia tra infanzia e adolescenza, sceglie di mantenersi insomma in una zona liminare, dove il Pinocchio in copertina fatica a diventare un bambino vero. Sulla soglia del camposanto. Nel limbo delle occasioni mancate.
Il mio consiglio musicale: Fabio Concato - Fiore di maggio
lunedì 6 novembre 2023
Recensione: Le schegge, di Bret Easton Ellis
Un telefono a disco squilla nel salotto di una villa con piscina. Scatta la segreteria. Dall'altra parte, qualcuno sospira. Il suo silenzio vibra di minacce. Lo hanno preceduto effrazioni, regali misteriosi, animali domestici sottratti. L'obiettivo finale sono i giovani padroni di casa. Il serial killer, soprannominato Il Pescatore a strascico, comporrà un mostruoso patchwork con i corpi smembrati. L'inizio è degno di uno slasher di Wes Craven. Il prosieguo, a metà tra teen drama e satira sociale, è un'indagine antropologica della “peggio gioventù” di Los Angeles. Correvano gli anni Ottanta. Una volta ottenuta la patente, gli adolescenti sgommavano lontani dai rigidi regolamenti delle loro scuole private e dai confini sicuri dell'infanzia. Meta: la perdizione. Quelli cantati nel girone dei dannati di Bret Easton Ellis sembrano sbucati da un dipinto di David Hockney. Dediti a edonismo e oppiacei, belli e ricchissimi, appaiono disinteressati a tutto. Non li sfiorano le nozze di Carlo e Diana, l'omicidio di John Lennon, la setta dei Cavalieri dell'oltretomba, le avance sessuali degli adulti. A turbarli, piuttosto, è l'arrivo di Robert Mallory. Chi cambierebbe mai scuola l'ultimo anno di liceo? Da dove viene quell'adone al contempo sensuale e candido, che minaccia di far scoppiare coppie storiche – Susan e Thom, il re e la reginetta della Buckley –, ma cela un passato di disturbi mentali?
Molti anni fa mi resi conto che un libro, un romanzo, è un sogno che chiede di essere scritto nello stesso modo in cui ci s'innamora di qualcuno: il sogno diventa irresistibile, non c'è niente che tu possa fare, e infine cedi e soccombi anche se il tuo istinto ti dice di battertela a gambe perché potrebbe trattarsi, dopotutto, di un gioco pericoloso – in cui qualcuno probabilmente si farà male.
Da sopra gli occhiali da sole lo studia lo stesso Ellis; gli occhi appannati per la brama e il Valium. Segretamente omosessuale, benché fidanzato con la figlia di un famoso produttore cinematografico, l'autore sperimenta una dolorosa attrazione verso l'ultimo arrivato in città. E ne fa, presto, la sua ossessione. Il trasferimento di Robert coinciderà con un'ondata di follia lunga l'intero anno scolastico. È realmente lui il responsabile della rete di delitti che si stringe sempre più intorno agli amici di Bret? O la sua colpa più imperdonabile è quella di aver infranto il sogno di illusoria perfezione dei protagonisti, ponendo freno a un'estate creduta, a torto, senza fine? Tutti hanno un segreto. Tutti stalkerizzano tutti. In settecento pagine, a momenti alterni, tutti saranno vittime e carnefici; intrusi e perseguitati. A quarant'anni di distanza dai tragici eventi del 1981, l'autore sfida il disturbo post-traumatico da stress e sfoglia a ritroso un annuario dalla nutrita sezione in memoriam. Questa è una storia vera. O quasi.
Voi tutti non fate altro che proteggervi a vicenda. Da cosa? Dalla realtà.
Irresistibile nella sua inattendibilità, Ellis è ammicca furbamente ai temi caldi dei social: la retromania, l'autofiction, il true crime, il queerbaiting. Prende i tormentoni contemporanei e, all'apparenza, li sconsacra. Ma, a dispetto del cinismo diffuso – la dedica del romanzo recita proprio: A nessuno –, ci restituisce la rievocazione più verosimile e accorata di una generazione, di un mondo, a un passo dall'annientamento. Le schegge è un elettrizzante incubo vestito Ralph Lauren in cui il sangue e lo sperma, le paranoie e le prurigini occultano la nostalgia per un inconfessato primo amore. Lettore e cinefilo instancabile, il giovane Bret guardava il mondo con il voyeurismo compulsivo tipico degli scrittori. La sua futura professione lo rendeva attento già allora. Lo rendeva già bugiardo. Fermo al tempo dei suoi sconsiderati sedici anni, firma un thriller tanto spaventoso quanto eccitante – di quelli da leggere con la luce accesa, e con un'erezione prepotente nei boxer. Ma anche un sorprendente amarcord sull'impossibilità di risolvere il giallo di Robert Mallory, quando si è ancora intimamente irrisolti come adulti. Cosa resterà di quegli anni Ottanta? La voglia di vivere, amplificata a dismisura dalla paura di morire. Le schegge di un trip stupefacente, da cui sarà amaro svegliarsi soltanto per poi scoprirsi casti, invecchiati, sobri.
Il mio consiglio musicale: Ultravox – Vienna
martedì 31 ottobre 2023
Un Halloween in streaming: La caduta della casa degli Usher | The Last of Us
Dopo aver adattato Jackson e James, Mike Flanagan chiude la sua ispiratissima trilogia gotica cimentandosi con un altro capolavoro dell'horror. Questa volta si rifà al maestro dei maestri, Poe, e lo omaggia in una serie densa di citazioni. Se la cornice narrativa è quella del racconta La caduta della casa degli Usher, ogni episodio si rivela invece una reimmaginazione delle novelle più spaventose. Le puntate sono caroselli di storie dentro storie. Sontuose feste di morte in cui le dipartite, splatter e fantasiosissime, provengono ora da Il gatto nero, ora da Il pozzo e il pendolo. Roderick – un carismatico e fascinoso Greenwood – è il fondatore di un'industria farmaceutica responsabile di un'epidemia di oppiacei. Spietato e senza scrupoli, ha intrapreso una fulminante scalata sociale insieme alla sorella e messo al mondo una progenie corrotta quanto lui. In pochi giorni si troverà a seppellire tutti e sei i figli. Qual è il prezzo da pagare, in una vicenda di avidità, sesso e ambizione? Meno horror delle serie precedenti ma perfino più crudele, con i suoi monologhi caustici e riflessioni al vetriolo sul consumismo, l'ultima scommessa di casa Netflix è una saga generazionale sul male di cui, a volte, le famiglie sono capaci. A interpretare gli Usher tornano i soliti attori feticcio. Su tutti aleggia la presenza seducente di Carla Gugino, la cui bellezza senza tempo la fa muovere fra epoche e travestimenti, offerte e minacce. Chi non berrebbe un cognac con lei? Gli unici incorruttibili: una nipotina idealista e un tuttofare dal passato rocambolesco (di lui parlano Le avventure di Arthur Gordon Pym), interpretato da un inatteso Hamill. Dimenticate la commozione per gli sfortunati eredi di Hill House, per me di una perfezione insuperata; gli spettri – un po' troppo melensi – di Bly Manor. Qui non c'è consolazione nell'aldilà. Non c'è riconciliazione nell'oltretomba. Sono già uno strazio le cene condivise. Chi vorrebbe trascorrere insieme anche la vita dopo la morte? (8)
martedì 24 ottobre 2023
Recensione: La coppia felice, di Naoise Dolan

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La coppia felice,
di Naoise Dolan. Atlantide, € 18, pp. 272 |

| La coppia felice, di Naoise Dolan. Atlantide, € 18, pp. 272 |
Che fine hanno fatto le commedie romantiche? Il quesito è emerso durante una conversazione fra amici. Si sentiva nostalgia di Meg Ryan e Julia Roberts, dei lieto fine annunciati, dei titoli di coda subito dopo i fiori d'arancio. Che fine hanno fatto gli innamorati noiosamente contenti, che vivono il quotidiano senza spaccare il capello in quattro? Non ne troverete di certo nel nuovo romanzo di Naoise Dolan. Una commedia sofisticata che parte dal coronamento di un sogno d'amore, il matrimonio, per poi trasformarsi in un giallo dei sentimenti in cui tutto è a rischio: cerimonia compresa. I protagonisti dell'autrice irlandese sono l'incubo dei novelli promessi sposi; il dramma dei wedding planner. Tutt'altro che sereni e sorridenti, si raccontano e si lasciano raccontare in un conto alla rovescia arguto e imprevedibile, fatto di liste per punti, tabelle e diagrammi, bozze di giuramenti. Lui, Jake, è un manager traditore e indeciso: "fidanzato trofeo", patisce la distrazione e la freddezza della partner. Lei, Celine, è una pianista troppo assorbita dalla sua professione per badare al resto: indossa sempre guanti protettivi per non rovinarsi le mani e vive similmente anche il sesso. Attorniati da una galleria di parenti invadenti, si defilano quando possono. E, in segreto, minacciano di tagliare la corda prima dell'altare.
La solitudine non era non avere nessuno. La solitudine era l'abisso tra quello che speravi e quello che avevi.
Nel corso della lettura interverranno Phoebe, la pecora nera della famiglia con un fiuto per le bugie; Maria, la ex di Celine; Archie, l'ex di Jake; infine Vivian, gallerista che infonderà saggezza quando tutti minacceranno di perdere il controllo. Come il genere ormai comanda, i personaggi sono tutti bisessuali e multietnici; considerano la fedeltà un retaggio del patriarcato e sono negati nelle scelte. Parlano molto, pensano troppo, vivono l'affanno delle convenzioni sociali. Giurano di amarsi… Ma oggi l'amore è forse abbastanza? Troppo lontani da me, questa volta mi hanno reso arduo empatizzare: li ho osservati a distanza. Stranito, sì, ma col sorriso. Disillusa, amara, eppure esilarante, a un certo l'autrice li fa discorrere di Jane Austen. E quanto mi avrebbe divertito La coppia felice in abiti ottocenteschi, con le sorelle Bennet che parlano in gaelico per spettegolare impunemente e un Darcy queer che tracanna gin tonic per sfuggire alla vita adulta. Dolan omaggia il romance, e poi lo vampirizza per saziare noi millennial affamati d'amore e cinismo. Non esiste una sola anima gemella. Sarebbe quindi tempo sprecato non provarci con tutte, no? Le fedi, girate e rigirate in preda all'indecisione, scaveranno solchi sull'anulare.
Il mio consiglio musicale: Annalisa – Mon Amour
mercoledì 11 ottobre 2023
Recensione: Polveri sottili, di Gianluca Nativo
Cosa sarebbe successo se, in uno dei momenti più struggenti di Persone normali, Marianne avesse seguito Connell? Il secondo romanzo di Gianluca Nativo, quasi a prendere le mosse dal cult generazione di Sally Rooney, parte lì dove molti amori sospesi hanno fine: dal bivio delle relazioni a distanza. Eugenio e Michelangelo, giovani e per questo fiduciosi, credono che saranno l'eccezione alla regola. Continueranno a volersi anche lontani, così come si sono voluti nel corso di un'estate che credevano eterna. Si sono conosciuti in una Napoli deserta, nel limbo dei neolaureati. Nel momento più giusto; in quello più sbagliato. In attesa che il futuro bussasse alla porta, si sono goduti con la lentezza dei pensionati un incanto ischitano fatto di arte e gite fuori porta. La carezzevole lentezza della bella stagione lascia presto il posto alla frenesia dei sobborghi inglesi, lontani dallo spettacolo dei fuochi artificiali e dagli spritz sul mare.
A te in fondo le periferie piacciono. A te piaceva Michelangelo.
Eugenio, specializzando in Medicina, si trasferisce a Londra. Michelangelo decide di seguirlo, ma dopo un po' partirà per Milano, assistente editor presso una brutta casa editrice. Dopo averci raccontato l'iniziazione di un giovane nel mondo delle app d'incontri, Nativo ritorna e fa centro con un romanzo sincero, spietato e universale, scritto con la stessa sincerità di certe canzoni indie. Per stare insieme, oggi, basta amarsi? Vittime di un brutale shock culturale, destinati ai dolori dell'incomunicabilità, i protagonisti sperimentano nuove routine, lunghi silenzi e l'idillio sporadico delle rimpatriate. Più che con le parole, si parlano con le foto WhatsApp. E, di notte, in attesa dei messaggi dell'altro, si addormentano con i cellulari alla mano. Nella mia vita sono stato sia Eugenio che Michelangelo. Ho provato a dimenticare, a dimenticarmi, camuffando invano l'accento e rifugiandomi in un nevrotico schematismo da primo della classe; ma mi sono spesso sentito anche fragile e bisognoso, mediocre, troppo spaesato per rinunciare a farmi guidare.
Non devi seguirmi sempre, vorrei essere io per una volta a seguire te.
Una relazione richiede pazienza, cura, attenzione. Quando si diventa adulti, tocca scegliere: o noi stessi, o gli altri. Questa vita ci vuole distratti e ambiziosi per restare a galla. Questa vita, forse, ci vuole soli. Fra rotture e ritorni di fiamma, i novelli “spatriati” fanno timidi tentativi per essere felici insieme. Simmetrici nell'inquietudine, nei giorni pari si rifugeranno in un nido di lenzuola e dimenticheranno tutto: perfino il Capodanno. In quelli dispari, invece, la nostalgia e la frustrazione li porteranno in aeroporto. Dall'aereo appare tutto più piccolo, sospeso. Sulle nuvole il mondo sottostante è un presepe nascosto da una cortina di smog. È forse possibile non atterrare mai, per eludere questa domanda che incalza: «Dov'è realmente casa?».
Il mio consiglio musicale: Marco Mengoni – Caro amore lontanissimo
martedì 3 ottobre 2023
Recensione: L'ultima cosa bella sulla faccia della terra, di Michael Bible
Harmony, Carolina, è costruita sulle bugie. All'apparenza placida e accogliente, è una città in cui il sonno della ragione ha generato mostri. Fra omofobia, razzismo e fanatismo religioso, l'armonia non è di casa. A portarne alla luce le contraddizioni è stato il gesto estremo di un giovane: folle, o forse annoiato. Iggy, l'outsider della scuola, ha tentato di darsi fuoco al centro della chiesa. Non ci è riuscito. Ma nell'incendio sono morte venticinque innocenti. Come si sopravvive a una tragedia? Quando scompaiono, sulla pelle e nella memoria, i segni del fuoco? Crudo, lisergico, eppure delicatissimo, il primo romanzo di Michael Bible edito in Italia racconta una storia in punta di penna, perfetta per coloro che sono stati a Holt con Haruf o a Fabbrico con Camurri.
Eravamo innocenti. Convinti di essere speciali. Sbronzi tutti i weekend al centro commerciale. Il mondo era nelle nostre mani. Non ci importava del tempo. L'amore era una cosa scontata. La morte aveva paura di noi. Adesso abbiamo il grigio nella barba. Il cielo è un livido viola.
Scritto magistralmente, accoglie un coro greco di personaggi segnati dal gesto di Iggy. Ci sono gli ex compagni di liceo, ormai adulti, che fanno raffreddare il caffé mentre mettono a confronto i loro ricordi. C'è un timido bibliotecario che stringe amicizia con una donna in fuga da una setta religiosa, e per mezzo di lei trova un po' di fiducia nel genere umano. Ci sono due vecchi innamorati, divorati da una lontana inquietudine, che si ritrovano dove tutto ha avuto inizio. E c'è, soprattutto, il piromane: nella sua cella attende l'iniezione letale e ripensa. Al magnetismo che l'ha spinto prima tra le braccia di Cleo, poi di Paul; alle droghe, ai superalcolici, ai video morbosi; al desiderio perenne di vincere l'insensibilità attraverso il dolore. Sottilmente collegati, i protagonisti invocano la guerra nucleare come i futuristi del primo Novecento. Annichiliti e affamati, preferiscono l'abisso al nulla cosmico. A Harmony, sanno, non succede mai niente. Non resta che l'omicidio, dunque, per scuoterla alle fondamenta?
Sogno per tutto il genere umano un'utopia in cui l'amore è legale e piove champagne.
Qualcuno va via. Qualcuno torna. Qualcuno la ama e la odia contemporaneamente. Sfondo di un amaro giro di vite, si fa emblema di un Sud bello soltanto nelle canzoni folk. Suggestivo ma sfilacciato, troppo esile nell'intreccio, Bible demitizza e denuncia. Ma salva dall'indignazione generale i tramonti rosso sangue, le stelle cadenti, i fiori del corniolo visti attraverso le inferriate. E se perfino la campana in cima alle torre dell'orologio può tornare a suonare come d'incanto, non sembra troppo tardi per sperare. Nei miracoli. Nell'ultima cosa bella sulla faccia della terra.
Il mio voto: ★★★
lunedì 18 settembre 2023
Recensione: Il gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
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Il Gattopardo, di Giuseppe
Tomasi di Lampedusa, €
13,
pp. 304
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L'ho portato con me in Sicilia. Mancavo da vent'anni. Come il Gattopardo, sono sempre stato un nostalgico. Il Principe Fabrizio è una bestia mansueta. Incombe placidamente su uomini, donne e feudi. Su di lui, in salotti splendidi ma già polverosi, ci sono volte affrescate con pappagalli e bertucce, angeli e dei. Fuori dal suo palazzo, invece, si estendono giardini dai profumi stordenti: la dolcezza dei fiori di pesco, tuttavia, non nascondere il tanfo di putrefazione che sale intanto dal corpo di un soldato, morto proprio sotto le fronde di casa Salina. Ambientato tra l'arrivo dei garibaldini e il primissimo Novecento, il capolavoro di Tomasi di Lampedusa è una saga familiare sulla fine di un'era e l'inizio di un'altra; lo spaccato di un ceto, quello nobiliare, sprovvisto di qualsiasi sapere pratico e ottusamente chiuso al progresso; il gioco strategico di un grande pater familias, che riversa le sue ultime ambizioni nel nipote Tancredi pur di non conoscere l'oblio. Anche a costo di spezzare il cuore alla figlia Concetta.
Ma Lei sa meglio di me, principe, che anche le stelle fisse veramente fisse non sono.
Ogni capitolo ci apre per circa un giorno le porte della residenza di Donnafugata. È una scenetta dal gusto teatrale, in una commedia in costume e di costume. Amarissima, ma pur sempre una commedia. Qui, un narratore dalla sensibilità contemporanea fa gustosamente il verso alla fiorita prosa ottocentesca, ma delinea con mal celata ironia l'opulenta mollezza del palazzo. Perfino la bellissima Angelica, figlia di un parvenu da spennare, è sorpresa nell'atto di togliersi del cibo tra i denti con la forchetta. E il budino al rum prediletto dal padrone di casa? Diventa un fortino minacciato dalle forchette dei commensali, simbolo della disfatta in agguato. Tra tedio e intrighi matrimoniali, si spettegola delle prime femministe che protestano per il diritto al voto e della smania di collezionismo di taluni. Irresistibile e chirurgico, Tomasi di Lampedusa ci rende partecipi di una rivoluzione politica e familiare; di un risveglio dei sensi, a cui seguirà poi un timido risveglio delle coscienze.
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
La Sicilia, troppo avvezza agli invasori per temere grandi cambiamenti, sonnecchia nella furia del solleone. Gli anziani rosolano al sole, il basilico contrassegna la casa delle prostitute, le suore custodiscono le ricette dei mandorlati. Laggiù, a differenza che sulla terraferma, ci si racconta che niente cambierà. Circondato dal suo affezionato e polveroso ciarpame rococò, non si farà illusioni il Gattopardo: un protagonista indimenticabile, con il difetto di avere una mente troppo veloce in un paese che troppo lentamente, invece, imbocca la strada del progresso. In un momento chiave del romanzo, il principe ricercherà l'aria aperta e le epifanie che garantisce. Di ritorno dal valzer, reso leggendario dal film di Visconti, rinuncerà alla carrozza e tornerà a piedi. Lui incombe su tutti, ma su di lui incombe a sua volta il cielo. Il principe ha provato spesso a venire a capo dei misteri del firmamento. Ma l'ha colto in contropiede la verità delle stelle fisse, che a ben vedere davvero fisse non sono. La limitatezza di un nobiluomo che accetta finalmente l'illimitatezza celeste si intrecciano così alla bellezza allo squallore, allo sfarzo e alla miseria, in un ballo degli opposti che celebra gli ultimi sospiri di un mondo in fin di vita. E brevemente ma per sempre, su carta, ne arresta così l'estinzione.
Il mio consiglio musicale: Giuseppe Verdi - Va', pensiero
lunedì 11 settembre 2023
Recensione: The Other Black Girl - L'altra ragazza nera, di Zakiya Dalila Harris

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The Other Black Girl – L’altra ragazza nera. Mondadori, € 19, pp. 408 |
Cosa significa, oggi, essere una donna nera negli Stati Uniti? Com'è lavorare in un ambiente di soli bianchi? Quanta paura, al mattino, nello scorrere Twitter in cerca dell'ennesima immotivata mattanza? Da maschio bianco italiano, mi sono affidato alle riflessioni dell'esordiente Zakiya Dalila Harris. Mai didascalica, sceglie i toni della commedia grottesca e pieghe surreali per raccontare l'odissea di un'assistente editor afroamericana. Il risultato è un romanzo intrigante e leggerissimo, ma sorprendentemente scomodo nel messaggio: l'appartenenza a un gruppo, a qualsiasi gruppo, richiede il lasciapassare della compiacenza. Nella lavora al tredicesimo piano di un ufficio di Manhattan. Giovane, capace e ambiziosa, ha sempre saputo che per affermarsi si sarebbe dovuta mostrare due volte più brava degli altri. Quando arriva la magnetica Hazel, la seconda ragazza nera dell'ufficio, Nella si scopre presto ossessionata da lei. È un'amica o un'usurpatrice? Alla Wagner Books c'è posto per una sola di loro? Mentre Hazel vanta una rigogliosa cascata di dread e nonni attivisti in quel di Harlem, la più borghese Nella ha un fidanzato caucasico e un passato di capelli stirati. Nera fuori, bianca dentro, è un Oreo. In ufficio spicca perché cromaticamente diversa, ma nella comunità afro è vista con scetticismo. Una donna nera, oggi, deve infatti essere attivista, politicamente impegnata e orgogliosa dei suoi ricci al naturale. È libertà, questa?
Da una maggiore consapevolezza della sensibilità culturale derivano grandi responsabilità. Se non stiamo attenti, la “diversità” potrebbe diventare un elemento che le persone iniziano a spuntare da un elenco e niente più: una cosa superficiale e oscura con una sola dimensione.
L'occasione per farsi notare potrebbe essere bacchettare l'autore di punta della casa editrice, artefice di un personaggio afroamericano stereotipatissimo. Ma come le prenderebbero i suoi capi? Meglio tacere, tradendo così il Black Lives Matter, o parlare? Energico, originale e graffiante nei dialoghi, The Other Black Girl ha il contro di mettere tante carne al fuoco. Troppe sottotrame, troppe voci narranti, troppi piani temporali per storie destinate a ripetersi. Ma nella sua irresistibile caoticità, per altro tipica del cinema satirico di Jordan Peele, racconta un lacerante conflitto interiore e un mondo claustrofobico, quello editoriale, che, tra le pagine, già in passato fece misteriosamente sparire un'editor ribelle. L'ombra di Kendra Rae riecheggia tra i cubicoli, come quella di Rebecca, la prima moglie. E qui e lì, aguzzando l'udito, si sente bisbigliare di minacce in Comic Sans, microaggressioni, covi segreti in barberie sfitte, rituali magici... Esiste una formula per il successo? Harris tormenta la sua protagonista, divisa tra conformismo e alterità, e le fa fare incetta di caffè. I capelli prudono per il nervosismo, il cuore batte a mille per la tachicardia. È complotto. È mobbing.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Nina Simone - I Put a Spell on You
lunedì 4 settembre 2023
Recensione: Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors

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Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors. Einaudi, € 19, pp.
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Si conoscono in ascensore a Capodanno. Lei sta per lasciare la festa di amici di amici, lui per andare a comprare il ghiaccio. Scherzano per un po' dell'età di lui, pubblicitario sulla quarantina, e dell'accento inglese di lei, artista aspirante con il permesso studio in scadenza. Flirtano parlando fittamente di sesso, ruoli di potere, antidepressivi. New York, tutt'intorno, è una città dal passo veloce. Loro si adeguano e si sposano sei mesi dopo, con un venditore di hot dog come testimone e una vestaglia vintage per abito nuziale. Come il genere comanda, frequentano vernissage e open bar, bevono fiumi di champagne, fanno le vacanze a Cannes, detengono illegalmente petauri dello zucchero e li rinominano Gesù. Tutto è bello, tutti sono belli. Tutto è brillante, tutti sono brilli.
Quando la parte più oscura di te incontra la parte più oscura di me, si crea la luce.
L'esordiente Coco Mellors, con una scrittura cinematografica ma intimista, non indugia sulla soglia. Ma ci fa entrare a gamba tesa nel loro mondo artificioso, a tratti soffocante come una serra tropicale. Cleo, ossessionata dal suicidio materno, reclama l'aria aperta; Frank, affetto da esibizionismo molesto, annega nei superalcolici. L'autrice seziona le liti e le nevrosi di due amanti pieni di mancanze, che insieme pretendono illusoriamente di completarsi. Sempre con l'argento vivo addosso, sempre fasulli, scivolano a passo di tip tap tra allegria febbrile e solitudine divorante. Accanto a loro ci sono: un cuoco a dieta, una sorella in bolletta, un dongiovanni danese, un amico nel vortice dei gay bar e, soprattutto, la caustica e disincantata Eleanor, che adotta la prima persona per raccontare la malattia del padre e le occhiate innamorate al suo irraggiungibile capo. Non vogliono altro che la confortante normalità. Qualcuno che li ami quotidianamente, ferocemente, come i loro cuori affamati pretendono. O che, quando la solitudine incalza, scendano spontaneamente nel “pozzo” con loro.
Non capisco questa ossessione per la felicità. E’ come l’insegna di Hollywood: enorme, irraggiungibile; e se poi riesci ad arrivarci, cosa ti resta da fare se non scendere?
Basta poco per amarli oppure odiarli. Perché Cleo, Frank e gli altri non sono personaggi, ma persone: di quelle caustiche, sopra le righe, oneste fino alla brutalità, che vivono la vita alla stregua di un gioco dissacrante e godono nel mettere sottilmente a disagio gli interlocutori. È lecito che non piacciano. Ma io li ho amati dalla prima pagina, ancora prima di conoscerne gli eccessi e i tradimenti. Era merito delle loro voci, talmente vive e irresistibili che durante la lettura ho creduto di poterle perfino sentire nelle orecchie. Come si smette di ricercare i morsi degli aspidi e fabbricare mostri? Come si impara a vivere felici? Lo insegnano le coppie di Craigslist. Le famiglie numerose ai check-in in aeroporto. Gli stormi simmetrici nei cieli romani del bellissimo finale.
Il mio consiglio musicale: Billie Eilish - What Was I Made For?
martedì 29 agosto 2023
Recensione: Un amore senza fine, di Scott Spencer
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Un amore senza fine, di Scott Spencer. Sellerio, € 18, pp. 624
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Una casa brucia nella notte di Chicago. Intrappolate nelle fiamme ci sono cinque persone. Il ragazzo che ha lanciato il fiammifero le ha amate tutte. Per un po' è stato parte di quella famiglia accogliente, calorosa e progressista. Cosa l'ha spinto ad accendere la pira? Il cult di Scott Spencer prende avvio da un episodio violento. Non è la tormentata storia d'amore tra il “bad boy” e la ragazza della porta accanto che ci ha mostrato un film con Alex Pettyfer. Ma un'escalation di ossessione, destinata a bruciare in un eterno presente. Non aspettatevi flashback sugli inizi della relazione tra David e Jude. Non aspettatevi il candore prima della mancata tragedia. Denso, caotico, cupissimo, il romanzo è un thriller dei sentimenti che ricorda gli affanni dei libri ottocenteschi; di quelli con manicomi, rifugi di fortuna, eroine che muoiono d'amore. Questa volta il protagonista è un giovane uomo. Figlio di avvocati politicamente schierati, chiuso in un istituto esclusivo per scontate le sue colpe, David è un animale in gabbia. Anche una volta libero, si crogiolerà nella solitudine e nell'adorazione. Qual è il numero di telefono dei Butterfield? Jude gli ha forse scritto delle lettere? Perché gliele nascondono?
Quando avevo diciassette anni e obbedivo totalmente ai più solleciti comandi del cuore, mi allontanai dai cammini della normalità e nello spazio di un istante rovinai ogni cosa che amavo, così profondamente amavo.
Le sue domande angosciose diventano le nostre. E diventa nostra, a sorpresa, anche l'invidia che gli mostrano i personaggi secondari: quegli adulti che guardano con preoccupazione il suo struggimento, ma ripensano con malinconia alla giovinezza e ai palpiti lontani. C'è chi, pensando a David, ha voglia di innamorarsi nuovamente. E chi, incantato dalla pena e dell'estasi della sua storia, nel segreto della camera da letto ricerca l'orgasmo. Intanto, senza più una casa, la famiglia di Jade è alla deriva. Quella notte di fuoco ne ha rivelato ombre e fragilità; ha elargito loro una nuova coscienza. David, padrone della loro vita e, in molti casi, della loro morte, li ha annientati. Esiste perdono? È possibile tornare a quel tempo di vestiti coordinati, gesti plateali, abbagliante bellezza? Spencer firma un classico moderno scritto con la sontuosità di Nabokov. A ben vedere poverissimo di avvenimenti, è la lente di ingrandimento su un amore adolescente; su una psichedelia condivisa. Il clou è rappresentato da una chiacchieratissima scena di sesso lunga sessanta pagine, in cui religiosamente si mescolano corpo e sangue, sperma e mestruo. Non è di piacevole lettura. Ci sono quei romanzi che vorresti durassero per sempre. E quelli, invece, che termini con un profondo senso di liberazione. Un amore senza fine non ha maniglie antipanico. David - ragazzo interrotto, cannibale - ti divora non meno di Chalamet nell'ultimo Luca Guadagno. Lui e Jade, a fine lettura, non mi mancheranno. Ma non uscirò mai dalla loro orbita; il cuore stanco.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Joy Division - Atmosphere