lunedì 18 settembre 2023

Recensione: Il gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

 
 | Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, € 13, pp. 304 |

L'ho portato con me in Sicilia. Mancavo da vent'anni. Come il Gattopardo, sono sempre stato un nostalgico. Il Principe Fabrizio è una bestia mansueta. Incombe placidamente su uomini, donne e feudi. Su di lui, in salotti splendidi ma già polverosi, ci sono volte affrescate con pappagalli e bertucce, angeli e dei. Fuori dal suo palazzo, invece, si estendono giardini dai profumi stordenti: la dolcezza dei fiori di pesco, tuttavia, non nascondere il tanfo di putrefazione che sale intanto dal corpo di un soldato, morto proprio sotto le fronde di casa Salina. Ambientato tra l'arrivo dei garibaldini e il primissimo Novecento, il capolavoro di Tomasi di Lampedusa è una saga familiare sulla fine di un'era e l'inizio di un'altra; lo spaccato di un ceto, quello nobiliare, sprovvisto di qualsiasi sapere pratico e ottusamente chiuso al progresso; il gioco strategico di un grande pater familias, che riversa le sue ultime ambizioni nel nipote Tancredi pur di non conoscere l'oblio. Anche a costo di spezzare il cuore alla figlia Concetta.

Ma Lei sa meglio di me, principe, che anche le stelle fisse veramente fisse non sono.

Ogni capitolo ci apre per circa un giorno le porte della residenza di Donnafugata. È una scenetta dal gusto teatrale, in una commedia in costume e di costume. Amarissima, ma pur sempre una commedia. Qui, un narratore dalla sensibilità contemporanea fa gustosamente il verso alla fiorita prosa ottocentesca, ma delinea con mal celata ironia l'opulenta mollezza del palazzo. Perfino la bellissima Angelica, figlia di un parvenu da spennare, è sorpresa nell'atto di togliersi del cibo tra i denti con la forchetta. E il budino al rum prediletto dal padrone di casa? Diventa un fortino minacciato dalle forchette dei commensali, simbolo della disfatta in agguato. Tra tedio e intrighi matrimoniali, si spettegola delle prime femministe che protestano per il diritto al voto e della smania di collezionismo di taluni. Irresistibile e chirurgico, Tomasi di Lampedusa ci rende partecipi di una rivoluzione politica e familiare; di un risveglio dei sensi, a cui seguirà poi un timido risveglio delle coscienze.

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

La Sicilia, troppo avvezza agli invasori per temere grandi cambiamenti, sonnecchia nella furia del solleone. Gli anziani rosolano al sole, il basilico contrassegna la casa delle prostitute, le suore custodiscono le ricette dei mandorlati. Laggiù, a differenza che sulla terraferma, ci si racconta che niente cambierà. Circondato dal suo affezionato e polveroso ciarpame rococò, non si farà illusioni il Gattopardo: un protagonista indimenticabile, con il difetto di avere una mente troppo veloce in un paese che troppo lentamente, invece, imbocca la strada del progresso. In un momento chiave del romanzo, il principe ricercherà l'aria aperta e le epifanie che garantisce. Di ritorno dal valzer, reso leggendario dal film di Visconti, rinuncerà alla carrozza e tornerà a piedi. Lui incombe su tutti, ma su di lui incombe a sua volta il cielo. Il principe ha provato spesso a venire a capo dei misteri del firmamento. Ma l'ha colto in contropiede la verità delle stelle fisse, che a ben vedere davvero fisse non sono. La limitatezza di un nobiluomo che accetta finalmente l'illimitatezza celeste si intrecciano così alla bellezza allo squallore, allo sfarzo e alla miseria, in un ballo degli opposti che celebra gli ultimi sospiri di un mondo in fin di vita. E brevemente ma per sempre, su carta, ne arresta così l'estinzione.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Giuseppe Verdi - Va', pensiero 

lunedì 11 settembre 2023

Recensione: The Other Black Girl - L'altra ragazza nera, di Zakiya Dalila Harris


| The Other Black Girl – L’altra ragazza nera. Mondadori, € 19, pp. 408 |

Cosa significa, oggi, essere una donna nera negli Stati Uniti? Com'è lavorare in un ambiente di soli bianchi? Quanta paura, al mattino, nello scorrere Twitter in cerca dell'ennesima immotivata mattanza? Da maschio bianco italiano, mi sono affidato alle riflessioni dell'esordiente Zakiya Dalila Harris. Mai didascalica, sceglie i toni della commedia grottesca e pieghe surreali per raccontare l'odissea di un'assistente editor afroamericana. Il risultato è un romanzo intrigante e leggerissimo, ma sorprendentemente scomodo nel messaggio: l'appartenenza a un gruppo, a qualsiasi gruppo, richiede il lasciapassare della compiacenza. Nella lavora al tredicesimo piano di un ufficio di Manhattan. Giovane, capace e ambiziosa, ha sempre saputo che per affermarsi si sarebbe dovuta mostrare due volte più brava degli altri. Quando arriva la magnetica Hazel, la seconda ragazza nera dell'ufficio, Nella si scopre presto ossessionata da lei. È un'amica o un'usurpatrice? Alla Wagner Books c'è posto per una sola di loro? Mentre Hazel vanta una rigogliosa cascata di dread e nonni attivisti in quel di Harlem, la più borghese Nella ha un fidanzato caucasico e un passato di capelli stirati. Nera fuori, bianca dentro, è un Oreo. In ufficio spicca perché cromaticamente diversa, ma nella comunità afro è vista con scetticismo. Una donna nera, oggi, deve infatti essere attivista, politicamente impegnata e orgogliosa dei suoi ricci al naturale. È libertà, questa?

Da una maggiore consapevolezza della sensibilità culturale derivano grandi responsabilità. Se non stiamo attenti, la “diversità” potrebbe diventare un elemento che le persone iniziano a spuntare da un elenco e niente più: una cosa superficiale e oscura con una sola dimensione.

L'occasione per farsi notare potrebbe essere bacchettare l'autore di punta della casa editrice, artefice di un personaggio afroamericano stereotipatissimo. Ma come le prenderebbero i suoi capi? Meglio tacere, tradendo così il Black Lives Matter, o parlare? Energico, originale e graffiante nei dialoghi, The Other Black Girl ha il contro di mettere tante carne al fuoco. Troppe sottotrame, troppe voci narranti, troppi piani temporali per storie destinate a ripetersi. Ma nella sua irresistibile caoticità, per altro tipica del cinema satirico di Jordan Peele, racconta un lacerante conflitto interiore e un mondo claustrofobico, quello editoriale, che, tra le pagine, già in passato fece misteriosamente sparire un'editor ribelle. L'ombra di Kendra Rae riecheggia tra i cubicoli, come quella di Rebecca, la prima moglie. E qui e lì, aguzzando l'udito, si sente bisbigliare di minacce in Comic Sans, microaggressioni, covi segreti in barberie sfitte, rituali magici... Esiste una formula per il successo? Harris tormenta la sua protagonista, divisa tra conformismo e alterità, e le fa fare incetta di caffè. I capelli prudono per il nervosismo, il cuore batte a mille per la tachicardia. È complotto. È mobbing.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Nina Simone - I Put a Spell on You

lunedì 4 settembre 2023

Recensione: Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors


 | Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors. Einaudi, € 19, pp. 488 |

Si conoscono in ascensore a Capodanno. Lei sta per lasciare la festa di amici di amici, lui per andare a comprare il ghiaccio. Scherzano per un po' dell'età di lui, pubblicitario sulla quarantina, e dell'accento inglese di lei, artista aspirante con il permesso studio in scadenza. Flirtano parlando fittamente di sesso, ruoli di potere, antidepressivi. New York, tutt'intorno, è una città dal passo veloce. Loro si adeguano e si sposano sei mesi dopo, con un venditore di hot dog come testimone e una vestaglia vintage per abito nuziale. Come il genere comanda, frequentano vernissage e open bar, bevono fiumi di champagne, fanno le vacanze a Cannes, detengono illegalmente petauri dello zucchero e li rinominano Gesù. Tutto è bello, tutti sono belli. Tutto è brillante, tutti sono brilli. 

Quando la parte più oscura di te incontra la parte più oscura di me, si crea la luce.

L'esordiente Coco Mellors, con una scrittura cinematografica ma intimista, non indugia sulla soglia. Ma ci fa entrare a gamba tesa nel loro mondo artificioso, a tratti soffocante come una serra tropicale. Cleo, ossessionata dal suicidio materno, reclama l'aria aperta; Frank, affetto da esibizionismo molesto, annega nei superalcolici. L'autrice seziona le liti e le nevrosi di due amanti pieni di mancanze, che insieme pretendono illusoriamente di completarsi. Sempre con l'argento vivo addosso, sempre fasulli, scivolano a passo di tip tap tra allegria febbrile e solitudine divorante. Accanto a loro ci sono: un cuoco a dieta, una sorella in bolletta, un dongiovanni danese, un amico nel vortice dei gay bar e, soprattutto, la caustica e disincantata Eleanor, che adotta la prima persona per raccontare la malattia del padre e le occhiate innamorate al suo irraggiungibile capo. Non vogliono altro che la confortante normalità. Qualcuno che li ami quotidianamente, ferocemente, come i loro cuori affamati pretendono. O che, quando la solitudine incalza, scendano spontaneamente nel “pozzo” con loro. 

Non capisco questa ossessione per la felicità. E’ come l’insegna di Hollywood: enorme, irraggiungibile; e se poi riesci ad arrivarci, cosa ti resta da fare se non scendere?

Basta poco per amarli oppure odiarli. Perché Cleo, Frank e gli altri non sono personaggi, ma persone: di quelle caustiche, sopra le righe, oneste fino alla brutalità, che vivono la vita alla stregua di un gioco dissacrante e godono nel mettere sottilmente a disagio gli interlocutori. È lecito che non piacciano. Ma io li ho amati dalla prima pagina, ancora prima di conoscerne gli eccessi e i tradimenti. Era merito delle loro voci, talmente vive e irresistibili che durante la lettura ho creduto di poterle perfino sentire nelle orecchie. Come si smette di ricercare i morsi degli aspidi e fabbricare mostri? Come si impara a vivere felici? Lo insegnano le coppie di Craigslist. Le famiglie numerose ai check-in in aeroporto. Gli stormi simmetrici nei cieli romani del bellissimo finale.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Billie Eilish - What Was I Made For?

martedì 29 agosto 2023

Recensione: Un amore senza fine, di Scott Spencer

| Un amore senza fine, di Scott Spencer. Sellerio, € 18, pp. 624 |

Una casa brucia nella notte di Chicago. Intrappolate nelle fiamme ci sono cinque persone. Il ragazzo che ha lanciato il fiammifero le ha amate tutte. Per un po' è stato parte di quella famiglia accogliente, calorosa e progressista. Cosa l'ha spinto ad accendere la pira? Il cult di Scott Spencer prende avvio da un episodio violento. Non è la tormentata storia d'amore tra il “bad boy” e la ragazza della porta accanto che ci ha mostrato un film con Alex Pettyfer. Ma un'escalation di ossessione, destinata a bruciare in un eterno presente. Non aspettatevi flashback sugli inizi della relazione tra David e Jude. Non aspettatevi il candore prima della mancata tragedia. Denso, caotico, cupissimo, il romanzo è un thriller dei sentimenti che ricorda gli affanni dei libri ottocenteschi; di quelli con manicomi, rifugi di fortuna, eroine che muoiono d'amore. Questa volta il protagonista è un giovane uomo. Figlio di avvocati politicamente schierati, chiuso in un istituto esclusivo per scontate le sue colpe, David è un animale in gabbia. Anche una volta libero, si crogiolerà nella solitudine e nell'adorazione. Qual è il numero di telefono dei Butterfield? Jude gli ha forse scritto delle lettere? Perché gliele nascondono?

Quando avevo diciassette anni e obbedivo totalmente ai più solleciti comandi del cuore, mi allontanai dai cammini della normalità e nello spazio di un istante rovinai ogni cosa che amavo, così profondamente amavo.

Le sue domande angosciose diventano le nostre. E diventa nostra, a sorpresa, anche l'invidia che gli mostrano i personaggi secondari: quegli adulti che guardano con preoccupazione il suo struggimento, ma ripensano con malinconia alla giovinezza e ai palpiti lontani. C'è chi, pensando a David, ha voglia di innamorarsi nuovamente. E chi, incantato dalla pena e dell'estasi della sua storia, nel segreto della camera da letto ricerca l'orgasmo. Intanto, senza più una casa, la famiglia di Jade è alla deriva. Quella notte di fuoco ne ha rivelato ombre e fragilità; ha elargito loro una nuova coscienza. David, padrone della loro vita e, in molti casi, della loro morte, li ha annientati. Esiste perdono? È possibile tornare a quel tempo di vestiti coordinati, gesti plateali, abbagliante bellezza? Spencer firma un classico moderno scritto con la sontuosità di Nabokov. A ben vedere poverissimo di avvenimenti, è la lente di ingrandimento su un amore adolescente; su una psichedelia condivisa. Il clou è rappresentato da una chiacchieratissima scena di sesso lunga sessanta pagine, in cui religiosamente si mescolano corpo e sangue, sperma e mestruo. Non è di piacevole lettura. Ci sono quei romanzi che vorresti durassero per sempre. E quelli, invece, che termini con un profondo senso di liberazione. Un amore senza fine non ha maniglie antipanico. David - ragazzo interrotto, cannibale - ti divora non meno di Chalamet nell'ultimo Luca Guadagno. Lui e Jade, a fine lettura, non mi mancheranno. Ma non uscirò mai dalla loro orbita; il cuore stanco.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Joy Division - Atmosphere 

venerdì 25 agosto 2023

Recensione: La bella estate, di Cesare Pavese

| La bella estate, di Cesare Pavese. Einaudi, € 10, pp. 122 |

Per tornare a casa a Torino passo sotto i portici di via Sacchi. Lì, proprio davanti alla stazione di Porta Nuova, incombe l'insegna dell'Hotel Roma. In una di quelle camere, sul finire di agosto, si tolse la vita Cesare Pavese. Passeggiando, ho pensato spesso alla sua morte - malinconia e barbiturici. Ma è leggendolo che ho scoperto la sua vita, insieme all'ottimismo di cui non lo sospettavo capace. La bella estate, primo racconto della trilogia premio Strega e film omonimo di Laura Lucchetti (al cinema dal 24 agosto per Lucky Red, con Yile Vianello e Deva Cassel nel cast), è una piccola storia intrisa di gioia di vivere. Un Pavese inedito, tutto al femminile, che domanda in prestito alle sue protagoniste l'euforia e la smaniosa curiosità tipiche dell'adolescenza. La pallida Ginia ha sedici anni, è sarta, porta avanti la casa: dopo la morte dei genitori, è diventata adulta in fretta. Ma patisce l'assenza di un uomo, ai tempi necessaria per diventare donna. Amalia, al contrario, è bellissima, sfrontata, disinibita: ha la voce arrochita dal fumo, le gambe scoperte, una perfetta padronanza del proprio corpo. Posa nuda per i pittori. Attraverso le vetrine lustre dei caffè storici, Ginia guarda l'altra come se fosse il personaggio di un film. Non serve il biglietto per ammirarla e, talora, anche per biasimarne la dissolutezza. Rivali ma amiche, complementari come le eroine di Elena Ferrante, lungo il sentiero per diventare grandi scopriranno insieme i lati più selvaggi della città. E sentimenti insospettabili.

A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline.

Non si muovono nella Parigi della Bohème, ma in una Torino mai così affascinante e cosmopolita. Spogliato della sua classica cortina di malinconia, il capoluogo piemontese ha prati su cui fare l'amore e soffitte da cui immortalare i tetti simmetrici del centro. In estate si balla in collina, in inverno ci si scalda al chiuso con vino e castagne. Sorprendentemente lieve, questo Pavese incanta con la sua modernità e racconta il sesso occasionale, l'amore fluido, il corpo in metamorfosi. Era una pila elettrica. Si sarebbe spento un anno dopo. Questo è il suo canto del cigno. La Seconda guerra mondiale, benché vicina, non è mai menzionata. Ai malanni, per fortuna, c'è sempre rimedio. I corpi dei giovani, rosei e gagliardi, sopravvivranno ai rigori dell'inverno. Verrà un'altra estate. Anche nel fango e nella neve, se presti ascolto e, soprattutto, immaginazione, puoi già sentire i grilli annunciarla.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Chiara - Un'estate fa 


venerdì 18 agosto 2023

Giovani brividi: Mostri | L'innocenza del buio | Amico mio

È la regista e sceneggiatrice di Una donna promettente, strepitosa commedia nera con Carey Mulligan mangiatrice di uomini. Attesa al varco con il prossimo film, l'instancabile Emerald Fennell ci mostra un altro volto: quello di scrittrice. Ambientato nei luoghi di Daphne du Murier, Mostri racconta l'estate di una dodicenne senza nome e del suo nuovo migliore amico, Miles. Accomunati dalla sociopatia e dall'ossessione per la cronaca nera, i protagonisti hanno comportamenti peculiari: la loro rabbia, repressa a fatica, deflagra in furti, scherzi macabri, sevizie a danni di animali. Inquietanti eppure irresistibili, mettono la loro follia al servizio della giustizia. Chi meglio di loro può comprendere e anticipare le mosse di un serial killer che sta seminando donne annegate? Fino a dove sarebbero disposti a spingersi per mettere alla prova la loro fedeltà? Divertente e divertita, l'autrice delinea in maniera dissacrante gli abusi, l'omertà e i vizi di un villaggio costruito sul turismo nero e, come in un giallo classico, confonde il lettore con una galleria di personaggi altamente sospetti. Rapido e non troppo indolore, gustosamente dark, Mostri non risparmia bassezze e abusi. I protagonisti, non destinati alla redenzione nell'epilogo, si lavano le mani nel sangue del politicamente scorretto. Più interessati alle loro malefatte, si finisce per prendere però sotto gamba un intreccio sottotono e sopra le righe. In questo formato Emerald Fennell non indovina l'equilibrio tra comicità e suspense; calca la mano. Il suo esordio, un ibrido tra Mercoledì e The End of the F***ing World, sembra frutto dell'algoritmo di Netflix. Non di una penna premio Oscar. ★★½

Il castello sorge in un immaginario borgo ai confini del Piemonte. Ha le forme aguzze di un pipistrello e il portale, buio, è una bocca spalancata sul nulla. È una roccaforte: è stata eretta per proteggere qualcosa. O per proteggerci? Besana e De Feo, rispettivamente sceneggiatore e regista di The Nest, di case stregate se ne intendono. È quaggiù che vengono condotti quattro adolescenti al centro di un esperimento: hanno ricordi delle loro vite passate e nel dopoguerra avrebbero tutti soggiornato nel castello, salvati da un'affascinante benefattrice. Scoperchieranno un pozzo senza fondo da cui si riverseranno, infine, mostri e risposte. Adolescenziale ma adulto, soprannaturale ma umano, L'innocenza del buio vive di una suggestione sottile e di colpi di scena connessi più alla cronaca che ai fantasmi di questa Hogwarts gotica. Il male è una malattia degenerativa: ha metastasi dappertutto. Lo imparano presto questi piccoli eroi dalle mani saldamente intrecciate, che cercano una via di fuga come topi in un labirinto. Il talento degli autori non scolora su carta. Il lavoro d'introspezione e la dimensione corale, gli omaggi all'horror e l'originalità dei temi ne farebbero un'ottima serie TV: commosso, ho pensato alla creazioni di Flanaghan e all'epoca della mia infanzia in cui le amicizie erano mastice per il cuore. Che tristezza crescere. Che incubo essere costretti a farlo. ★★★★ 

Se morissi all'improvviso, piangeresti? Da bambini tutti abbiamo fatto questa domanda al nostro migliore amico. Fragili, capricciosi e insicuri, mescoliamo il lessico della morte con quello dell'amore. Tom ha tredici anni. È arrabbiato, ma non sa con chi. Ha voglia di piangere, ma non sa perché. In preda all'inquietudine, ha fatto dell'amico Poni l'inizio e la fine del suo universo e di Leo Fosco, il bullo della classe, la personificazione del male. In seguito a un episodio spiacevole, i tre dovrebbero far pace. Ma la fine di quella piccola guerriglia implicherebbe dividere Poni con qualcun altro? Ne nasce una vicenda breve ma feroce, che indaga le complicanze della crescita e i vicoli ciechi dell'ossessione. La ricerca dell'approvazione di Poni sfocia prima in un'adulazione spossante, poi nella pazzia, in una notte di candeline di compleanno e profumo di citronella. Fittamente dialogato, scorrevole come una sceneggiatura cinematografica, Amico mio è un romanzo facilissimo e difficilissimo, dove i protagonisti si parlano di continuo senza osare dirsi nulla. Tom, che nasconde un martello in camera, è un bambino diabolico come quelli degli horror o soltanto un incompreso? Quello a cui sottopone Poni è un gioco innocente, o un piano malefico? Troppo telegrafico per convincermi totalmente, resta un'indagine coraggiosa; un bisbiglio, orecchiato a lezione, dalle inclinazioni preoccupanti. Abitatori di una terra indefinita dove tutto è confuso, dove lo sono i sentimenti, i protagonisti cercano tesori immaginari e, nell'incapacità di dirsi, si affidano a quelle lettere che la prof avrà senz'altro assegnato loro fra i compiti per casa. La parola inganna. La scrittura, invece, fissa i pensieri e i sentimenti. E lì, sulla carta, dov'è possibile figurarsi mondi possibili, si possono immaginare maratone di Harry Potter sotto il plaid e colline verdi sulle quali aspettarsi. ★★★

sabato 5 agosto 2023

Fiabe per bambini femministi (e adulti intelligenti): Barbie | Nimona | La sirenetta

Bella, bionda, sorridente. Ci voleva qualcuno di bravissimo per trasformare Barbie, simbolo del consumismo e del sessismo, in un'icona femminista. Hollywood ha schierato la coppia Gerwig-Baumbach, paladini del cinema indie, e un cast di attori impegnatissimi, in cui spicca Margot Robbie nelle doppie vesti di protagonista e produttrice. Bella, bionda, sorridente? Lei lo è senz'altro, e nuovamente, dopo Babylon, tiene tutti in scacco con una lacrima: questa volta è il simbolo dell'umanità spasimata. Barbie, in cerca di sé stessa, lascia il suo mondo pastello alla scoperta della California. Perché è improvvisamente tormentata dalla cellulite, dai piedi piatti e dal pensiero della mortalità? Pattina fino alla California per interrogare Mattel sui difetti di fabbrica. Con lei, il Ken di un esilarante Ryan Gosling: stanco di stare all'ombra della compagna, negli Stati Uniti scopre i pregi del patriarcato. Sì, perché a Barbie Land è tutto a rovescio e, in una fantasmagorica società matriarcale, gli uomini sono semplicemente uomini: le donne, invece, possono essere tutto. Gerwig centra il cast, i costumi e le scenografie da Oscar, i toni da commedia demenziale senza però ma trascurare una scrittura allusiva e intelligente. Schiacciata tra blockbuster e cinema femminista, crea un film che ha molte idee. E, spesso, molto confuse. Vittima dei troppi viavai e dei troppi spiegoni, Barbie ha il contro di rimarcare in grassetto la propria morale. Avrebbe avuto bisogno di essere asciugato in fase di montaggio. O, al contrario, di diventare un leggerissimo e delirante sogno pop come nei sogni più sfrenati di Ken: perché, a quel punto, non un musical? Il risultato, destinato a sbancare comunque, è una via di mezzo che non soddisferà completamente chi pretendeva la sceneggiatura perfetta anticipata dalle recensioni d'oltreoceano. Ci sono sbavature di troppo, poche sfumature di grigio, in quest'abbagliante rosa shocking. (7)

Ballister, un prode cavaliere ingiustamente accusato di aver assassinato la sua amatissima regina, stringe alleanza con un'adolescente emarginata ma dai poteri straordinari. Solitaria e annoiata, mutaforma, Nimona è una rossa tutto pepe di età indefinita che sogna di affiancare un supercattivo per seminare dappetutto caos e distruzione. Invece, suo malgrado, si ritrova a fare da spalla a uno spadaccino omosessuale, monco e ligio al dovere, ottusamente cieco davanti alla corruzione del suo regno. Laggiù, infatti, chi è il vero mostro? L'ultimo film Netflix, tratto dall'omonimo graphic novel edito Bao Publishing, mescola originalmente estetica medievale e tecnologia cyberpunk. È già un successo e, con mesi d'anticipo, è il papabile vincitore dell'Oscar nella categoria Miglior film animato. Originale, moderno e spassosissimo, riflette su etichette e cliché. E si diverte a sabotarli spettacolarmente sotto le zampe di un irresistibile rinoceronte fucsia – anche se l'epilogo omaggia la distruzione, serissima, dei kaiju del cinema giapponese. Questa è la storia di due solitudini che si compensano. È il gioco di una giovane dalla natura misteriosa, che con l'arma dell'ironia dissimula il disagio di non avere un'identità predefinita. È l'epifania di un uomo che aveva già sfidato il machismo dei cavalieri e che, ora, sensibilizza vantando un drago per amico. Nimona fa quello che fece Shrek con le fiabe vent'anni fa. Parodia e sovverte i poemi epici-cavallereschi, ma soltanto per crearne uno nuovo, credibile e bellissimo. Oro puro, nell'era delle riscritture non richieste e dei live action. (8)

In rete lo hanno odiato a oltranza, a prescindere, ancora prima che fossero condivise le prime immagini. Colpa di quella protagonista troppo diversa dal personaggio tradizionale o, forse, di un mal celato razzismo. Lo scrivo, perciò, con gioia; come davanti alla vittoria di un perdente annunciato. La sirenetta è tra i migliori live action di casa Disney e Halle Bailey, con i suoi grandi occhi pieni di innocenza e una voce dal vibrato struggente, è una Ariel che commuove col suo appassionato desiderio d'altrove. Già modernissima nell'originale animato dal 1989, al cinema trova un principe azzurro dal destino speculare: anche l'Eric di Jonah Hauer-King, infatti, vive con claustrofobia l'universo familiare e scalpita di curiosità. Imprescindibile la visione sottotitolata. In fondo al mare è un incrocio irresistibile tra un documentario sui fondali marini e un musical; Baciala cambia una parola, vero, ma non il suo memorabile sound; la Ursula di Melissa McCarthy, nel suo antro oscuro, conserva una vulcanica anima da drag queen. A suo agio con il genere, il Rob Marshall di Chicago Nine punta con successo su volti sconosciuti e incanta per l'attenzione naturalistica alla vita sotto la superficie. Qualcuno storcerà il naso davanti agli amici animali di Ariel, qui niente affatto antromorfizzati, e in rete criticherà per partito preso. Ma la verità è che La sirenetta, oggi, è una grande storia di conflitti genitori-figli e che un irriconoscibile Javier Bardem, davanti al riconoscimento finale della voce dell'ultimogenita, rischia di strapparci più di una lacrima. Noi, a differenza delle sirene, possiamo commuoverci. (7+)