martedì 31 dicembre 2024

La mia top 10: i migliori film del 2024

10. Joker: Folie à Deux – A noleggio sulle piattaforme

Dopo il primo capitolo, vincitore del Leone d’oro a Venezia, un sequel che scontenta i fan. Per me, è il film più frainteso dell’anno. Ne riparleremo quando diventerà un cult.

9. I Saw the TV Glow – A noleggio sulle piattaforme

Etichettato a torto come horror, è un’allegoria sulla disforia di genere e un’ode alle magie del piccolo schermo. La mia immancabile quota A24.

8. Anora – Attualmente in sala

Una sex worker e il suo sogno. È tutto troppo rocambolesco, tutti parlano troppo forte, ma – complice un’ottima Madison – contiene la scena più esilarante dell’anno, insieme a quella più struggente.

7. Vermiglio – Da febbraio a noleggio e in vendita

Un piccolo grande film, di sguardi parlanti e paesaggi silenti, per la quota: orgoglio italiano. 

6. Wicked – Attualmente in sala

Inclusione, disabilità, specismo. Il tutto, in uno spettacolo spettacolare a prova di gravità.

5. Povere Creature – Disney Plus

Anno bisesto, doppio Lanthimos. Ma se Kinds of Kindness scontenta, si continua a gioire delle sue collaborazioni internazionali. Guidato da una magnifica Stone, è la versione "brat" di Barbie.

4. The Holdovers – Sky

Un professore brontolone, uno studente oppositivo. Possono due solitudini completarsi? Lasciato a bocca asciutta alla stagione dei premi, è il nuovo classico delle feste.

3. Challengers – Amazon Prime Video

Lui, lei, l’altro. Il sudore, la bellezza, i corpi. Guadagnino filma lo sport come se fosse sesso e il sesso come se fosse sport. Elettrizzante, con un'iconica colonna sonora. 

2. The Substance – Attualmente in sala

L'horror per raccontare di standard impossibili e dive sul viale del tramonto. Un canto del cigno, un grido femminista, per rinascere come Demi Moore: da uno squarcio.

1. Estranei – Disney Plus

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi. Questa ha il merito e la colpa di avermi fatto addormentare piangendo, con Scott e Mescal che, abbracciati, si trasformano in stelle.

lunedì 30 dicembre 2024

La mia top 10: Le migliori serie TV del 2024

10. Rivals – Disney Plus

Il sesso, gli scandali, la TV. Umorismo britannico e un trio in stato di grazia. Il guilty pleasure è servito.

9. Storia della bambina perduta – Rai Play

Lila e Lenù ci dicono addio. Con loro, si chiude una delle pagine più importanti della TV italiana.

8. Qui non è Hollywood – Disney Plus

Un agghiacciante caso di cronaca diventa una miniserie di impensata empatia, ingiustamente criticata dall’opinione pubblica. I tre protagonisti offrono le migliori interpretazioni dell’anno: altro che Hollywood.

7. Dostoevskij – Sky

I Fratelli D’Innocenzo dividono anche a puntate, con una serie di asfissiante cupezza, ma con un Timi talmente tormentato da ereditare a pieno titolo il distintivo dagli sbirri di True Detective.

6. Hanno ucciso l’Uomo Ragno – Sky

La leggendaria storia degli 883 per raccontare la provincia, gli anni Novanta, l’amicizia. Un feel-good movie lungo otto ore, perfetto anche per i non fan.

5. Kaos – Netflix

Gli dei, oggi. Intrighi, sesso e potere, per una trasposizione audace come nella tradizione di Luhrmann. Non eravamo pronti a questa ventata d’originalità: l'hanno cancellata dopo una sola stagione.

4. The Bad Guy – Amazon Prime Video

La serialità italiana e la mafia: storia di una lunga relazione. Mettete tutto in discussione, però, davanti a questa commedia nera che fa tramare lo Stato e le vene dei polsi. Lo Cascio è il Conte di Montecristo che né Niney né Claflin potranno eguagliare.

3. Baby Reindeer – Netflix

Una miniserie shock per svelare il più grande dei tabù: la vulnerabilità maschile.

2. Expats – Amazon Prime Video

Siete stanchi di vedere la solita Kidman – algida, manierata, noiosamente perfetta? Ammiratela qui, in un dramma lacerante tutto al femminile, in cui smarrisce il suo bambino a Hong Kong. Ma ritrova l’immensità di cui l’avevamo scordata capace.

1. L’arte della gioia – Prossimamente su Sky

È arrivata al cinema la scorsa estate, ma è attesa sul piccolo schermo al principio dell’anno nuovo. Preparatevi a essere sedotti. Spregiudicate e machiavellica, Golino conquista Cannes e consacra il talento di Tecla Insolia: è nata una star. 

domenica 29 dicembre 2024

La mia top 10: le migliori letture del 2024

10. Le nostre mogli negli abissi – Julia Armfield (Bompiani)

Nell'anno di The Substance, un altro body horror, un'altra allegoria: un amore alla deriva in mari ignoti. 

9. Il male che non c'è – Giulia Caminito (Bompiani)

Il precariato, l'ipocondria, i trent'anni. Che paura riconoscersi, che liberazione leggerlo.

8. Day – Michael Cunningham (La Nave di Teseo)

Esiste una saga lunga un giorno? Per gli appassionati di Leavitt e Cameron, la foto di una famiglia al tempo del lockdown a cui è impossibile non affezionarsi.

7. Settembre nero – Sandro Veronesi (La Nave di Teseo)

Un romanzo di formazione semplice e complicatissimo, dolce e straziante. Proprio come ricordare la leggerezza dell'infanzia, una volta che è passata.

6. Triste Tigre – Neige Sinno (Neri Pozza)

Può una violenza aberrante trasformarsi in una lettura bellissima? Un po' saggio, un po' memoir, la scabrosa Sinno scava nel suo passato e nel petto del lettore. 

5. I giorni di Vetro – Nicoletta Verna (Einaudi)

Verna cambia genere, cambia forma, per un'epopea tragica che ricorda Elsa Morante.

4. Trilogia della città di K. – Agota Kristof (Einaudi)

Tre racconti intrecciati, due fratelli indimenticabili nella crudeltà e nell'innocenza, un grande recupero. Raramente capita di leggere un romanzo degli anni Ottanta e pensare: è un classico.

3. Intermezzo – Sally Rooney (Einaudi)

Ogni suo romanzo è un evento. La amano, la odiano. Amano odiarla. Ma Rooney è la voce di una generazione, la mia, e ogni sua storia è un colpo al cuore. Attendiamo la prossima.

2. L'arte della gioia – Goliarda Sapienza (Einaudi)

Nel centenario della nascita di Sapienza, ho conosciuto la sua Modesta. Un'eroina che si muove nei primi del Novecento, ma che veniva già dal futuro. Un'esperienza indimenticabile.

1. Wellness – Nathan Hill (Rizzoli)

L'ho letto, amato, consigliato. Se un romanzo conta seicento pagine ma vorresti fossero molte di più, se la romcom incontra l'antropologia, se Franzen conosce Rooney, allora il capolavoro è servito.

venerdì 27 dicembre 2024

Made in Italy: The Bad Guy | Storia della bambina perduta | Qui non è Hollywood | Hanno ucciso l'Uomo Ragno

È una delle serie dell’anno corrente, ma lo sarebbe stata anche di quello passato. L’ho recuperata in ritardo, con ben due stagioni a disposizione. The Bad Guy non è ciò che sembra. Vedi Lo Cascio, leggi “mafia”, immagini la solita serie italiana: un giudice coraggioso, una lotta prometeica, una morte gloriosa. Dimenticatelo. Perché Nino, da anni impegnato nella caccia al latitante Suro, viene incastrato. Creduto morto, torna con una nuova identità. Non vuole vendicarsi soltanto del boss, ma dello Stato. Intrigante come il Conte di Montecristo, caustico come Walter White, un brillante Lo Cascio compie una rapida ascesa al fianco dei cattivi. Riuscirà a non sporcarsi le mani, tra pizzi, appalti e clan da aizzare l’uno contro l’altro? Dirige un duo, ma, nonostante lo splatter e l’ironia pungente, non si tratta dei Coen. Vulcanici e con ambizioni internazionali, Fontana e Stasi guidano un cast in stato di grazia – al suo meglio Pandolfi, sorprendente Catania, folgoranti Maenza e Caramazza – in una commedia nera che immagina un covo criminale in un parco acquatico e perfino il ponte sullo Stretto. Tra una risata e l’altra, non mancano cenni all’attualità né invettive. Nemmeno il Ministro degli Interni è senza colpe: ha assoldato il sicario Accorsi per mettere a tacere ogni dissenso. Il più buono, insomma, ha la rogna. Il più cattivo, invece, si è meritato una serie così. (8,5)

Lila e Lenù ci dicono addio per sempre. A sei anni dalla prima stagione, a dieci dall’ultimo romanzo, si congedano. Mazzucco e Girace, troppo giovani per interpretare due quarantenni, cedono il posto a Rohrwacher e Maiorino seminando qualche dissenso in rete. Mentre Maiorino non scontenta, aiutata da una forte somiglianza con l’interprete precedente e da una napoletanità che la rende, a tratti, troppo teatrale, Rohrwacher è stata una scommessa vinta: il suo accento lascia un po’ a desiderare, ma compensa con due occhi parlanti, silenzi pieni di significato e un fascino che ricorda quello di Monica Vitti. La migliore del cast, però, è Vitolo: nei panni dell’anziana Imma è di un’intensità straziante. Dirige Bispuri, finalmente una donna, e si nota dai dettagli. Entrambe nel rione, entrambe madri, le protagoniste tornano inseparabili come lo erano da bambine. Ma, tra le macchinazioni dei Solara e una tragica sparizione, perfino dieci episodi sembrano pochi per contenere i misteri della “smarginata” Lila. Nonostante la cura di regista e sceneggiatori, Storia della bambina perduta non è stata accolta all’unanimità: è l’adattamento più arduo dei quattro. Matura ma imperfetta, densa ma dalla forza altalenante, la quarta stagione ci lascia definitivamente orfani di Ferrante. (7,5)

Perché siamo tutti ossessionati dalle serie true crime, ma ci indigniamo quando a produrle sono gli italiani? Accolta tra polemiche e sabotaggi – troppo brutto il poster, troppo messa in cattiva luce l’innominabile Avetrana –, la serie del sorprendente Pippo Mezzapesa è da vedere senza pregiudizi di sorta. Asciutta e accurata, ma caratterizzata da uno sguardo fortemente autoriale a metà tra il cinema grottesco dei Fratelli D’Innocenzo e i southern gothic americani, non cede a facili illazioni. Qui non è Hollywood vuole raccontare l’irrequietezza adolescenziale, una provincia da Far West, lo sciacallaggio a opera di giornalisti e compaesani: mai proporre nuove ipotesi a proposito di colpevoli presunti o moventi. Quattro episodi, quattro punti di vista, un cast impreziosito da alcuni fra gli attori più intensi dell’annata: le irriconoscibili Perulli e Scalera, al centro di una impressionante trasformazione da Actors Studio, e uno struggente De Vita. Il risultato è un folk horror dall'impianto originalissimo. Un meticoloso scavo psicologico. Un’ode alle gioventù invisibili, mentre i Queen cantano di eternità e gli altri, indifferenti, passano oltre: perché il tuo caso, Sarah, ormai conta più di te. Questa serie, a quindici anni dal delitto, ripristina finalmente l’ordine. (7,5)

Non è necessario essere fan accaniti della musica degli 833 per recuperare e amare la serie TV a loro dedicata. L’ottimo Sidney Sibilia, da sempre appassionato di strane storie vere, utilizza l’ascesa del curioso duo di Pavia per raccontarci la provincia italiana, l’industria musicale degli anni Novanta, la storia di un’amicizia lunga e ispiratissima. Dalla scoperta casuale della musica (tutto per conquistare la ragazza più bella del liceo) alla fatica per imporsi (a dispetto del successo istantaneo riscosso, i nostri eroi erano considerati troppo impresentabili per la televisione), la prima stagione della serie Sky è molto più che un canonico biopic: un feel-good movie lungo otto ore che funziona sia come appassionante romanzo di formazione, sia come juke-box tutto da cantare. Tra disavventure rocambolesche e cameo divertentissimi (i giovani Fiorello, Jovanotti, Maria De Filippi), Hanno ucciso l'Uomo Ragno si rivela un’ode al cuore puro di Repetto. Max Pezzali cantava. Cosa faceva, invece, il danzerino Mauro? Ancora prima che esistessero, era il più grande fan degli 833. Come Elia Nuzzolo, bravo ma acerbo, avremmo tutti bisogno di un motivatore che somigli a Matteo Oscar Giuggioli: è nato un nuovo stato d'animo, è nata una star. (8)

lunedì 23 dicembre 2024

Recensione: L'avversario, di Emmanuel Carrère


| L’avversario, di Emmanuel Carrère. Adelphi, € 17, pp. 169 | 

Ho scoperto la tragedia greca negli anni del liceo classico. Personaggi oscuri, argomenti tabù, epiloghi sanguinosi. Ma, al termine di un'inarrestabile catena di nefandezze, ecco sopraggiungere la catarsi. Ci si può sentire liberati dopo una lunga esposizione alla violenza? Può la sperimentazione del male renderci meno estraneo il prossimo nostro? Emmanuel Carrère, oggi autore che non ha bisogno di presentazioni, al tempo dei fatti era conosciuto soprattutto come critico cinematografico. Fu un caso di cronaca nera a ossessionarlo e consacrarlo, facendone un osservatore più attento e, soprattutto, un narratore più empatico. In una comunità tra la Francia e la Svizzera, nei primi anni Novanta, lo stimatissimo Jean-Claude Romand sterminò i suoi cari. Se il gesto non ci stupisce, tristemente assuefatti come siamo a notizie altrettanto agghiaccianti, a farci rabbrividire è il resto della vicenda: la vita dell'assassino (medico presso l'OMS, padre amorevole, figlio devoto) era, infatti, una menzogna. Non era nemmeno laureato.

Una dolorosa lucidità è preferibile a una pace illusoria.

Narcisista patologico, impostore, mitomane, Romand raccontava bugie da vent'anni. E da vent'anni, invano, aspetta di essere scoperto. Come hanno potuto gli amici, i parenti, l'amante, credergli? In che modo ha pagato la scuola privata ai due figli, le macchine costose, i viaggi all'estero? Cosa faceva tutte le mattine quando non andava a lavorare? Sulle sue orme, Carrère gli scrive lettere; lo studia durante il processo, per poi vederlo diventare un detenuto modello; immagina di seguirlo nei parcheggi desolati, nelle stanze d'albergo, nei vuoti di una routine fantasma. Romand aveva una doppia identità o, a ben vedere, nessuna? Come Capote prima di lui, come Lagioia dopo, Carrère mette una scrittura dalla lucidità giornalistica al servizio della verità - sempre che esista. E, in un reportage che ha il ritmo dei migliori thriller, scandaglia una famiglia all'apparenza divorata dalla putredine e gli abissi di un personaggio pirandelliano.

Di norma una bugia serve a nascondere una verità, magari qualcosa di vergognoso, ma reale. La sua non nascondeva nulla. Sotto il falso dottor Romand non c’era un vero Jean-Claude Romand.


Additato dai media come l'incarnazione dell'incubo, il protagonista del romanzo custodiva un silenziatore in una confezione regalo e una ricca collezione di maschere. Chi era in borghese, a nudo? Forse nessuno, ci dice Carrère, in un'opera pubblicata dopo cinque anni di tagli, riscritture e ripensamenti. Ha tentato di dare al carnefice profondità psicologica, redenzione, perdono. Ma forse, amaramente, gli ha assicurato soltanto l'ennesimo ruolo da interpretare; un'altra maschera dietro cui schermarsi. “Sono un essere umano”, scriveva Terenzio, “tutto ciò che è umano mi riguarda”. E il disumano, invece?
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Talking Heads - Psycho Killer 

venerdì 13 dicembre 2024

Recensione: La torre d'avorio, di Paola Barbato


| La torre d’avorio, di Paola Barbato. Neri Pozza, € 20, pp. 416 |

Mi dichiaro colpevole. Avevo dimenticato quanto brava fosse Paola Barbato. Autrice tanto talentuosa quanto prolifica, ha scritto tutto e dappertutto: dai fumetti per Bonelli ai romanzi a puntate su Wattpad. Elegante come non mai, entra nella scuderia Neri Pozza per seminare colpi di scena e conferme. Incalzante, adrenalinico, tesissimo, La torre d'avorio è una caccia all'uomo — anzi, alla donna — che non conosce tregua. Ma è, soprattutto, la storia di un gruppo di personaggi femminili dalla psicologia oscura, qui scandagliata senza pregiudizi. I nostri demoni, infatti, sono al sicuro con Barbato. E tra reiette, a sorpresa, può nascere anche un commovente senso di famiglia. Prendete La pazza gioia, il capolavoro di Paolo Virzì, e vestitelo di nero: dategli una macchina con il serbatoio pieno, sicari alle calcagna e un'arma a portata di mano. Il romanzo è la storia della seconda vita di Mara: ormai cinquantenne, vive sotto falso nome in un appartamento stipato di scatoloni e rimorsi. Un decennio prima i notiziari l'hanno dipinta come una spietata femme fatale: affetta dalla sindrome di Münchausen, aveva avvelenato i suoi familiari. Tutto per prendersi cura di loro e mostrarsi, così, la madre modello richiesta dalla società.

È come se avessi dentro una belva addormentata. E finché non sarò sicura che sia morta, farò di tutto perché nessuno si avvicini.

È possibile sfuggire al proprio passato, se qualcuno ci ha intrappolato in un'imprevedibile macchinazione? Accusata di una lunga catena di nuovi avvelenamenti, la protagonista fugge. E ritrova Moira, ex bancaria che investì la dirimpettaia per via di un parcheggio conteso; Fiamma, che sfoga il suo pericoloso sex appeal su Onlyfans; Maria Grazia, che, vessata in casa e al lavoro, sparò al suo capo; Beatrice, splendida ereditiera morbosamente ossessionata dai defunti. Amiche per la vita e per le morte, le protagoniste sono talmente ben caratterizzate che ognuna meriterebbe un romanzo a sé. Strette da un legale indissolubile, costituiscono il pregio maggiore di un romanzo dallo straordinario cast d'insieme destinato a una seconda parte, però, inutilmente rocambolesca e improbabile. Superfluo anche lo strascico finale. All'inizio fortemente claustrofobico, La torre d'avorio diventa poi un tour de force sui misteri insolvibili della mente umana e sulle imperfezioni dell'essere genitori. Mara non è sola. Mara non è guarita. Non ci si riprende mai, infatti, dall'inferno di sé stessi. La bestia che ha dentro non è morta: dorme. Brutalmente oneste, le nostre antieroine hanno nostalgie profonde ma nessuno senso di colpa. Radioattive, recidive, animano uno dei romanzi più vitali dell'anno. Anche se, paradossalmente, lo scoprirete pieno di morti.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Alice Cooper – Poison

mercoledì 4 dicembre 2024

Recensione: Intermezzo, di Sally Rooney


| Intermezzo, di Sally Rooney. Einaudi, € 22, pp. 432 |

Mio nonno è morto il mese scorso. Sono stato io a comunicarlo a mio fratello: raramente risponde alle telefonate di nostra madre. Ci siamo incontrati il mattino successivo a Porta Nuova. Avevo preso i biglietti per entrambi. L'ho rimproverato: vestiva leggero, era in ritardo. Se sono a Torino, in parte, è merito suo. Quando la nostra famiglia è implosa, lui è stato il primo a mettersi al riparo lontano. Siamo diversi. Siamo superstiti.
Sensibile come sempre, adulta come mai, Sally Rooney mi si è intrufolata nel profondo, sotto pelle, con una storia di elaborazione e fratellanza. Il suo ultimo romanzo è una camera ardente. Un lungo intervallo prima di tornare alla vita. È possibile che questo Intermezzo in cui rintanarsi in attesa che il peggio passi ci riservi, a sorpresa, anche il meglio? È auspicabile augurarsi che la quiete della stasi, che la ritrovata libertà dopo mesi di reparti oncologici, durino per sempre?

Lei fa una specie di tremolante risata. Be’, se c’è un Dio, dice, sono sicuro che ti ama molto. Lui abbassa gli occhi. Sì, a volte lo riesco a sentire. Tipo quando sono con te.

Peter, trentenne all'apparenza perfetto, è in cerca del suo centro. Imbottito di antidepressivi, si divide tra due donne: Sylvia, l'indimenticata ex tormentata dai dolori cronici; Naomi, un'universitaria con una pagina Onlyfans e un appartamento occupato abusivamente. Il secondogenito, Ivan, è una promessa degli scacchi mancata: goffo e asociale, si innamora di Margaret, una deliziosa neodivorziata con dieci anni di troppo. Combattuti tra desiderio e pregiudizio, i fratelli Koubek vivranno clandestinamente la bigamia e l'incanto di un colpo di fulmine. Alle prese con l'incompiuto, cercheranno conforto nel calore di un corpo nudo e nel piacere di rivelarsi a un'amante inconsapevole. Pretenderanno di amare ed essere amati: troppo? Galeotta, come sempre, la piovosa Dublino. I cappotti non sembrano mai pesanti a sufficienza e ogni conversazione è destinata a tramutarsi in nuvole di vapore: tanto vale affogare la malinconia nelle sbronze infelici, nel sesso riparatore, anche se, cerebrali al solito, i personaggi inciamperanno nei loro atti mancati al risveglio. Li si spia senza palesarsi. Li si legge senza prender nota. Tra le pagine c'è un'intimità tale che ogni voce improvvisa, qualsiasi fruscio, minaccerebbe di infrangerla. Non sempre, tuttavia, siamo altrettanto delicati con coloro che amiamo. Io e Peter giudichiamo aspramente le scelte dei nostri fratelli - come si vestono, chi frequentano, cosa fanno del loro denaro. Ci arroghiamo il diritto di essere i boia più imparziali. È per ispessire loro la pelle, per rafforzargli le ossa. Per proteggerli dal mondo.

Nessuno è perfetto. A volte hai bisogno che le persone siano perfette e loro non riescono a esserlo e allora le odi per sempre perché non lo sono anche se non è colpa loro, e neanche tua. È solo che avevi bisogno di qualcosa che loro non potevano darti. E poi capita lo stesso a te con altre persone, sei tu quello che non soddisfa le aspettative, che non riesce a far andar meglio le cose, e ti odi così tanto che vorresti essere morto.

Da sempre custode degli equilibri familiari, il primogenito mette al vaglio ogni errore del più piccolo: hanno idee agli antipodi e vivono un lutto che, anziché unirli, minaccia di separarli - parlo di loro, parlo di noi, non lo so più. Chi avrebbe pronunciato l'elogio funebre migliore? Che fine farà il cane, rimasto senza padrone? Dove passeranno il prossimo Natale? L'unico in grado di conciliarli, quel padre dell'est umile e arrendevole, non c'è più. Pensosi, i Koubek litigano per tutto e per niente. Si bloccano su WhatsApp. Vengono alle mani. Ma, con le labbra spaccate e le nocche livide, finiscono per trovare poi scampo nei luoghi in cui sono stati bambini. Quando, al telefono, gli amici di famiglia confondevano le loro voci. Quando, nelle fotoricordo, si somigliavano. Essere simili agli occhi degli altri era la fonte di irritazione e orgoglio più grande. Siamo fratelli. Siamo specchi. Non sappiamo perdonare al sangue del nostro sangue il difetto di essere imperfetto. Non sappiamo perdonarci. Al funerale di mio nonno abbiamo visto cugini che non frequentavamo da un decennio. La notte, poi, abbiamo dormito in due letti appiccicati. Sembrava di essere tornati nei giorni terribili della separazione dei nostri genitori. Segretamente, tra me e me, però, li ricordo anche belli. Non siamo mai stati altrettanto complici come allora.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Calcutta – Tutti