Ciao
a tutti! Inaspettatamente, rieccomi qui, a poca distanza dall'ultimo
post, a parlarvi della mia ultima lettura. Se sono stato così
veloce, è merito di questo romanzo che, carinissimo, si è lasciato
DIVORARE. Ringraziando la gentilissima casa editrice per avermene
inviato una copia, vi auguro una buona lettura e vi mando un abbraccio.
Coraggio, è quasi fatta. Molto probabilmente, dal 2 Luglio sarò un
uomo libero!
Gli
uomini vengono da Marte. Gli zombie dall'inferno...
Titolo:
Finché zombie non ci separi
Autrice:
Jesse Petersen
Editore:
Multiplayer Edizioni
Numero
di pagine: 224
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
Sarah e David sono una giovane coppia in crisi: l'alchimia che c'era
prima ormai sta svanendo e il loro matrimonio rischia di andare in
fumo. Da qui, la necessità di seguire una terapia di coppia con la
Dr.ssa Kelly. Un bel giorno, proprio mentre sono diretti verso lo
studio della psicoterapeuta, Sarah e David notano delle stranezze: la
superstrada è deserta, la solita guardia di sicurezza al parcheggio
dell'edificio non c'è, e il fatto che la Dr.ssa Kelly stia
strappando a morsi la gola di un altro cliente. La coppia ha scelto
il giorno sbagliato per uscire di casa, perché stanno spuntando
zombie da ogni angolo della strada! Un virus sfuggito ad un
laboratorio universitario ha trasformato Seattle in una zona di
guerra, piena di mostri antropofagi che attaccano le persone. La
situazione peggiora di ora in ora. Dopo aver eliminato la vorace
(ex)psicoterapeuta, i due devono prepararsi a sopravvivere ad un'
Apocalisse zombie. Sarah e David lotteranno per la sopravvivenza ma i
loro problemi di coppia non svaniranno magicamente solo perché
assediati e in pericolo di vita. Riusciranno ad unire le forze,
salvare la pelle e i loro succulenti cervelli senza uccidersi l'uno
con l'altra?
La recensione
Qualcuno
l'ha detto: l'amore è un campo di
battaglia. Be', quel qualcuno aveva
ragione e, probabilmente, in una sfera di cristallo magica,
misteriosamente proiettata sul futuro, aveva visto funesti presagi,
zombie, nubi radioattive e una Seattle di cenere e fiamme. Quel
qualcuno, ancora più probabilmente, conosceva Sarah e David. Una
coppia scoppiata. Avete presente il genere, no? Lei, lavoratrice
instancabile e con sogni grandi. Lui, scanzafatiche legato, in
seconde nozze, con il joystick della sua amata Xbox. L'amore
all'inizio c'era, ma poi è subentrato il resto: lavori saltuari, un
catorcio puzzolente come macchina, un monolocale squallido in un
quartiere ancora più squallido, una crisi che logora le finanze e
gli affetti. Economica, dunque, e sentimentale. L'unica soluzione per
salvare cinque anni di matrimonio: una rinomata
terapista dall'altra parte della città. Il che equivale a consigli
scontati ed inutili, soldi buttati a vanvera, massicci manuali per
mariti e mogli modello, altri litigi ancora. La loro casa, da scrigno
di tenerezze e confidenze, era diventata, già da un pezzo, il campo
di battaglia di quel famoso e saggio detto. Il 10 Agosto 2010 lo è
diventata letteralmente: una fortezza, una barriera, un bunker.
Quando fuori
è scoppiato il finimondo, stare insieme sotto un unico tetto è
diventato la loro salvezza. Gli zombie, come in un film horror, hanno
invaso la città; forse il mondo intero. L'aveva detto la sveglia
Sarah che qualcosa non andava quando, armata di tacco a spillo,
aiutava il suo quasi ex maritino a sfondare il lobo frontale della
sua terapista, la Dottoressa Kelly. Con i suoi prezzi improponibili,
che la terapista fosse una sanguisuga senza scrupoli i due giovani
coniugi già l'avevano capito! Ma mai avrebbero sospettato che quella
bella donna in carriera dalle unghia sempre smaltate, accanto al
pilates e ai massaggi termali, avesse anche l'hobby del cannibalismo.
Lo scoprono quando, entrati nel suo studio, la vedono divorare la più
affiatata delle sue coppieda
salvare. Purtroppo per loro, quello
non è un caso isolato. La passione per la carne umana, d'un tratto,
impazza a Seattle più velocemente di qualsiasi moda. Quella donna in
tailleur è una zombie in un Paese di zombie. Prima che i lifting le
stirassero, insieme alle rughe, anche il buon senso, Madonna non
diceva forse una cosa giusta?
Canticchiate con me, sù: 'cause
we are Living
in an material undead world and I'll
be an material undead girl.
Ok,
forse no. No, non diceva così. Prevedere un'epidemia di morti
viventi era troppo anche per lei, la nonna d'arte di Lady Gaga... Fatto
sta che Sarah, voce narrante del romanzo, è fermamente decisa a non
adattarsi a quel mondo. Lei – anticonformista, ribelle, viva? -
vuole custodire la sua umanità e, sopratutto, vuole ricucire, come
la fedele Penelope, la relazione con il suo incostante David. Mentre
la città marcisce come carne putrefatta e sembra implodere su sé
stessa, i due impareranno a collaborare (Uccidiamo
insieme quella belva della terapista, yeah!),
a scambiarsi gentilezze (David,
mio caro, come spappoli cervelli tu nessuno mai!),
ad amare i loro reciproci difetti (E'
vero che lasci sempre la tavoletta alzata, ma chi mai avrebbe pensato
che mi sarebbe stata utile per schiacciare la testa del nostro vicino
non-morto nel water?!),
ad accettare le loro famiglie (Tua
sorella è una strega odiosa. Probabilmente nemmeno uno zombie le si
avvicinerebbe: andiamo da lei!),
a capire di volersi ancora bene (E'
la seconda volta che mi salvi la vita: ti amo, ti amo!):
perché la morte accende il fuoco della passione, non lo sapevate? La loro scapestrata
fuga per la vita, caratterizzata da spettacolari uccisioni, simpatici
personaggi che vanno e vengono, sette di fanatici religiosi e buoni
sentimenti, è raccontata con leggerezza, ironia, agilità, orrore e
sentimento. Sangue, amore e sfolgoranti sorrisi non mancano
certamente: tutto grazie alla prosa della brava Jesse Petersen che,
pur non firmando il libro dell'anno, intrattiene piacevolmente come
pochi sanno fare. Tragicomica, caliginosamente solare e famelica di
divertimento, è un pericoloso ibrido tra una wedding planner, una
psicoterapeuta e un George A. Romero in gonnella.Primo
di una trilogia mortalmente divertente, Finché zombie non
ci separi è una storia rosa
shocking e cervelli fumanti, rossa come l'amore e come sangue che
zampilla da un morso vorace. Una commedia romantica con Katherine
Heigl e Jennifer Aniston, ma con zombie.Strappa
risate, miti consensi, brandelli di carne. Si salvi chi può!
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Katy Perry – Hot & Cold
Ciao
a tutti, come state, amici miei? E' passata quasi una settimana dal
mio ultimo post, ma capirete: il 19 sono ufficialmente iniziati gli
esami di maturità. La prima prova – nonostante le tracce
difficilissime, che lì per lì mi hanno shockato! - è andata più
che bene: analisi del brano di Magris. Non conoscevo l'autore, ma 1)
era il male minore; 2) il brano era molto intenso, quindi mi sono
cimentato con una cosa che non avevo mai fatto prima. Buona la prima,
insomma: speriamo! Alla seconda prova, invece, versione di
Quintiliano: fattibilissima, anche se – un errore lì, un errore
qui – ho paura di non averla fatta bene come in un primo momento
avevo sperato. Domani, è tempo del temutissimo “quizzone”. E, su
cinque materie, ne ho fatte due o poco più: cazzo! Intanto, oggi vi
propongo la recensione di un romanzo carinissimo che ho divorato in
questi giorni, tra una prova e l'altra. Fatemi sapere cosa ne pensate
e, mi raccomando, pregate per me: è una corsa contro il tempo. Un
bacione, buona domenica e buona lettura, M.
Il
cielo è tutt'intorno a te. Sopra e sotto. Il cielo è ai tuoi piedi.
Titolo:
The sky is everywhere
Autrice:
Jandy Nelson
Editore:
Fazi “Lain”
Numero
di pagine: 270
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
La diciassettenne Lennie Walker è praticamente perfetta: ama i
libri, suona il clarinetto nella banda della scuola e trascorre gran
parte del suo tempo felicemente riparata dall'ombra della volitiva
sorella maggiore, Bailey. Ma quando Bailey muore, d'improvviso Lennie
si ritrova catapultata al centro del palcoscenico della vita. E, a
dispetto della sua inesistente esperienza con l'altro sesso, si
troverà a barcamenarsi tra le attenzioni di ben due ragazzi. Toby è
l'ex fidanzato di Bailey: il suo dolore fa da eco a quello di Lennie.
Joe, invece, si è da poco trasferito in città, dopo un'infanzia
trascorsa a Parigi, e il suo magico sorriso sembra essere eguagliato
solo dal suo straordinario talento musicale. Per Lennie, Toby e Joe
sono come il sole e la luna: se uno è capace di spazzar via il
dolore, l'altro le offre conforto. Eppure, proprio come le loro
controparti celesti, i due ragazzi non possono incontrarsi l'uno
nell'orbita dell'altro senza che il mondo esploda.
La recensione
“Non
riesco a dare un calcio al buio”. La morte di un adolescente:
brutto affare. Un incidente d'auto causato da un bicchiere di troppo,
un pazzo che gioca a fare Dio con la vita di un innocente, il cuore
che non regge e le ginocchia che si piegano. Succede, anche se
sovverte l'ordine naturale del cosmo. Le cause sono diverse, ma
succede. E le parole mancano. E le forze vengono meno. E le lacrime
minacciano di fare della nostra cameretta un'Atlantide sommersa. E la
vita, anche se non vogliamo, continua: cancellando i ricordi e i
volti delle persone che abbiamo amato e che non ci sono più,
spingendoci a bere e a mangiare anche se lo stomaco minaccia di
vomitare tutto insieme al dolore e al resto... facendoci innamorare da
capo. Quando capita è orribile, quando se ne scrive è difficile,
straziante, triste. Ma non se si parla di The Sky is everywhere,
uno young adult che parla con il tono più delicato e dolce della più
lacerante delle perdite: la morte di una sorella. A casa Walker c'è
un gene pazzo che, generazione dopo generazione, colpisce le donne
della famiglia. Quello dell'irrequietezza, dell'abbandono. Lennie,
diciassette anni, sa che è stato quello a portare la madre a
scappare lontano. Per fortuna, però, ha sempre potuto contare sulla
sua sorella maggiore: la saggia e vitale Bailey. Sono conosciute da
tutti come Bailey e Lennie. Niente le ha mai tenute lontane. Finchè
anche Bailey, alla fine, la abbandona, proprio come aveva fatto sua
madre. La tradisce.Va via, dove nessuno può raggiungerla. In cielo.
In un Paradiso che forse c'è, forse no. Durante le prove di uno
spettacolo teatrale, muore e basta. Ad appena diciannove anni. Nell'estate
dell'anno scorso, cullato dal ritmo del mare e dalle ombre del
stabilimento balneare che diventa rifugio per le mie letture durante
i mesi più caldi, avevo letto il romanzo d'esordio di un'ottima
scrittrice italiana: parlo di Benedetta Bonfiglioli e del suo bel
Pink Lady. Anche lì,
come nel romanzo dell'americana Jady Nelson, venivano raccolti i
pensieri – ora felici, ora tristissimi – di un'adolescente alle
prese con una nuova città e col medesimo dramma della nostra
protagonista. Di Anna – una scorza dura, ma il cuore morbido di una
mela da cogliere celermente – mi aveva colpito l'immensa
solitudine, la voglia di chiudersi lontana dal mondo. Lennie, invece,
non è sola. Fa parte di una famiglia di allegri hippy e, in
un'assolata California, vive tra piante esotiche, rose apparentemente
dotate di vita propria e di un'esistenza più eccitante di quella della protagonista stessa, marijuana medica utilizzata da uno zio un po' fuori di
melone e con cinque ex mogli all'attivo, foglie profumate alla base
dei rilassanti infusi della nonnina. Be', della nonnona:
la nonna di Lennie, infatti, è alta tipo un metro e
ottanta, ha capelli ricci e lunghi fino al sedere, vestiti sgarcianti
ed una casa non piena di gatti, ma di dipinti fatti solo utilizzando
tenui sfumature di verde.
Una figlia dei fiori, diventata una mamma
con una figlia scappata chi sa dove e una nonna senza più la
maggiore delle sue nipoti. E poi, proprio nel momento più critico, a
contendersi il suo cuore sono due aitanti spasimanti. Già, proprio
il cuore di lei, che prima non sapeva nemmeno uscire di casa lontana
dalle “sottante” dell'inseparabile sorella; che prima aveva la
vita sentimentale di una pianta grassa! I grandi amori, si era sempre ripetuta,
lei che ha letto Cime Tempestose
ventitré volte, spettano solo ai protagonisti. C'erano Heathcliff e
Cathy, nessun Mr. Earnshaw è mai stato ricordato. Lei è sempre stata la potenziale
damigella, non la sposa. Tutti i riflettori erano puntati su Bailey,
lei viveva nel conforto della sua ombra. A unirla a Toby è il
dolore, l'assenza, una stanza arancio zucca che odora ancora dei
vestiti di Bailey. Lui era il suo ragazzo, e avrebbe voluto sposarla,
un giorno o l'altro: l'aveva giurato. E' sbagliato, ma loro si
baciano per sentirsi più vicini a lei, per scambiarsi sulle labbra
la promessa carnale di non dimenticarla mai e poi mai. L'altro lato
del triangolo è Joe Fontaine: candido, solare, innocente, con un
sorriso a mille watt e un battito di ciglia portentoso. La chitarra
in grembo, un francese impeccabile, la gioia di vivere incarnata nel
corpo del ragazzo perfetto. Ma ha mai sentito parlare della
sofferenza, almeno? E della morte?
Follemente
triste, follemente felice, follemente innamorata, folle, Lennie si
trova a essere il vertice di un triangolo di giovani cuori:
Giulietta, Cathy e Lady Chatterly insieme. Per sempre innamorata, per
sempre dannata, per sempre peccatrice. Eppure vuole solo volare via,
verso quella nuvola a forma di cuore che solca l'azzurro pastello del
cielo. Il caldo soffoca, i romanzi d'amore cullano, l'estate profuma,
gli ormoni impazziscono. Lei scrive poesie e sogni ovunque: sui
post-it e le ante dei mobili vechi, le piastrelle e i bicchieri
di Starbucks. Le ha
scritte in questo The Sky is everywhere,
titolo fantastico per un romanzo che sopravvive a una crociata di
pena con un sorriso radioso e un'anima gemella – ma una sola! -
accanto. E' solare, delizioso, dinamico, commovente, inaspettatamente
lirico, sexy. Uno young adult maturo, che unisce poesia e dramma alle
scintille roventi dei new adult
di ultima generazione, che alla prosa dell'autrice hanno però da
invidiare eleganza, buon gusto, realismo, bellezza. Talvolta
malizioso e seducente, capace di sfilare a testa alta tra luoghi
comuni e comuni sensi di colpa, è un romanzo di formazione a 360°,
in cui adolescenti ed adulti vengono irreversibilmente cambiati da un
avvenimento che ha la portata di una catastrofe epocale e in cui,
diciassettenni o sessentenni, uomini o donne, tutti cambiano, mentre
tutto – intorno a loro – cambia. Quello che mi ha colpito è la
musicalità che invade ogni pagina e che ogni singola parola sprizza
in un turbinio caldo di scintille e buoni sentimenti. Ha l'armonia
dei duetti
clarinetto-chitarra che Lennie “John Lennon” Walker e il suo Joe
suonano sul portico di casa o sul letto segreto che il verde del
bosco nasconde. L'armonia del caos dell'esistenza umana. Fa ridere
tanto, fa emozionare tanto, fa sentire vivi tanto e, grazie
all'orginale e ottima impaginazione, regala meravigliosi biglietti a sorpresa tra
le pagine. Contagia il lettore con un amore che è una febbricitante
epidemia di ottimismo, gioia, buon umore. E con una storia di
cui si ci dovrebbe riempire i polmoni.
Sinossi:
Estate 1973, Heavens Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno
studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perché
la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare
qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park.
Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto
bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw,
che gli affitta una stanza, ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in
bolletta come lui e ben presto inseparabili amici;
dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile
del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde
un terribile segreto: nel Castello, infatti, è rimasto il fantasma
di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così,
mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il
suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che
minaccia Heavens Bay. E
difendere la donna della quale nel frattempo
si è innamorato.
La recensione
“Ero
un verginello di ventun anni, con aspirazioni letterarie. Avevo tre
paia di blue jeans, quattro di boxer, un rottame di Ford, sporadiche
idee suicide e un cuore spezzato. Che dolce, eh?”.
Devin,
questi sono i ragazzi. Ragazzi, questo è Devin. Un tipo magrolino,
insoddisfatto, grigio. Una vita da dipingere su una tela
monocromatica, scura e piatta proprio come la sua esistenza. E'
sempre stato così: né felice, né triste. Perennemente depresso e
annoiato, con una fidanzata che protegge il fiore della sua verginità
con le unghie, con i denti e una lunga lista di improbabili bugie e
mal di testa e l'ambizione segreta, sin da bambino, di diventare un
grande scrittore - pur non avendo mai impugnato una penna per dare
concretezza a una storia sfuggente – e, nella camera
dell'accogliente pensione di Mrs Shoplaw, un cassetto zeppo di
pacchetti di preservativi mai aperti, calzini spaiati, mutande
stinte, ma privo di un misterioso doppio fondo in cui è nascosto il
tipico manoscritto di cui vergognarsi un po', e un po' andare fieri.
Il mio ritratto, praticamente - ragazza stronza e sporadici ed
infantili pensieri di morte a parte. “Con il passare del
tempo, ho scoperto che raramente i gentiluomini trombano. Una massima
degna di essere ricamata su una tovaglia da appendere in cucina”.
Amen, amico mio: una verità
universalmente nota, ormai. Ma ritorniamo alla storia!... All'inizio
del romanzo, il protagonista – giovane universitario spiantato e in
cerca di un lavoretto per mantenersi: il me dell'anno prossimo,
probabilmente – scopre Joyland, un parco divertimenti sulla costa
americana; ricco e affollato, in un'estate in cui, ancora una volta,
è riuscito a sopravvivere alla concorrenza dei terribili,
competitivi e meravigliosi Disney Worlds
che stanno fagocitando i parchi più piccoli come se fossero poco più
che deliziosi e colorati cupcakes. Gnam...Gnam... e,
prendendo baracca e burattini, come si dice, si chiude bottega. Lui
lì si scopre felice. E, mentre goffo e sudato, balla attorniato da
bimbi adoranti non pensa più alla ragazza che gli ha rotto in due il
cuore, ai sacrifici fatti o da fare e al fantasma che si racconta
popoli il parco. Viene pagato per regalare gioia alla gente. Nella
sua estate più bella – quella del 1973 – ci sono i Doors e i
Pink Floyd che cantano in sottofondo, cacce ai fantasmi e falò sul
mare, amori e amicizie speciali, strade dai nomi di caramelle e
dolciumi, dedali di giostre e ruote panoramiche. Un mondo di nomi in
codice e saltimbanchi.
Un circo di risate, stupore, infanzia, con
indovine dall'accento straniero, tanto esotico quanto fasullo, ed
animali amichevoli ed esclusivamente di peluche. Enormi mascotte
impellicciate in cui, dentro, c'è un pischello sudato, mezzo nudo e
in preda a un esaurimento nervoso pressoché imminente. Anziano, il
protagonista si guarda alle spalle. Il pensionamento davanti, la
morte al passo successivo. Racconta l'estate dei suoi 21 anni con
arguzia, nostalgia e la saggezza di chi ha vissuto tanto, a lungo,
intensamente. Con gli occhi velati per la commozione, o forse per la
cataratta, compara passato e presente: parla delle coppie che
nasceranno, di quelle che scoppieranno al primo litiglio, di amici
che vivranno una bella vita e di altri che, invece, non
raggiungeranno mai una rugosa e soddisfacente vecchiaia, piena di
nipoti e rimpianti come la sua. A raccontare il tutto, un autore
d'eccezione di cui, immediatamente, salta all'occhio una leggerezza
immane, contagiosa, irresistibile, senza peso: Stephen King. Lui
scrive con la stessa facilità con cui si respira. Respira per
scrivere, scrive per respirare. E' nato per farlo e, dopo una lunga,
lunghissima gavetta, ha conquistato scettro e corona, il titolo di
re.
Re del brivido, ma che, ancora una volta, sceglie di cimentarsi con
qualcosa di diverso dai racconti macabri, cruenti e geniali che
l'hanno reso quello che è. Chi non lo ha mai letto ci vedrà solo
una storiella estiva di spiriti in cerca di pace e prime volte. Uno
Stephen King “da ombrellone”. Io ci ho visto un mondo. Il suo. Un
regno d'inchiostro e fantasia che non ha solo case stregate e
spauracchi, ma anche viste che mozzano il fiato e lacrime pure,
proprio come lo sono i sorrisi e i sospiri che dona.Io, che lo leggo
da quando sono piccolissimo, ho visto tra le righe un milione di
sfumature. Forse, anche quello che non c'è scritto. Mi
è sembrato il racconto di un nonno ad un nipote, pieno di velate
bugie e grandi verità proprio come lo è ogni storia riesumata tra i bagagli dei ricordi di un anziano chiacchierone e instancabile. Con la
voglia di parlare, di raccontare, di sentirsi – per età – vicino
a James Barrie; per energia, a Peter Pan. Una scrittura emozionante
ed emozionata lo rendono un testamento morale, la fine di un vecchio
ciclo e l'inizio di uno nuovo. 22/11/63 – intenso,
audace, coraggioso, capolavoro – era il nuovo. Questo Joyland
è un'occhiata lacrimosa e
malinconica dalla finestra dell'adolescenza, forse l'ultima prima che il treno fischi e vada oltre. Gli anni
passano e Stephen, come tutti, sta invecchiando. Io l'ho letto come
un addio a Carrie,
Stagioni diverse, La
bambina che amava Tom Gordon,
agli anni ormai passati e, soprattutto, ai bambini curiosi e
impulsivi di quella meraviglia di film che è Stand By Me. E' una festa d'addio. Questo luna park non è costruito sulla casa
dello spaventoso e sanguinario It,
ma in una landa su cui brilla quasi sempre l'arcobaleno, con il sole
e le tempeste di acqua e vento. Nell'america calda, vivace e
rockettara del film Adventurland.
Ci sono bambini dalle doti magiche, mamme forti e mamme a pezzi, eroi
per caso, prime delusioni e primi baci dati in mezzo alla felicità e
al casino di un letto sfatto, convogli che fanno tappa in zone
d'ombra, dove il mistero e la morte aleggia per sempre. Morte che, insieme
all'amore, è analizzata nella complessità delle sue forme. In
relazione all'aldilà o all'aldiquà, alle azioni efferate di un
folle o agli scherzi di una vita dotata di grottesco e cinico black
humor. Il destino segue una simmetria tutta sua: quanto è vero.
Mentre leggevo e sottraevo tempo allo studio, proprio come sto
facendo adesso, ho ripensato al mio primo giorno di scuola del quarto
ginnasio. Nello zaino, avevo il mio ultimo acquisto: Il
talismano, un potente fantasy
scritto a quattro mani da King e Peter Straub. Adesso, cinque anni e
diverse centinaia di libri dopo, ho accolto gli esami ormai alle
porte in compagnia di Joyland.
Sempre bello, sempre di King. Sono anni che ci facciamo compagnia. Un
secondo padre, uno zio famoso, un amico favoloso anche se ignora ostinatamente e comprensibilmente la mia esistenza,
un maestro saggio e un compagno di letture a cui posso dire solo una cosa:
grazie, ancora una volta, per il lungo viaggio fatto insieme. E'
stato un onore. PS.
Mr King, alla lettera per Hogwarts ci ho rinunciato, alla fine. Ma
aspetto ancora che lei mi adotti, sotto sotto. So che non è Angelina
Jolie – non vedo labbroni rosso lampone in giro e un asilo nido di
bambini che portano tutti il cognome del bel Brad Pitt – ma sa, mai dire mai...
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: The Beatles - Come Together
Buona
domenica a tutti, amici. Come state? Qui, si continua a
studiare: la prova d'italiano è imminente! Oggi, per non lasciare
che il blog cada nell'oblio più totale, vi propongo un nuovo
appuntamento con la rubrica Mr Ciak, in cui vi parlerò di tre
film adatti a tutti e molto validi. Il primo, Stoker, uscirà
nei cinema italiani a giorni, il 20 Giugno e, con un cast
straordinario e una trama da brividi, sono sicuro potrebbe
sorprendervi non poco. Safe Haven, stranamente ancora inedito
da noi, è tratto da uno dei tanti bestseller di Nicholas Sparks:
Vicino a te non ho paura. L'ultimo, invece, è al cinema dallo
scorso 30 Maggio ed è una commedia francese divertente, romantica,
godibilissima, perfetto: Tutti pazzi per Rose. Fatemi sapere, come
sempre, se li conoscete o cosa ne pensate. Mi ritiro nelle mie stanze
e tra mari di appunti da ripetere. Un abbraccio e buona giornata, M.
Una
fotografia ipnotica e nitidissima. Straordinari passaggi da una scena
all'altra, talmente belli da sembrare pennellate in un'opera d'arte.
Giochi di luce e buio, zoom e fermi immagine sulla natura in fiore e
su spruzzi di sangue che sporcano i volti e il verde dell'erba.
Angoscia e meraviglia che crescono insieme, in un film non bello, ma
atipico, ansiogeno, sublime: che non dà pace. Vado raramente
d'accordo con i critici cinematografici e, senza vergogna, ammetto di
non essere mai stato attirato dai film di Chan – wook Park, di cui
si ricordano con elogi continui soprattutto Thirst,
Oldboy, Lady Vendetta. Non
sono abbastanza maturo per apprezzare quel
tipo di cinema e non ho la pazienza per assorbirlo e comprenderlo
fino in fondo. Stoker,
tuttavia, prima esperienza americana del regista, è un film
estremamente affascinante e intrigante, di grande atmosfera e
raffinatezza. Riesce semplicemente a stregare, a renderti parte
dell'ossessione e di una lucida e ripugnante follia. E' oscuro,
elegante, ansiogeno, grottesco, sottilmente malato: tragicamente
bello. Tutto merito di un talento registico palese, sorprendente,
pauroso e di una colonna sonora che – insieme alle immagini che
scorrono – si libra in picchi di struggente drammaticità, e di un
cast che lascia senza parole e incantati perfino davanti al panico
dilagante. La storia ruota intorno a un triangolo familiare, a un
lutto che ha lasciato una famiglia apparentemente perfetta in balia
di segreti inconfessabili. Parla di un'innocenza che muore. Dopo
l'improvvisa morte del padre, la diciottenne India si trova a vivere
insieme a una madre algida ed incostante e ad uno zio sbucato dal
nulla, ma che dietro di sé porta una scia di sparizioni e misteri
irrisolti. Interpretato dal bravissimo Matthew Goode, lo zio è bello
e crudele come Lucifero, l'angelo ribelle: una figura sorniona e
carica di ombre che porta in casa la seduzione, la passione, le
cicatrici di un passato mai condiviso con gli altri. Per Goode, che
ho sempre allegramente sottovalutato, è una delle migliori prove di
sempre.
La
madre di India, invece, è Nicole Kidman: bellissima, bravissima e
gelida come solo lei sa esserlo. A volte, sembra non essere di questo
mondo. Altera, sensuale, perfetta, una donna alienata e distante: una
cattiva mamma per un'attrice sempre e comunque fantastica. La
chirurgia plastica alla quale anche lei ha ceduto – ma perché?! -
non ha intaccato la sua espressività e il monologo finale che
pronuncia è straziante, sentito, viscerale. La vera anima del film,
però, è la giovane India, interpretata da una Mia Wasikowska in
stato di grazia. Una prova da premiare: psicologicamente ed
emotivamente carica, complessa, tormentata, che lei personalizza con
le sua fattezze da eterna bambina e con uno strano, malizioso
candore. I suoi occhi enormi ti spogliano, semplicemente. Un film
tesissimo, scandito da omicidi e dal suono sincopato del pianoforte,
da fantasie e da eredità tramandate nel sangue. Una pellicola dalla
bellezza acerba e assassina.
All'inizio
di ogni anno, c'è sempre un autore che, dalle librerie, viene a
farci compagnia al cinema: Nicholas Sparks. Dopo aver prestato
molteplici volte le sue storie d'amore al grande schermo, a un anno
esatto dall'uscita di Ho cercato il tuo nome,
l'ho ritrovato per caso con questo Safe Haven,trasposizione del romanzo edito in
Italia col titolo Vicino a te non ho paura.
I produttori italiani, di solito, non ci mettono mai troppo tempo a
riproporre le pellicole “con il macchio Sparks” qui da noi, ma su
questo suo ultimo film, uscito negli USA a gennaio con un discreto
successo, finora tutto tace. Strano, perché alla regia ritroviamo il
buon Lasse Hallmstrom – già regista di Dear Johne
di altri successi come Chocolat e
Hachiko – e perché
la trama sintetizza tutti gli elementi proposti nei precedenti film e
nei precedenti romanzi dell'autore. Katie è una donna in fuga e in
cerca di un nuovo inizio. Un poliziotto la bracca con la stessa
determinazione di un segugio e, con un nuovo taglio di capelli e un
nuovo nome, la protagonista è in cerca del suo porto sicuro. Il
pullman che doveva portarla ad Atalanta, fa sosta in un piccolo ed
affascinante villaggio di pescatori e consolidate tradizioni, dove
tutti si conoscono, ma dove un viandante stanco è sempre bene
accetto, proprio come la calorosa ospitalità del Sud prevede. Katie
trova lavoro come cameriera, un piccolo cottage nel bosco, e l'amore
di Alex – un giovane vedovo, con due bambini a carico, che gestisce
un negozietto d'alimentari affacciato sul mare. Entrambi meritano di
amare ancora, entrambi meritano di tornare a vivere. Ma il passato,
scopriranno, è una bestia dal quale non si può sfuggire. Solo
stando insieme possono sconfiggerlo... Verissimo, lo so. La trama è
già sentita, e Sparks non sembra aver rinunciato a quel solitovelo di tristezza che è sempre
stato proprio delle sue storie. Tra i protagonisti aleggia l'ombra
della solitamalattia
e tra loro e la felicità sono stagliati i solitiostacoli. Abbiamo la solita
cornice suggestiva, accentuata
anche da una bella fotografia, i soliti personaggi:
più o meno giovani, dal passato complicato, con un nucleo familiare
da ricostruire da capo... innamoratissimi. E, sinceramente, questa
volta sono perfino troppo belli per essere veri!Tutta questa
premessa per dire che, nonostante il solitotutto,
come al solito,
Nicholas Sparks sa far vibrare le corde giuste. Averci a che fare
spesso potrebbe anche venire a noia, ma ritrovarlo ogni tanto fa
effettivamente bene. I maestri del thriller hanno le loro regole, lui
ha le sue. Sono già consolidate, eppure funzionano: sentimenti
grandi fatti di gesti semplici, semplici; niente dichiarazioni
eclatanti, niente forzatura da cinema. Parlerei quasi di realismo, se
solo la realtà fosse così. Sicurissimo di sé dopo tantissime
esperienze con i segreti del cuore e del dramma, Hallmstrom ci mostra
paesaggi splendidi, momenti troppo perfetti per essere veri e un
intreccio che mescola Via dall'incubocon
Ricominciare a vivere.
Affiatati, belli e convincenti, nonostante la lieve differenza d'età,
Josh Duhamel (Tre all'improvviso)
e Julianne Hough (Footloose,
Rock of Ages) sono i
protagonisti di questa storia. Lui, tra bionde e romanticismo, è
sempre a suo agio. Lei, per la prima volta lontana dal musical,
mostra che, nonostante la sua avvenenza, sta bene anche in altri
contesti, e non solo nelle parate di Barbie in cui, fino a questo
momento, l'avevo immaginata.Safe Haven non
è nulla di nuovo, ma se avete cali di dolcezza e d'affetto,
soprattutto per mezzo di un magico colpo di scena finale, potrebbe
fare al caso vostro. Ogni tanto, dobbiamo a noi stessi la visione di
questi film. Il nostro cervello, sotto sotto, ci perdonerà: se lo
stacchiamo per un'oretta e mezza, anche lui starà meglio. Come noi
dopo la visione di Safe Haven.
Se
vivi negli anni '50 e sei una giovane donna, puoi avere solo un
sogno: fare la segretaria. Un lavoro moderno, di grande
responsabilità, con l'accesso facile ai pettegolezzi e ai segretucci
di tutti, che porta la bionda ed imbranata Rose nello studio
dell'autoritario Louis, un capo esigente e normativo, ma che,
tuttavia, crede ciecamente in lei. Una convivenza forzata li porterà
a vivere sotto lo stesso tempo, la preparazione per un campionato
mondiale di dattilografia li renderà sempre più vicini.
Professionalmente e sentimentalmente. Le commedie romantiche: come le
fanno i francesi, nessuno mai! Tutti pazzi per Rose è un
esempio perfetto di garbo, grazia, eleganza, brio. Una fiaba moderna
(o quasi) dai color confetto, dal lieto fine assicurato e di una
leggerezza che fa star bene al primo sguardo. E' apparentemente
semplicissimo, ma non lo è poi tanto. Dietro ogni scena c'è una
citazione, dietro ogni vestito o scenario un rimando alto e
nostalgico: la bellezza semplice e intramontabile di una Audrey
Hepburn, un dosaggio di colori intensi e contrasanti che ricorda
Hitchcock, un amore che strizza l'occhio al bellissimo My fair
Lady.
Un
film d'altri tempi, dunque, scandito dal ticchettio dei tasti di una
macchina da scrivere – io le trovo splendide! Devo riesumare quella
dei miei della soffitta... -, da risate e sorrisi dolci e dalle prove
attoriali di Roman Duris e Déborah
François. Il primo – una mascella pronunciata e un sorriso
asimmetrico – dopo averci fatto divertire con Il
truffacuorie
tornare indietro nel tempo con Arsenio
Lupin,
si conferma uno degli attori d'oltralpe più bravi e versatili. La
sua partner, invece, che non avevo mai visto prima sullo schermo,
unisce perfettamente un fascino ingenuo e un'imbarazzante
sbadataggine in una sceneggiatura che la vuole “principessa” e
“sognatrice” della storia. Sarò di parte, ma lo consiglio.
Adorabile.
Ho
imparato che gli umani si perdono dappertutto. Alle stazioni dei
treni, in mezzo al mare, inseguendo un sogno. Si potrebbero fare
delle collane di persone smarrite, collane da mettere al collo di chi
sappia prendersi cura di loro.
Titolo:
Di me diranno che ho ucciso un angelo
Autrice:
Gisella Laterza
Editore:
Rizzoli
Numero
di pagine: 183
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
E' quasi l’alba. Aurora, di ritorno da una festa, sta per
addormentarsi sul tram che la porta a casa. Forse è stanca e
stordita, forse sta solo fantasticando, ma lo sconosciuto che
all’improvviso le rivolge la parola ha un fascino così misterioso
da non sembrare umano. In un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà,
Aurora ascolta la sua storia. La storia di un angelo caduto sulla
terra per amore di una demone, deciso a compiere un lungo viaggio
alla scoperta dei sentimenti umani per divenire mortale. Un’avventura
che forse non è soltanto una fiaba, perché raccontare una storia –
e ascoltarla – è il primo passo per farla diventare reale.
La recensione
"Prima
di imparare a vivere, l'angelo capì che avrebbe dovuto imparare a
leggere."
Nell'attimo sospeso in cui la notte
incontra il giorno e la luna il sole, prima che una luce color pesca
e lillà rischiari le strade e spenga una ad una le fiammelle dei
lampioni di viali e piazze vuote, un'adolescente cerca pace sui
seggiolini consunti di un tram che sembra viaggiare verso l'infinito.
Non arrivare mai. E' giovane, e quella è la prima volta in cui
qualcuno le spezza il cuore. Di quella notte da dimenticare restano
giusto il rimmel sbavato, la testa che gira, abiti scomodi e il
ricordo di un lui senza nome che l'ha fatta sentire una nullità;
morire dentro. Vuole dormire e dimenticare. E' tardi ed i suoi
pensieri si scontrano ora contro quell'acuto dolore, ora tornano agli
occhi buoni di suo padre e al suo cipiglio severo: è tempo di
tornare a casa. Si chiama Aurora, lei: come quella bellissima
principessa caduta in un sonno perpetuo. Leggere Di me diranno che
ho ucciso un angelo vuol dire
spiare sotto le sue palpebre chiuse dolcemente, entrare – senza che
se ne accorga – nel cuore di luce del suo sogno incantato. Il
romanzo è una voce che risuona in un sogno. E' la voce di un sogno.
Di una delicatezza assordante e pura, che infrange i silenzi eterni e
i muri di spine. In tram, Aurora incontra un angelo caduto: un Peter
Pan in cerca della Wendy che lo
aiuti con la sua ombra; Pinocchio.
Ha bisogno di diventare umano. Ma lui non è un bambino di legno, ma
un ragazzo dai lineamenti che sembrano cesellati in un blocco di
marmo candido, pulito, perfetto. I suoi capelli sono d'oro puro e i
suoi occhi d'ambra sono bellissimi: profondi come l'abisso, scavato
dalle Leggi Divine, per separare Bene e Male. Eppure non sono quelli
gli occhi di cui ha bisogno. E' venuto sulla terra per diventare un
uomo, per imparare l'importanza di un nome, come Romeo, e il mondo di
emozioni nascosto dietro la parola “amore”.
Lui le racconta la sua storia, le suggestive e imperdibili tappe di
un pellegrinaggiodell'anima
attraverso i lidi più misteriosi della ragione e del cuore. Tutto ha
avuto inizio quando la Luna si è innamorata di una stella. E una
demone ha cercato l'amore della parte sbagliata del cielo. Lo sguardo
dorato di un angelo gentile. "Gli
sfiorò il viso e sentì di amarlo come i viaggiatori amano le
stelle, con quella forza dolce e misteriosa che unisce due cose che
sono, per natura, irrimediabilmente lontane."
E'
lui che vuole qualcuno che gli insegli a vivere o è la giovane
Aurora che, attraverso quel racconto di amori tristi e impossibili,
tragici o a lieto fine, impara a farlo? Gisella Laterza firma un
esordio incantevole e complesso. Una
versione italiana diIl piccolo Principe,
che, tuttavia, parla un linguaggio universale che ogni cuore riesce a
comprendere. Una storia spirituale e fiabesca, chesa
di filosofia antica,
infanzia ed età adulta.
Che - vellutata, tenue, dolce – suona come l'amore spiegato da un
bambino a un essere senza peccato. Inizialmente, ingannato dal
meraviglioso e indimenticabile titolo, pensavo si trattasse di una
raccolta di aforismi; di un volume di poesie. Poi, letta la trama, ho
pensato subito a un urban fantasy. Una volta strettolo tra le mani e
contemplato a lungo quella copertina gotica e magica, ho compreso
subito che la verità, per una volta, era esattamente al centro delle
due cose: tra l'urban fantasy e la poesia c'è la favola, ed è lì
che Aurora e il suo angelo inquieto e romantico vivono sospesi su un cielo di carta. In mezzo alla
vita. Tra gli uomini e le donne – ... tante storie da raccontare - di Paola
Calvetti, Sara Rattaro, Dorotea De Spirito e del Donato Carrisi di La
donna dei fiori di carta. Con il
tempo che scarseggia sempre di più, in questo periodo, l'ho letto
quasi sempre la sera tardi. Non nascondo che il sonno mi è sembrato
più dolce, in sua compagnia. La prosa di
Gisella culla, accarezza, abbraccia. E finché l'umanità avrà
bisogno di un abbraccio, be', questo sarà il libro perfetto. Uno di
quelli da salvare in caso di incendio.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: James Blunt – You're Beautiful
Succede
in tutte le commedie americane degne di questo nome. Il senior year -
l'ultimo anno di liceo - è accompagnato da tutta una serie di
tradizioni che ho sempre adorato e spiato da lontano: il prom, la
consegna dei diplomi, un bel discorso finale da pronunciare con i
kleenex a portata di mano e la reflex ad immortalare il tutto.
Ma questa è la vita, non un nuovo capitolo dell'High School
Musical con cui – coraggio, non nascondiamolo! – noi di
questa generazione siamo cresciuti. Siamo in Italia. Qui non si fanno
balli scolastici, qui non si consegnano diplomi a orgogliosi studenti
in toga. Per essere fiscali, qui non siamo nemmeno ancora diplomati!
Ma ad abbozzare un discorso ci tenevo. Davvero. A parlare al
microfono proprio non mi ci vedo, ma dietro uno schermo tutti siamo
più forti. Dietro queste parole scritte su carta nessuno mi vede
tremare un po'. Non so com'è successo. Una mattina di queste, come
al solito, mi sono ritrovato su Facebook senza un perché. Anzi,
forse lo so: scommetto di aver aperto il portatile, con gli appunti
di latino o filosofia accanto, in cerca di qualche strano paradigma o
di un'anima buona che sapesse trovare un senso alle tonnellate di
assurdità messe per iscritto da quel pazzoide di Kierkegaard.
Al posto di googlare qualcosa
di intellettualmente edificante – perché sì, ho un'esame da
preparare! - ho inserito password e email e il Social Network più
famoso del mondo mi ha dato il benvenuto, su una home zeppa di foto
di tizi sconosciuti al mare, di frasi scritte per darsi arie da
colti, di canzoni estive e trailer di film che ho già visto in
streaming. Senza un perché, sono finito sul mio profilo e, andando a
ritroso, ho cliccato sulle prime foto postate lì, nel lontano 2008.
Il mouse mi ha connesso a un passato di cui mi vergogno sempre un po'
e mi sono ritrovato a fissare il me di cinque anni fa: mmm... Madre
Natura ha uno strano senso dell'umorismo, eh. Stronza proprio!
All'epoca,
diciamolo pure, aspettavo che si decidesse a darmi sembianze
vagamente umane. Nonostante abbia sempre qualche parola cattiva più
che me che per gli altri, questa volta, guardando quel ragazzotto
schivo e robusto che aveva superato indenne o quasi le bolge
infernali delle scuole medie – guardandomi –, ho sentito
abbattersi su di me una valanga di malinconia. Ma non di rimpianto.
Ho sorriso all'altro me che, dietro lo schermo, sorrideva; poi ho
provato il gran bisogno di piangere, e chiudermi in casa, e piangere
ancora. Un sorriso e una lacrima per tutti i giorni passati, per
tutte le incazzature e i drammi, per tutte le fantastiche persone
strette accanto a me in quella foto di gruppo sgranata. E pensare
che io il Classico non lo volevo nemmeno fare più.
Ogni volta che
mettevo piede in quella scuola sembravo braccato dalla nuvola nera di
quello sfigato di Fantozzi. Fuori cantavano gli uccellini e brillava
il sole, poi, una volta sull'uscio, cominciava a diluviare. Brutto
segno. Indovinate il primo giorno di liceo? Già: pioveva. Sono
arrivato all'ingresso bagnato fradicio e quei bei capelli, che avevo
aggiustato e riaggiustato con una dozzina di vasetti di gel,
gocciolavano acqua come un'ala ormai affondata del Titanic.
Mi
ero fatto una videoteca di film mentali, un mare di problemi: il
latino (i prof pazzi!), il greco (… altri prof pazzi!), la
filosofia (… altri prof pazzi ancora!). Avevo fatto i conti con
tutti, ma non con le persone con cui – per i futuri cinque anni –
avrei convissuto. Nonostante fosse l'ultimo dei miei pensieri, è
l'amicizia che ho trovato. E perfino il ginnasio – palestra della
mente o emerita ruttura di coglioni? - non mi è sembrato così
infernale vissuto al vostro fianco. Noi, giovani condannati senza
colpe: schiacciati dal peso del Gi, braccati dalle mille difficoltà
del greco. Ricordo la prima gita, in Gregia, e quelle che sono venute
dopo: bagnati fradici a Mirabiliandia dopo un acquazzone
improvviso, sotto il sole caldo delle Isole Tremiti, a sorridere
tutti insieme in una foto di gruppo scattata sulle scalinate del
Parco Guell. Mi avete tutti lasciato qualcosa e quello che sono lo
devo anche a voi. Cinque anni non li ho mai passati con nessuna
classe, a pensarci bene: tre anni di elementari fatti a Palermo, gli
ultimi due qui, il periodo delle medie da mettere al rogo, poi è
arrivato il Liceo. Tutti dicevano sarebbero stati gli anni più belli
di sempre, e lo sono stati. Ci siamo urlati addosso, sporcati le
magliette con lacrime versate per un brutto voto o per una fragilità
incrinata da una cattiva parola, ci siamo odiati e voluti bene,
sopportati, sparlati a vicenda, confortati, irreversibilmente
cambiati. Nell'ultimo periodo, con una tensione psicologica alle
stelle, voi – III A – avete risvegliato la furia omicida che è
in me. Mi è venuta, di tanto in tanto, la voglia idiota di
trucidarvi dopo un'interrogazione rimandata, un'assenza strategica,
una lite senza senso, ma adesso, sebbene voglia ancora stritolarvi, è
solo per abbracciarvi tutti. Lo giuro. Per stringervi un'altra volta,
sperando con tutto il cuore che non sia l'ultima. La verità è una
sola: se la vita fosse un eterno ritorno e quello psicopatico di
Nietzsche avesse ragione, be', io rifarei tutto da capo. Rivivrei
tutto di nuovo. Uragano “Concetta” compreso. La campanella –
alle 10:00 di oggi, 11 Giugno – è suonata una volta ancora. E'
stata l'ultima per noi maturandi, che, tante volte, quel suono
l'abbiamo atteso e desiderato come l'acqua in un deserto. Per
sfuggire alla noia e alla interrogazioni, per tornare a casa
attraverso una strada percorsa ogni mattina per tanti anni. Ci sono
stati un paio di occhi lucidi, lunghi e familiari abbracci, ma nessun
conto alla rovescia. Uno spumante stappato più per tradizione che
per festeggiare qualcosa. Pensavamo che la fine della scuola ci
avrebbe reso liberi – nel caso di noi maturandi, liberi soltanto di
studiare per gli esami, eh – ma, invece, eravamo tutti prigionieri
della malinconia. Tutti proiettati a quel giorno di pioggia di cinque
anni prima. Il mio ultimo giorno di scuola non è stato innaffiato da
lacrime, ma da tanti sorrisi venati di leggera tristezza, mentre, in
sottofondo, una chitarra suonava La canzone del sole,
L'essenziale, 50 Special e noi ci univamo in un coro stonato, ma
ugualmente bellissimo. Come noi, infiniti come il titolo di quel bel film. Perché quando sono con voi, infondo, sono
felice. Voi mi fate stare bene. Ed è per questo che mi auguro che non ci
perderemo mai. Adesso, su, tutti a studiare! Vi voglio bene, Michele.
Ciao
a tutti, amici, e buon inizio di settimana! Tutto bene? Dopo
qualche giorno di assenza, colgo l'occasione per condividere con voi
la recensione di un romanzo di recente uscita, edito dalla Nord, che
ringrazio tanto per avermi gentilmente dato modo di leggerlo. Parlo di
Un'amicizia pericolosa, un raffinato e seducente noir
ambientato negli anni '20 e caratterizzato, nell'edizione italiana,
da una copertina elegantissima e semplicemente meravigliosa:
perfetta, davvero. La fotografia – che ha in primo piano una
bellissima modella che mi ricorda vagamente Emma Stone – è di
Natalia Ilina e, nella recensione, troverete altre due foto tratte da
un suo set fotografico. Abbracciandovi dal primo all'ultimo, vi
auguro una buona lettura.
Entrò
a passi lenti, con estrema calma, ma io capii subito di avere davanti
l'occhio del ciclone. Quella donna era il cupo epicentro di un evento
che ancora ci era oscuro, il rovinoso luogo in cui il caldo e il
freddo si fondono. In quell'istante capii che tutto, attorno a lei,
sarebbe cambiato.
Titolo:
Un'amicizia pericolosa
Autore:
Suzanne Rindell
Editore:
Nord
Numero
di pagine: 358
Prezzo:
€ 17,60
Data
di pubblicazione: 6 Giugno 2013
Sinossi:
Odalie... Quella mattina del 1924, quando si è seduta alla scrivania
accanto alla mia, avrei dovuto capire che avrebbe sconvolto la mia
vita. Già da due anni lavoravo come dattilografa alla centrale di
polizia di Manhattan e conducevo una vita tranquilla, ordinaria. Ero
una ragazza all'antica: sebbene intorno a me il mondo stesse
cambiando, non avevo mai nemmeno pensato di tagliarmi i capelli o
d'iniziare a fumare. Poi è arrivata Odalie. Il suo caschetto nero, i
suoi vestiti eleganti, la disinvoltura con cui teneva la sigaretta...
Odalie era così spregiudicata, così sicura, così moderna. In quei
giorni, mi sono resa conto che volevo essere come lei e che avrei
fatto qualsiasi cosa per riuscirci. Per questo ho accettato di
trasferirmi nel suo lussuoso appartamento e l'ho accompagnata alle
feste dove si beveva champagne e si ballava fino all'alba al ritmo
della musica jazz. E per questo non ho detto nulla quando mi sono
accorta che aveva falsificato alcuni rapporti di polizia. Volevo
proteggerla. Non potevo immaginare che mi stesse semplicemente
usando. Che mi stesse mentendo. Come avrei potuto? Odalie era più di
un'amica per me. Era il mio ideale di donna. E invece lei stava
architettando la mia rovina...
La recensione
E'
in una stazione di polizia, tra fumi di sigaretta, scaroffie
disordinate e il rumore sincopato dei tasti di una macchina da
scrivere, che ha inizio questa storia. Una storia di donne che
comincia in un ambiente di soli uomini, un tango in cui a condurre –
in una sala da ballo che ha i mille specchi di una stanza degli
interrogatori – è una lei.Odalie.Un'amicizia
pericolosa è la storia di un'ossessione che brucia l'anima, che
distrugge senza costruire. Un gioco letale che - tra intrighi di
collane e nastri, tra ombre di rossetto, sangue che ricorda vino
rosso e vino rosso che ricorda sangue - solo una donna avrebbe potuto
condurre. La prima volta in cui mette piede sul suo nuovo posto di
lavoro, una fiumana umana di sguardi invidiosi, esterreffatti o
incantati si tende verso Odalie. E' bella come un miraggio. Occhi
azzurri da gatta, labbra scarlatte, una sigaretta tra le unghia
smaltate, gioielli costosi, capelli corvini e un taglio che subito fa
discutere: un caschetto netto, affilato come lo sono il suo sguardo
audace e il suo umorismo pungente. Sfrontata. Moderna. Femmina. La
sua risata è musica, l'incedere sinuoso dei suoi tacchi alti non è
adatto ai deboli di cuore. Ha il potere di farti sentire un
miracolato, se ricambia il tuo sorriso. Scambiando futili
chiacchiere, pettegolezzi, presunti ricordi, ti fa sognare e
struggere: vorresti vivere la sua vita eccitante ed ebbra, vedere New
York attraverso la cortina vellutata delle sue lunghe ciglia scure. Prima di incontrarla, Rose era una persona buona. Lavorava
come stenografa per la polizia, tutt'uno con la sua moderna macchina
da scrivere e con i casi di omicidio e frode che, per un dignitoso
stipendio, era tenuta ad annotare con gesti meticolosi e ripetuti.
Orfana e cresciuta dalla religiosità asfissiante di suore arcigne e
normative, vive un'infatuazione segreta e un po' infantile per il suo
datore di lavoro e, cinica sognatrice, confida nell'arrivo di un
elettrizzante terremoto emotivo che le spazzi via la polvera da una
vita che, come il suo lookdémodé,
sa già di vecchio. Ma, da quando Odalie le ha concesso il primo
occhiolino complice, nulla è stato più come prima. Rose ha
abbandonato su due piedi la sua squallida stanza in affitto per un
appartamento dalla vista mozzafiato e dagli armadi forniti come
quelli di una boutique di grandi marche. Ha trascurato il suo lavoro
per imbucarsi a festini clandestini e a brunch che durano fino
all'alba del giorno dopo. Ha perso la lucidità in calici di
raffinato champagne.
E la testa nell'arte di essere come Odalie,
forse solo per comprenderla di più. Lei, che è il suo più grande
tormento. Il suo finale triste. La sua migliore amica: l'unica che
abbia mai avuto. Batto
sui tasti del portatile e, contagiato dallo splendore sfiorito degli
anni ruggenti, immagino di avere davanti a me una macchina da
scrivere d'altri tempi. I più grandi scrittori hanno affidato ad
esse i loro capolavori e gli scandali più torbidi sono stati
custoditi lì, poi sputati sulla carta, poi dati in pasto alla
stampa. A romanzo ultimato, immagino di raccogliere la deposizione di
Rose al banco degli imputati. Tutti ascoltano affascinati e curiosi,
tutti fumano, tutti aguzzano le orecchie per avere i dettagli di una
relazione considerata scandalosa. Nel suo racconto c'è gelosia,
ambiguità, mania. In quegli stessi anni, in Italia, Italo Svevo
pubblicava La coscienza di Zeno.Questa storia, invece, dovrebbe intitolarsi L'incoscienza
di Rose. Il primo era il diario
interiore di un bugiardo patologico, questa è la ricostruzione,
invece, di una narratrice inaffidabile che parla dell'amicizia assassina che l'ha resa dipendente di una droga chiamata Odalie. Cieca davanti all'evidenza. In
maniera superba, rievoca il meglio e il peggio di quegli ipocriti
anni che eppure adoro così tanto e, attraverso un drappo di mistero
e luci che sfavillano in mezzo ad intere cortine di fumo, ritaglia la
figura di una femme fatale che
sorride amabilmente, balla il charleston, manipola, uccide,
conquista. La sua inseparabile Odalie è un dubbio ossessionante che
seduce lei e il lettore dall'inizio alla fine. Come Salomè, sarebbe
in grado di chiedere il mondo su un piatto d'argento. O la testa di un suo rivale. E, puntualmente, sarebbe in grado di riceverli. La sua femminilità è
potere e il suo sguardo penetrante è la chiave che apre tutte le
porte. Di Paradiso o Inferno.Rose è Nick Carraway, in
viaggio nel lato selvaggio. Odalie – che è uno, nessuno
e centomila – è Jay Gatsby:
l'incarnazione al femminile degli anni '20.
Un bellissimo falso
d'autore. Il suo mondo luccica di diamanti e stelle, scivola sul
pavimento di una balera e sul fondo di un liquore di contrabbando,
sorride nascondendo abilmente una carie grande quanto una voragine, si
finge spensierato e felice quando una crisi economica peggiore della
nostra è in agguato a Wall Street. Confessa la verità e ritratta.
Smentisce e si contraddice. “Era
come se fossimo usciti dalla guerra stanchi di vivere, ma nel
contempo avessimo fatto un salto di generazione, simulando una
gioventù virginale. In breve, giunsi alla conclusione che eravamo un
mucchio d'impostori”. Suzanne Rindell, autrice eccellente e
padrona delle regole del gioco, firma un esordio impeccabile, che può
vantare due protagoniste uniche e uno stile pieno, curato, che odora
di vero, gin e menzogne. Ha poche carte, quasi sempre le stesse, ma
conosce l'arte di dissimulare e i segreti oscuri della persuasione.
Il suo modo di fotografare quegli anni è sublime e personalissimo.
Le sue frasi sono fotografie in bianco e nero che provengono
direttamente da quegli anni lontani; la sua storia è una lenta e
torrida escalation che, al ritmo del jazz di Chicago,
danza dietro le sbarre, tra lo charme immortale dei classici di
Hitchcock e l'erotismo evanescente e malsano dei conturbanti noir
di Brian De Palma. Quelle atmosfere splendidamente descritte e i
misteri foschi e sfrenati creano un labirinto d'inganni e doppi
giochi. Un reticolo prezioso che, ai polsi, ti fa trovare manette
tempestate di diamanti e, al collo, collier tanto stratti da metterti
a tacere per ora e per sempre. Un'amicizia pericolosa è la menzogna divenuta arte.
Buongiorno,
amici! Questa mattina, vi propongo la recensione in anteprima di un
romanzo che uscirà in libreria tra qualche settimana: Shelter, la
prima indagine di Mickey Bolitar e il primo romanzo per ragazzi
firmato dall'acclamato e celebre Harlan Coben. Una lettura simpatica,
nostalgica, piacevolissima. Sotto l'ombrellone, a breve, saprete già quale
titolo portare con voi!
Ringraziando il gentilissimo Sébastien
per avermi dato modo di leggere il romanzo con largo anticipo, vi
auguro una buona lettura.
Quando
salvi una persona, spesso la stai salvando da qualcuno. Se stai
facendo il bene, spesso è perché qualcun altro sta facendo il male.
Titolo:
Shelter
Autore:
Harlan Coben
Editore:
L'ippocampo
Numero
di pagine: 316
Prezzo:
€ 12,00
Data
di pubblicazione: 12 Giugno 2013
Sinossi:
L’anno che sta vivendo il quindicenne Mickey Bolitar non potrebbe
andare peggio. Dopo aver assistito alla morte di suo padre e al
ricovero di sua madre in un centro di disintossicazione, è costretto
a vivere con lo zio Myron e a cambiare scuola. Con
il nuovo college arrivano anche nuovi amici e nuovi nemici. Per
fortuna di Mickey, arriva anche una nuova, grandiosa fidanzata,
Ashley. Per un po’ sembra che quel disastro senza fine che è la
sua vita stia finalmente migliorando – finché Ashley scompare
senza lasciare traccia. Deciso a non perdere un’altra volta una
persona importante, Mickey si mette alla sua ricerca e viene così in
contatto con un mondo squallido in cui capisce che la sua ragazza,
dall'apparenza così dolce e timida, non è affatto quello che dice
di essere. E nemmeno lo è il padre di Mickey di cui non si capisce
poi se sia davvero morto. Ben presto il ragazzo viene a conoscenza di
una cospirazione così spaventosa da far sembrare i problemi della
scuola uno scherzo – e lo porta a porsi molte domande sulla sua
vita, che fino ad allora credeva di conoscere.
La recensione
Era
bello essere bambini. Era bello passare i pomeriggi alla ricerca di
casa infestate, boschi da esplorare, misteri da inventare e sventare,
vite immaginarie da costruire su misura per i passanti incontrati per
strada. Accadeva così che una realtà grigia, magari per un'estate
con troppe nuvole in cielo, lo diventava anche per le ombre di cui
noi stessi l'avevamo colorata. Ombre che, anziché spaventarci,
divertivano. Ombre che, anziché annoiarci, aguzzavano la fantasia e
i nostri fiuti di detective per caso. Crescendo, si viene assorbiti
da altro. Le
case fatiscenti che ogni cittadina di provincia ha fanno più pena
che paura, il fitto dei boschi diventa un covo d'amore per utilitarie
dai vetri appannati e registrate a nome di ignari e fiduciosi
genitori, le pedalate in bici con gli amici si fanno meno frequenti,
le leggende del paese – sotto cui avevamo sempre voluto
scorgere un filo di verità – diventano semplici e infondati
pettegolezzi. Il bello dei romanzi, tuttavia, è che, talvolta, le
cose sembrano fermarsi negli istanti più giusti, più interessanti,
più degni di essere condivisi davanti a un falò o alla luce di una
torcia elettrica, tra coperte e complicità cameratesche... Shelter,
primo capitolo di una serie per
ragazzi, mi ha riportato con un sorriso nostalgico a quei momenti:
sparizioni e loschi traffici, ottuagenarie spettrali ed enigmatiche,
omaccioni alla Men in Black con
gli occhiali da sole anche di notte e lo smoking scuro anche se ci
sono quaranta gradi all'ombra, anziani che raccontano storie di guerra e
bambini che, in mezzo alla neve, lasciandosi alle spalle un treno per
l'inferno, seguono una scia di colorati battiti d'ali e, infine, associazioni
segrete che danno una mano alla Divina Provvidenza. Tasselli sparsi
come tante macchioline: pigmenti sulle ali di una strana e rara
farfalla maculata. Ricco
di spunti interessanti e con un ottimo colpo di scena, inserito nel
momento più imprevedibile, questo è un romanzo simpatico, dinamico,
sorprendente, riuscito. E' terreno, realistico. Non ci sono tracce di
avvenimenti paranormali o di amori alla melassa propri di ogni
racconto adolescenziale degno di questo nome. E' impregnato di una
paura che immobilizza e affascina, rendendo avventati, curiosi,
coraggiosi. Supereroi con lo zaino in spalle e con un unico potere:
quello dell'amicizia. Racconta di un male che colpisce gli innocenti,
i più giovani, le ragazze sole e vulnerabili, ma ovunque c'è
quell'alone dorato tipico del sogno ad occhi aperti che ogni
ragazzino ha fatto nei momenti di consolante ed assidua noia:
immaginare di salvare una damigella in difficoltà, di avere una
missione importante da compiere, di far parte di una famiglia più
complicata ma comunque meno ordinaria, di essere speciali.
Mickey
Bolitar, il giovane protagonista, vede il mistero in ogni cosa, anche
in quelle più piccole. Come un eterno Peter Pan, passato dalle
partite a Indovina Chi? a
i casi di CSI, è
spontaneo, buffo, sincero, ma la sua voce – spesso – è incrinata
da una nota di sofferenza. Appena quindicenne, i suoi occhi hanno già
visto ogni angolo di mondo e il suo metro e novanta di statura non
l'ha protetto dagli scherzi della vita. Quando tutto era finalmente
stabile, quando lui e la sua famiglia avevano trovato il posto giusto
e colto il momento giusto, un incidente l'ha privato di entrambi i
genitori. Il padre è morto sul colpo, schiacciato dalle lamiere di una macchina in fiamme; la
madre è morta lentamente, schiacciata, invece, dal dolore e dalla dipendenza.
Un dramma forte, dunque - che ha cambiato tutto e tutti - ma trattato
con discrezione e grande tatto. Mickey è un ragazzone responsabile e
intraprendente: altissimo, imbranatissimo, simpaticissimo. Solo al
mondo, vive con uno zio estroverso e sensibile, ex stella del basket,
ma della cui complessa personalità sanno più i lettori che lui. Ma
questa è tutta un'altra storia, in verità!
I suoi compagni d'avventura sono tre
e, senza di loro, questo racconto non sarebbe stato così entusiasmante: Ema,
Spoon e Rachel. Caratterizzati con grande ironia e intelligenza,
tutti insieme sfatano i luoghi comuni e i falsi miti
dell'adolescenza. Ema – grande, grossa, apparentemente scontrosa e
con un look decisamente dark – ha una simpatia e un'inventiva
direttamente proporzionale al suo peso. Praticamente, è il mio nuovo
mito. Spoon – magrolino, occhialuto, nerd – è una sfornatore
ambulante di aneddoti; una fucina di sapere. Peccato che dica la cosa
sbagliata al momento sbagliato e che faccia finire ogni conversazione
con una risata o con un'occhiataccia dubbiosa e divertita da parte di chi lo circonda. Rachel,
invece, è la bella di turno: liberandosi dai pregiudizi che la
vogliono avvenente e stupida come una gallina, userà la sua
sensualità come un'arma segreta e la sua capigliatura bionda per
nascondere un ingegno fuori dalla norma. E in quanto allo zio di cui
vi parlavo prima... il nome Myron Bolitar vi dice qualcosa?
Protagonista di una serie di thriller per adulti, adesso passa la
staffetta al suo “nipotino”: perché il mistero è di famiglia, in casa
Bolitar. I
capitoli sono brevi e scorrevoli e sembrano brillare della freschezza
e della voglia di fare di un giovane esordiente. Ma no, non è così.
Lo scrittore Harlan Coben – noto a livello internazionale e autore
verso cui ho sempre nutrito timore e reverenza – è la
dimostrazione che non si cresce mai per davvero. Hanno già fatto
questo viaggio nel tempo, questo tuffo nelle acque limpide e fresche
della gioventù, i maestri del thriller John Grisham e Stephen King.
Alle indagini del piccolo Theodore Boone e alle meravigliose
avventure di Stand by me
e La bambina che amava Tom Gordon, adesso
possiamo aggiungere Shelter
e i futuri libri che, spero a breve, gli seguiranno.All'autore,
come scrive nei ringraziamenti finali, è piaciuto scrivere di questa
scapestrata cricca di quindicenni, e a me è piaciuto leggere di loro.
E' stato come se i misteri d'altri tempi di Cristopher Pike e di R.L
Stine non avessero mai avuto fine per davvero.
Il
mio voto: ★★★ ½
Il
mio consiglio musicale: David Bowie – Rebel Rebel