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sabato 20 ottobre 2018

Mr. Ciak - Speciale Halloween: Apostle, Ghostland, Upgrade, La settima musa, Dark Hall

L'isola ai confini della realtà di The Wicker Man, la comunità ortodossa di The Village, la superstizione a confine con il paranormale di The Witch. Apostle, punto d'approdo dopo un lungo e turbolento viaggio della fede, racconta l'inquietudine di uno Stevens dallo sguardo allucinato – e il passato tragico del personaggio, simile per dubbi e vissuto al Garfield dell'ultimo Scorsese, poco giustifica gli occhi, i vezzi e i sussurri di un interprete che, ancora una volta, trovo l'anello debole di una produzione altrimenti interessantissima –, in missione per salvare la sorella minore: prigioniera di una setta legata a una misteriosa entità femminile e con a capo Michael Sheen, non così al sicuro sul suo scranno di profeta. L'isola sta morendo, un po' per un colpo di stato già nell'aria, un po' perché l'aridità minaccia di consumare i campi e i cuori dei fedeli. Se in un horror esoterico, con una morale ecologista piuttosto vicina a quella di Aronofsky, non mancheranno i sacrifici umani per placare un'anziana dea – agghiaccianti e rare le sue apparizioni, fra rovi d'improvviso fioriti –, sacrificando sull'altare della superstizione compaesani ribelli, fanciulle vittime di amori proibiti e ultimi arrivati. Ecco, allora, le teste trapanate e le mani monche, i laghi di melma che portano verso direzioni sconosciute, le streghe oscure e affascinanti di una mitologia quasi argentiana. Per fortuna, benché sia il nostro primo incontro ufficiale, a dirigere c'è il regista cult Gareth Evans: il gore del survival si tempra così con l'angoscia claustrofobica dei thriller psicologici, il lerciume dei contenuti si raffina grazie all'indiscutibile bellezza della regia, i risvolti fantastici parlano in realtà tra le righe dei mali della colonizzazione e di un proselitismo militante che miete vittime innocenti. In nome di un Dio, in definitiva, schiavo degli uomini. E di una fede cieca che, insieme, unisce e divide. Il risultato: una delle produzioni di genere più dense di quest'anno e, accanto ad Annientamento, a oggi, probabilmente il miglior film Netflix. La parabola oscura, eppure non senza speranza finale, non senza purificazione, di un autore con un disegno registico che non avrà del divino, no, eppure tanto basta. Per mietere, da qui in avanti, nuovi proseliti. (7,5)

Si apre con una dedica al genio di Lovecraft l'ultimo film del francese Laugier. Il regista dell'acclamato Martyrs, da me invece apprezzato giusta in teoria, torna con stile grazie a un horror che attinge impunemente dal genere – all'appello, maniaci, burattini, spettri e streghe, cannibalismo – e non si può dire che questa volta vada tanto per il sottile. Sconcertante per chiasso, efferatezza e sovrabbondanza, Ghostland è un campionario di luoghi comuni rozzo e disordinato, urlante e sempre in fuga. La storia: quella di due sorelle prigioniere di una coppia di psicopatici. Non sarà facile dimenticare, soprattutto quando una delle due – la Crysal Reed di Teen Wolf, diventata scrittrice dopo l'accaduto – torna a casa per sostenere la problematica Taylor Hickson, gravemente sfregiata proprio durante le riprese. Le protagoniste, ragazzine amanti delle storie dell'orrore, diventano loro malgrado parte di una di esse. In un'ora e trenta si sgolano, vengono picchiate e inseguite, si divincolano: infine, ricominciano da capo. Altre giovani donne prigioniere, dunque; altre martiri di un autore che si diverte a tormentarle, a tormentarci, con un film fragile ma efficace. Kitsch, zeppo di eccessi e cianfrusaglie come lo è, d'altronde, la casa del titolo italiano, questo baraccone di sevizie, cliché e salti in poltrona paura non ne fa, ma affascina. Grazie ai toni fiabeschi e al colpo di scena a metà, per quanto intuibile, che celebra il potere immaginifico della scrittura – e, insieme, del cinema – contro l'impedimento di qualsiasi gabbia. (7)

Un meccanico e sua moglie vengono aggrediti in un quartiere malfamato: la donna muore e lui, ridotto a un vegetale, vive per vendicarsi. Messa così, nulla di nuovo sotto il sole. Ma Upgrade, che a sorpresa in rete colleziona medie esagerate e spettatori già fan, ha dalla sua le ambientazioni: non siamo negli anni Settanta del Giustiziere della notte, ma in un futuro distopico alla Black Mirror in cui la tecnologia ci ha superati e i miracoli della medicina hanno un nuovo volto. Quello di giovani scienziati che al vedovo propongono una soluzione prodigiosa: un microchip per dargli finalmente mobilità. Guidato da un'intelligenza artificiale, il protagonista e il suo sistema operativo si danno a una canonica caccia al colpevole. Le luci al neon sono le stesse di Refn, i commenti ironici quelli degli ibridi più tamarri, le mosse – scontate, in un finale pieno di tentati colpi di scena – quelle di un giallo già visto. Non è nemmeno l'originalità degli sfondi, dunque, a giustificare la popolarità del fanta-thriller a tinte splatter con Logan Marshall Green: non troppo a suo agio, a onor del vero, con un personaggio sarcastico e manesco in stile Bruce Willis. Perché allora tanti plausi per l'ennesima riscrittura del mito di Frankenstein, che qui attinge da RoboCop a Ex Machina divertendo nel mentre, sì, ma senza innovazione? Vendicarsi, nel futuro, sarà infatti più semplice ma non meno letale. Per un upgrade del revenge movie – qualcuno ha fatto il nome della Fargeat? –, meglio tuttavia cercare altrove. (6,5)

Era stata la visione di Veronica e Marrowbone a ispirarmi in tempi recenti una piccola ode all'horror d'importazione iberica. In un panorama a corto di idee che ormai poco ha da offrire, quando il mistero e la paura parlano spagnolo le sorprese sono spesso garantite. Avrebbe forse fatto eccezione il veterano Balaguerò? La critica, insoddisfatta, scriveva amaramente di sì: La settima musa non piaceva ai più. Come accade in questi casi, l'ho visto allora per amore di completezza: le aspettative ridimensionate per forza di cose. È bastata la lettura di Alighieri in apertura per lasciarmi affascinare da una storia che di letteratura parla, e che dunque non poteva non piacere a uno studente di Lettere che crede nel potere delle parole, nella bellezza di una Irlanda battuta da pioggia e vento, nella purezza di un filone che sa stupire senza inganni sulla scia di dame velate, case buie e manicomi abbandonati. Cosa conduce un professore in lutto e una mamma stripper sulla scena di un omicidio rituale? Quale entità animava la penna di Shakespeare? Cosa speravano di ottenere prima di andare incontro a morte certa i membri del Cerchio Bianco, lettori con il pallino dell'esoterismo? Le incarnazioni delle mitiche muse si muovono in mezzo a noi. Ingannano, ammaliano, uccidono. Due personaggi dall'ambiguo ruolo chiave si fanno strada così in un horror punta-e-clicca, che prende in prestito qualche immagine dalla triologia di Argento e, grazie alle atmosfere natualmente lugubri e a colpi di scena indovinati in un epilogo agrodolce, fa dimenticare i difetti di uno spunto destinato presto a essere semplificato, assieme alla recitazione incerta del cast seminoto – in ruoli di supporto, citiamo la Potente e Lloyd. I segreti stanno, al solito, nei buoni sentimenti, nella presenza di bambini da preservare, nello stupore un po' infantile al cospetto di horror a cui mancherà senz'altro qualcosa ma non, complice stavolta lo zampino delle figlie di Zeus e Mnemosyne, l'ispirazione. (6,5)

Ho varcato le porte della Blackwood leggendo il romanzo di un'autrice da noi poco celebrata. Lois Duncan, eppure, ha una produzione di tutto rispetto e pioniera del genere, maestra del guilty plesure, al cinema ha regalato già un cult negli anni Novanta: chi non ricorda, infatti, l'uomo uncinato e il cast di So cosa hai fatto? Senza sorprese, Dark Hall – atteso senza aspettative, nonostante la regia di un Cortés che dai tempi di Buried insegue invano un altro film vincente – non rischia di bissare il successo del teen horror scorso ma, purtroppo o per fortuna, nemmeno di avvicinarsi ai batticuori in salsa gotica di Stephanie Meyer. Rispetto al romanzo, piccolo Young Adult degli anni Settanta debitamente aggiornato, abbiamo una protagonista più problematica; cinque e non quattro studentesse prodigio; una scuola meno prestigiosa, alternativa giusto al carcere minorile, gestita con il polso di ferro e l'accento francese da una carismatica Thurman. Il soggiorno, all'insegna di una educazione fatale per qualcuna delle protagoniste, regalerà paura e ispirazione. Mentre il romanzo non calcava la mano sulla natura diabolica della Blackwood, il film arricchisce, modifica e migliora quando serve: si andrà perciò di frequente incontro a destini cruenti; non mancheranno gli sprazzi horror, relegati però ai soli incubi; si amplia quell'epilogo tutt'oggi poco all'altezza, ma senz'altro meno frettoloso, tra flashback aggiunti e fiamme realizzate in una discutibile computer grafica. Buona la regia, nonostante la modestia del progetto; bella la ex bambina prodigio di Un ponte per Terabithia, nelle vesti di una protagonista invischiata in un'indagine meno macchinosa che su carta. Ma al cinema, pur aumentano i piccoli brividi e la conta delle vittime, tocca fare i conti con un pubblico ormai smaliziato. Perfino davanti a una ghost story non così classica, non così adolescenziale, ma dalle implicazioni ampiamente sorpassate. (5,5)

lunedì 13 agosto 2018

Recensione: Dark Hall, di Lois Duncan

| Dark Hall, di Lois Duncan. Mondadori, € 17, pp. 204 |

Si erge come un castello centenario alla fine del sentiero alberato. Per un gioco prospettico sembra ingrandirsi man mano che la macchina si avvicini. Sembra prepararsi a divorarla. I portoni istoriati come fauci. La consapevolezza che ci sia qualcosa di storto a Blackwood, esclusiva scuola femminile ai confini dello stato di New York, colpisce Kit – sedici anni, una madre pronta a scaricarla lì per un secondo viaggio di nozze in Europa – con la forza di un infausto presagio. Saranno le giornate corte, lo scudo degli alberi tutt'intorno, il rigore del corpo docenti a suggerirle forse un aggettivo: malvagio. Siamo in un teen horror su un gruppo di adolescenti e una magione in cui certe notti si fanno labili i confini fra il nostro mondo e l'aldilà. La direttrice dello stabile, l'altera Madame Duret, ha un vago accento francese e l'aria di chi cova tra sé e sé qualcosa di sinistro. Il dormitorio si affaccia su un dedalo lungo e buio per corridoio, le chiavi possono chiudere le camere da letto dall'esterno ma non dall'interno: impossibile, pertanto, dormire sonni tranquilli. Sappiamo insomma che la protagonista – privata della possibilità di tornare a casa prima della vacanze di Natale, senza cellulare, senza internet e senza una migliore amica – non si sbaglia. Qualcosa di strano serpeggia fra le pagine di una compianta pioniera del genere e i cunicoli di un istituto che no, non è la versione vintage di Hogwarts. Nel personale di servizio sembra resistere soltanto una ragazza poco più grande di Kit, addetta alle cucine, che a volte ha il pericoloso vizio di parlare troppo: come spiegare il fuggifuggi dei domestici? I cancelli puntuti separano le studentesse dal resto del paese: protezione o isolamento? Ci sono, soprattutto, tre professori per sole quattro allieve: tanto spietata, ci si domanda, la selezione? Fatta eccezione per Ruth, bruttina con un fiuto eccezionale per le scienze, in classe le altre ragazze non brillano di certo. Madame Duret è stata attratta da qualcos'altro: abilità in erba, soprannaturali, che Kit e le comprimarie devono ancora mettere a fuoco. Le stesse che, amaramente, potrebbero rappresentare la loro distruzione.

C'è qualcosa di strano a Blackwood, qualcosa di sinistro. Lo percepiamo tutte, ma è impossibile da descrivere a parole. Succedono delle cose.

Gli ambienti sono circoscritti, i personaggi elencabili sulle dita delle mani, il fascino è quello sempiterno di atmosfere gotiche che da queste parti fan sempre breccia. L'orrore è nello sfacelo del passato tenutario, chiacchierato misantropo braccato dalla tragedia? La morte, con tanto di falce e cappuccio come nella splendida copertina illustrata, è un'inquietante coinquilina da temere? L'autrice, Lois Duncan, è la stessa dello slasher cult So cosa hai fatto. Ma dimenticate spargimenti di emoglobina o coltellate a destra e a manca. Dark Hall, pubblicato negli anni Settanta e tradotto per la prima volta in Italia in occasione della trasposizione cinematografica tiepidamente accolta, vive – e muore – proprio delle sue ambientazioni. Nessuna vittima, nessuna goccia di sangue versato, tantissime stranezze. Tra incubi, inappetenza e gelori ad agosto, le allieve si scopriranno infatti improvvisamente portate per la musica, la poesia, il disegno e la matematica. Le giovani menti, ricettive agli stimoli e al male, sono delle spugne. Quali sono gli effetti di una cattiva educazione che vorrebbe cambiarci nel profondo, non di certo migliorarci? Kit così si fa coraggio. Ricerca la propria indipendenza, il diritto di avere voce in capitolo, in un piano di studio personalizzato nel dettaglio. Magari, una via d'uscita dal peggio in agguato. Quarant'anni dopo, a sorpresa, l'atipica ghost story della Duncan – l'originalità dello spunto di base, infatti, si rivelerà in tutto il suo potenziale a un passo dalla conclusione – si difende piuttosto bene. Evitando le furberie di una storia d'amore proibita (Kit fantastica proprio sul figlio della direttrice, prodigio del conservatorio). Creando una suspance che terrà senz'altro sull'attenti lettori più giovani e suggestionabili di me (spiace a tal proposito per la piega finale, frettolosa e non all'altezza). Proponendo una prosa godibile e immediata, che non dissimula tuttavia il vecchio amore per le descrizioni particolareggiate e gli spauracchi di classe. Dove il mistero è di casa, ma non la memorabilità. Per un pomeriggio estivo da consacrare ai piccoli brividi.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Paramore – Decode

sabato 4 agosto 2018

I film che leggeremo #1: Young Adult

Tutte le volte che ho scritto ti amo
17 agosto 2018
Un'adolescente coreana per metà, cinque lettere d'addio mai inviate a cinque ragazzi che le hanno spezzato in modi diversi il cuore, l'imprevisto dietro l'angolo. Cosa succederebbe se i tuoi pensieri segreti fossero mandati per errore ai loro reciproci destinatari? Ne avresti abbastanza per farne una popolarissima trilogia Young Adult – avevo recensito il primo capito qui – e, se tutto va per il meglio, un film disponibile ad agosto in streaming su Netflix. Dirige la regista della commedie indie Carrie Pilby, scrive una delle sceneggiatrici della geniale sit-com Man Seeking Woman e, nei panni della protagonista, la bellezza vietnamita Landa Condor – vent'anni e buone chance, dopo la rivelazione Joey King, di farmi rivivere una tardiva cotta adolescenziale.


Dark Hall
1° agosto 2018
Menzionano i produttori di Twilight, riesumano le atmosfere dark degli Urban Fantasy in voga un paio di anni fa e subito, a farti tremare più delle presunte tinte orrorifiche, è la sensazione di già visto; il presagio che questo Dark Hall sarà un fiasco o che, peggio, passerà in sordina al pari degli sfortunati Fallen o La sedicesima luna. Eppure, eppure... Perché scomodare il nome di Rodrigo Cortés, regista dell'ottimo Buried? Perché chiamare all'appello le giovani star AnnaSophia Robb e Isabelle Furhman, con la sempre verde Uma Thurman come direttrice dal polso di ferro? L'autrice del romanzo che prossimamente sarà recensito su questi schermi è niente meno che Lois Duncan: sua la firma dietro il cult anni Novanta So cosa hai fatto. Vent'anni dopo, si replicherà?


Darkest Minds
14 agosto 2018
Provaci ancora 20th Century Fox. Con le saghe Sperling Kupfer da adattare. Con un genere, il distopico, che finora non ha mai saputo bissare il successo di Hunger Games. Con una storia all'apparenza non troppo innovativa, in stile Giffoni, che attira in minima parte con lo zampino dei produttori di Stranger Things Arrival e, nel cast, l'ormai immancabile Amandla Stenberg (un caso, poi, che l'attrice afroamericana fosse la piccola Prim nel film di Gary Ross?). Per fan di superpoteri, amicizie e tentate rivolte. Questa volta, per chi ha ancora l'età.


Crazy & Rich
16 agosto 2018
Negli anni Novanta erano Giovani, carini e disoccupati in una commedia di Ben Stiller. Adesso prima le librerie, poi il cinema, li desiderano Pazzi, ricchi e asiatici nello spirito glamour dell'estate. Tratto dal romanzo di Kevin Kwan, edito in Italia da Mondadori, Crazy & Rich perde l'aggettivo di provenienza, per volontà imperscrutabile dei titolisti italiani, e questo mese trova spazio in sala. Un'altra ragazza dagli occhi a mandorla, dunque, ma questa volta nessun grattacapo romantico: la protagonista, cresciuta negli Stati Uniti, si sposa con uno scapolo d'oro e vola a Est per conoscere la famiglia di lui. Non sapendo si tratti di uno dei maggiori costruttori di una Singapore da favola, né di essere troppo occidentale per una suocera alla Jane Fonda che no, non transige. 



Sei ancora qui – I Still See You
27 settembre 2018
A proposito di nuovi tentativi, a riprovarci è anche l'accoppiata del già mediocre Midnight Sun: il regista Scott Speer e Bella Thorne, teen idol che a onor del vero di tanto in tanto, di ruolo in ruolo, ha il coraggio di reinventarsi un po'. Faranno meglio con Sei ancora qui, intrigante thriller a tinte paranormali in libreria a settembre grazie ai tipi Sperling Kupfer? Una giovane donna perseguitata dagli spettri di un vecchio amore: fin qui, direste, niente di nuovo sotto il sole. E se la Thorne, irriconoscibile con il look dark, si allontanasse da un mondo di languidi sospiri? E se fossimo all'indomani di un misterioso evento catastrofico, in un'apocalittica ucronia che di sci-fi ha in realtà molto poco? Anche se di poco fuori stagione – il genere, infatti, si presterebbe meglio alla leggerezza estiva – si vedrà (e leggerà, e scriverà).


The Hate U Give
19 ottobre 2018 (USA)
Le differenze razziali, il braccio violento della legge, i lati oscuri – ma non troppo lontani dalla speranza del lieto fine – di una America contraddittoria, che non vive solo di sogni e frasi fatte. Il romanzo, edito da Giunti, ha vinto il vincibile: un best-seller, tuttavia, mai diventato mia priorità in whishlist. Ho fatto male, dite? Il produttore esecutivo di quel Mudbound a un passo dagli Oscar e la presenza della prezzemolina Amandla Stenberg lasciano respirare aria di impegno, e di sicuro successo.



The Miseducation of Cameron Post
3 agosto 2018 (USA)
Una Chloe Grace Moretz in stato di grazia viene spedita dalla zia in una clinica di recupero. La sua dipendenza, il suo crimine più inammissibile: ragazze di cui è contro natura innamorarsi. Il tema è lo stesso di Boy Erased, futuro asso pigliatutto ai prossimi Oscar con Nicole Kidman, Russel Crowe e un Lucas Hedges da convertire a forza nel cast. The Miseducation of Cameron Post, tratto da un romanzo semiautobiografico di Emily M. Danforth di cui attendo con ansia l'eventuale edizione italiana, è forse da meno? Le giuste carte in regola, i toni indie e la vittoria a sorpresa allo scorso Sundance – festival venerato da queste parti, inutile ribadirlo – suggeriscono il contrario, e ci regalano a mani basse la trasposizione più interessante di questa rassegna.