Guadagnino torna a
filmare l'infilmabile. Non mancano certamente i corpi, in
quest'odissea tra le bettole di Città del Messico. Corpi in vetrina, che entrano ed escono nella routine di Lee: ebreo di mezza età che, dietro il fare predatorio, nasconde una
sessualità mai metabolizzata. Sappiamo poco del suo passato —
plasmato sulla vita di William Burroughs —, che lo perseguita in
incubi e visioni. Non si accontenta più del sesso,
non con Eugene: il suo ultimo amante è
un'ossessione. Può un allucinogeno svelarci
i pensieri più inaccessibili del partner? Dietro la patina untuosa e
impolverata, al di là dei simbolismi e delle stranezze, Queer
è un film di un romanticismo decadente e disperatissimo che racconta
— anzi: mostra — la frustrante, compulsiva, struggente tensione
verso l'altro. Craig vorrebbe soltanto fondersi con Starkey, formando
uno splendido mostro a due teste. Ma non gli resta, invece, che
tendere una mano verso la sua schiena nuda e immaginare di
carezzargli le costole, di intrecciare le gambe alle sue. Per
fortuna, Guadagnino si conferma un maestro indiscusso in materia di
desiderio, e perfino quello di questo povero diavolo, inappagato,
prende corpo in un cinema dove l'impossibile diventa visibile. Nella
solitudine siderale dei dipinti di Hopper, così, puoi affondarci le
mani come nel marmo del Bernini. (8)
Sul
delta del Mississipi, negli anni Trenta, si mescolano razzismo,
superstizione e musica. Influenzato dal cinema di Peele, Ryan
Coogler fa dell'horror lo strumento per uno spaccato sociale vivo e
palpitante. E ci regala il piano sequenza più memorabile
dell'anno, dove passato, presente e futuro si mescolano sulle note di
un blues. Ambientato nell'arco di una notte come Dal tramonto
all'alba, mostra un gruppo di afroamericani sotto
assedio — tra di loro un doppio Michael B. Jordan e un giovane diviso tra fede e chitarra. Fuori: i vampiri capeggiati da
Jack O'Connell. Spietati, ma meno del Ku Klux Klan,
promettono che la morte sarà il termine di ogni persecuzione. Una
festa senza fine. Dolente e scatenato, Coogler commette qualche passo
falso. Ma perfino quando inciampa, il suo bel mappazzone — futuro protagonista ai prossimi Oscar — si
rialza e balla. La musica è un ponte con l'aldilà e l'invidia dei
non-morti, che vorrebbero attardarsi per assistere allo spettacolo
dell'alba. Il cinema ha lo stesso potere. E allora ben vengano
diavoli e vampiri: che si accomodino in platea, assetati di vite e
storie — Sinners ne offre a fiotti. (7,5)
Mainetti
fa centro. Di nuovo a Roma, sempre in equilibrio tra comicità e
violenza, confeziona uno spettacolo che ha il respiro
del cinema internazionale e il sapore della favola. Lungo e
ambizioso, mette troppa carne al fuoco. Più che presunzione, però,
dietro sembra esserci la stessa generosità che animava Lo chiamavano Jeeg Robot. Quali traffici si nascondono dietro il ristorante cinese del
titolo? Cos'hanno in comune un cuoco e un'immigrata che domanda
vendetta? A metà tra Kill Bill e Borotalco, tra la
Cina del figlio unico e l'Italia multietnica dove i
ristoranti stranieri scalzano le trattorie, Mainetti racconta una
tenera storia d'amore e l'eterno scontro genitori-figli. Qui, però,
ogni conflitto è una coreografia esaltante in cui Yaxi Liu picchia
come Jackie Chan. Accanto a lei il dolce Borello, schiavo
dell'attività di famiglia, e la coppia Ferilli-Giallini, alle prese
con un microcosmo da salvaguardare con mezzi leciti e non.
Strabordante e delizioso, La città proibita è un mix che fa
tesoro delle differenze culturali e faville con gli ingredienti del
suo cast. Chi immaginava che gli spaghetti all'amatriciana potessero
mangiarsi anche con le bacchette? Noi, fan della prima ora, sì.
(7,5)
Come
molte parole della nostra lingua, anche “cinema” ha un'etimologia
greca: significa “movimento”. E il secondo film di Lellouche — incompreso a Cannes, ma protagonista di uno
straordinario successo in Francia — non arresta mai la
sua corsa. Convulso, sanguinoso, romanticissimo, segue il rincorrersi
di due protagonisti belli e maledetti. Si
conoscono al liceo, ma il loro amore viene interrotto da dieci anni di carcere. Al pari di The
Brutalist,
L'amore che non
muore
non soltanto ci ricorda in ogni fotogramma l'energia dell'arte, ma è
soprattutto l'ennesimo grande romanzo popolare. Di una generosità
strabordante, parte come commedia romantica, sfocia nell'heist movie
e sconfina nel musical: merito di una trascinante colonna sonora anni
Ottanta e di movimenti di macchina così coreografici da trasformare
l'euforia di Exarchopoulos e Civil — questa volta, meno memorabili
delle loro controparti giovanili — in danza. A sorpresa, Lellouche
trova armonia tra gli opposti e, come il suo protagonista
taciturno, si impegna a combinare le parole più belle del dizionario
per dichiarare il suo amore a un cinema di
nostalgie e pallottole. (8)
Cinque
figli, un cane, una domestica, una casa vista mare. I Paiva sono
fortunati, e lo sanno. Colti, affiatati, un po' chiassosi, vivono in
una Rio de Janeiro dall'aria cosmopolita in cui i cinema danno i
capolavori del nostro Antonioni e i giradischi cantano i Beatles.
L'idillio, duraturo nonostante la dittatura, finisce quando il
capofamiglia viene arrestato: l'ex deputato diventa l'ennesimo
desaparecido. Per ottenere il certificato di morte ci vorranno
quarant'anni. Nominato a tre Oscar, Io sono ancora qui avrebbe
dovuto vincerne il più possibile. Perché quello di Walter Salles è
un atto d'accusa dal valore universale. Ma è soprattutto il dramma
classico, accorato, magnifico, di una famiglia in cerca di un nuovo
ménage domestico mentre l'età dell'innocenza giunge al capolinea.
Peggio dei blitz armati, peggio degli interrogatori, c'è soltanto
l'attesa di notizie — perfino brutte. Magico il ruolo della
matriarca. Fernanda Torres ha la forza di tutte le madri del mondo e,
a differenza dello spettatore, non versa mai una lacrima. Aggiusta le
bambole delle figlie, cucina perfino per gli aguzzini di suo marito,
bandisce la tristezza dalle foto. Mamma-coraggio, fino all'ultimo
conserverà la ricetta del perfetto soufflé, i denti da latte
dell'ultimogenita e i segreti fondanti dell'esistenza, della
resistenza e della gioia. Le famiglie felici si somigliano: chi lo
dice? (9)
Ho visto solo 'L'amore che non muore', una delle cose più belle viste quest'anno.
RispondiEliminaBravissimi i giovanissimi interpreti e la splendida messa in scena.