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Le janare, di Gaetano Lamberti. Il Seme Bianco, € 14,90, pp.
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Dai nonni non ci voglio andare. Quante volte, durante l'adolescenza, lo abbiamo affermato mio fratello e io, scoraggiati
all'idea di affrontare due ore di macchina, le bizze del wi-fi e le
domande inquisitorie – a chi appartieni, di chi sei figlio – di
un paese nell'entroterra casertano dove, nonostante le visite di
cortesia appena una volta al mese, cominciavamo a sentirci a disagio. I
genitori di mia madre hanno una casa a piani ai piedi di una salita
un po' angusta, l'accento strettissimo e una sola camera da letto per
gli ospiti: nel letto matrimoniale, finché è durata, ci siamo
stretti assieme a mio padre, mentre mamma dormiva nella cameretta di
quand'era ragazza. Da bambini, eppure, ci passavamo intere estati.
Giocavamo a nascondino lungo i vicoli, non pativamo ancora la
schiavitù dei cellulari che non prendono bene, leggevamo all'aperto:
aprendo Google Maps, l'altro giorno, ho saputo indicare precisamente
i gradini su cui avevo divorato Harry Potter e il calice di fuoco,
incurante di che ora si fosse
fatta, dei vecchi a passeggio che mi interrompevano ogni tre per due.
Ma leggi sempre, non lo sai che non è normale? Sei il nipote di
Vincenzo e Luisa, e quello biondo laggiù è il tuo fratellino? Come
stanno i vostri genitori? I compaesani ficcavano il naso,
spettegolavano, puntavano il dito: contro i miei occhiali spessi e le
gambe troppo pesanti, i tratti normanni di Diego, due genitori che in
realtà si sarebbero separati soltanto vent'anni dopo. Nonna,
burbera, si sollevava a fatica alla finestra e li scacciava tutti:
salite sopra, ordinava, perché non le piaceva che chi aveva
un'opinione per tutto sparasse sentenze pure verso quei nipoti
forestieri – vivevamo ancora in Sicilia –, intaccandone la
serenità. In quella casa senza ventilatori né possibilità di
refrigerio, le pettegole si tramutavano in mostri: brutte dentro e
brutte fuori, specificava nonna, erano janare malfidate.
Ma
sei cretino? Chi è che non ha mai sentito raccontare almeno una
volta dalle proprie nonne storie terrificanti sulle janare? Le
fattucchiere, le figlie del diavolo. Sono vecchie donne, cattive e
solitarie. Escono al calar del sole, nude, e si intrufolano nelle
case per far del male. Per non farle entrare bisogna mettere, davanti
alle porte, una scopa o un sacco pieno di sale. Le janare
per entrare devono contare i fili della scopa o i granelli di sale. Se
perdono il conto devono ricominciare da capo. Al sorgere del sole
sono costrette a fuggire. La luce gli è mortale nemica.
Partivano
così racconti fra rotocalco e mito, nei quali la sgarbatezza e il
pregiudizio si incarnavano nella figura diabolica di queste streghe
partenopee: nude come vermi, i capelli grigi lunghi fino al sedere,
facevano dispetti e gettavano fatture sui malcapitati. La notte si
intrufolavano dentro per toglierti il respiro: accovacciate sul
petto, con i seni penzoloni e le peggiori intenzioni. Il romanzo
d'esordio del giovane Gaetano Lamberti – amico di Instagram dei cui
gusti ci si fidava a prescindere – è stato un viaggio a senso
unico a quelle estati, a quell'età in cui ogni cosa era possibile.
Castel di Sopra, borgo fittizio in provincia di Salerno, somiglia
moltissimo al paese dei miei nonni (che si chiama, guarda caso,
Castel Campagnano): abitanti sparuti, sistemazioni scomode e
passeggere, saluti di buona creanza a perfetti sconosciuti,
pensionate che sbucciano fave e piselli sedute davanti al tabacchi.
Per rispetto, ci si rivolge agli adulti con il voi. E i panni sporchi
si lavano rigorosamente in famiglia.
La
nonna mi prese il mento e mi alzò la testa, costringendomi a
guardarla senza potermi distrarre.
«E
tu aprila Martino. Apri la porta alla felicità.»
«Certo
che la aprirò, perché non dovrei?».
«Perché
è la più difficile da aprire?».
Cosa
succede quando tutti sembrano conoscere a menadito le tue sfortune e,
per di più, compiacersene? Le tendine si scostano per spiare gesti
grandi e piccoli, le corna e gli scongiuri abbondano, in un attimo si
è bollati al pari di lebbrosi. Fa più danni la magia nera, infatti,
o il bigottismo? A raccontarci dei drammi della sua stirpe è il
timido Martino: cresciuto all'oscuro, insieme alla sfacciata sorella
Marisa, dei difetti nocivi della superstizione, all'improvviso fa i
conti con una casa a soqquadro. Su loro gravano gli effetti del
malocchio. Per questo la nonna ha l'affanno, papà è sempre assente,
l'irascibile zia Vincenza starnazza al complotto, Vilma è affetta da
una deformità non troppo congenita? Si rinvengono cavalli
stremati fino alla morte in cortile, la criniera intrecciata da mani
di strega. Si portano prosciutti e un caprone al guinzaglio per farsi
leggere il futuro da chi di dovere. Sull'uscio, ecco piazzate
strategicamente le scope di saggina: un divieto a prova d'invasore.
In attesa di avere denaro a sufficienza per avere una casa tutta loro
e di fuggire via da lì, dove si dorme accatastati tutti in una
stanza, le liti sono insopportabili e, ultima ma non ultima, si è
aggiunta infine anche la malasorte, i genitori Sandro e Lulù tentano
invano di proteggere l'innocenza del protagonista.
«Non
agitarti, resta fermo e se puoi trattieni il respiro».
Strinsi
più forte il suo maglione, per fargli capire che stavo ascoltando e
recependo tutto.
«Manca
poco alle tre».
Non
bastano i sacchetti di sale o le spille da balia. Non basta una mano
di vernice sulle scritte infamanti. L'alta tensione entra in punta di
piedi anche con le scope alle porte, e tira fuori il peggio: gli odi
sopiti, i segreti insospettabili, gli amori mai risanati. A metà fra
il realismo magico e il giallo, con una struttura teatrale alla
Eduardo De Filippo e le inquietudini del Pupi Avati horror,
Le Janare si è rivelata una
lettura perfino al di sopra delle aspettative. Una faida senza
esclusioni di colpi di scena – sul desiderio, sui desideri –, con
un finale amarissimo e uno stile senza né guizzi né sbavature, che
fa da perfetta cassa di risonanza ai risvolti feroci e ai passaggi
più provanti. Gli uomini se ne stanno in silenzio, i bambini si
mettono spesso nei guai, le donne intanto fanno e disfano a
piacimento. Su una fiaba gotica nata sotto una buona stella,
stranamente volteggia una civetta: anche se fuori è pieno giorno,
anche se il pendolo in corridoio dovrebbe battere le tre per
inaugurare l'ora delle streghe nel cuore della notte. A Castel di Sopra si è condannati ai
letti disfatti, a un eterno dormiveglia. Ad avere paura a scoppio
ritardato del buio e delle vacanze lì, in zone cieche che altro non
sono che la copia carbone del nostro DNA. Per sentirsi piccoli e
suggestionabili in 145 pagine appena. Per questo, forse, anche sotto incantesimo.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Pierdavide Carone, Dear Jack –
Caramelle
Conosco benissimo la realtà dell' "a chi appartieni? A chi sei figlio?", mi ci ritrovo perché l'ho vissuta anche io e continuo a viverla. Nonostante il mio paesino non sia più così piccolo le vecchie abitudini tra le persone di una certa età non muoiono mai. Che dirti, con una recensione del genere non puoi che convincermi. Segno :)
RispondiEliminaTi ringrazio per le tue parole, Anna! Apprezzerai.
EliminaIo non ho conosciuto i miei nonni, sono figlia unica e con i miei non andavamo in posti dove le persone ci avrebbero potuto "rompere le scatole", mio padre non tollerava, non avendo nessuno da cui tornare. Ma quando sono diventata grande mi è capitato e continua a capitarmi di sentirmi dire "ahhhh tu sei la fumna (moglie) di... ahhhh ma sei la nuora di...sei la mamma di Isotta. Non so bene come mai ma nel paese di 1800 anime in cui abito, nonostante io sia una persona abbastanza conosciuta ( e chi non si conosce), io sono quella legata a qualcun altro, difficilmente sono Barbara e basta. E comunque mi hai convinto.
RispondiEliminaDici una cosa molto giusta, Baba. Sto scrivendo una cosa nuova, in questi giorni, e mi sono soffermato proprio su riflessioni simili. Quand'è che ci definirà chi siamo, non da chi o da dove proveniamo?
EliminaNon conoscevo il libro, ma conosco l’infanzia nel paesino e l’eterna domanda “Cittina, ma te di chi sei?” (sempre sostenuto che le presentazioni infinite di Tolkien sono la versione aulica dei vecchietti di paese), così come ricordo la magia dell’infanzia a correre nei campi, e quanto ci stessero stretti invece durante l’adolescenza. Non posso non segnarmi il libro.
RispondiEliminaConoscendoti, è il romanzo che fa per te. Felice di avertelo fatto scoprire.
EliminaE' un romanzo che ha un enorme battuage pubblicitario su Instagram ultimamente, ma ti confesso che non mi aspettavo molto.
RispondiEliminaLa tue recensione mi ha colpito molto, anche per la sua componente nostalgica e realista che appartiene a molti di noi che hanno passato un infanzia simile.
L'argomento mi interessa visto che ho letto moltissimi articoli su le Janare, Masche e via dicendo, ma ho sempre avuto un bruttissimo rapporto con la narrativa contemporanea, specie quella italiana.
Gaetano su Instagram va fortissimo, peccato che, parlando con onestà, la casa editrice sembra puntarci un po' meno. Sul sito dell'editore non ho nemmeno trovato una scheda del romanzo.
EliminaDa amante delle infanzie crudeli alla Ammaniti quale sei, da uomo del Sud, te lo consiglio. Un esordio che lascia intuire grandi margini di miglioramento, ma che nel mentre strega.
Quanti di noi vengono da piccole realtà conoscono bene certi modi di dire, fare, rapportarsi, certi "riti" e superstizioni e, anche se non ci crediamo, ne riconosciamo il potere che hanno di suggestionarci.
RispondiEliminaNon conoscevo questo libro, grazie per la dritta :)
Come dicevo a Pirkaf, fuori da Instagram se ne parla pochino.
EliminaBlogger, insomma, è una cassa di risonanza da non dare per persa. :)