Per
Lisa era un Dolan all'italiana, ma a malincuore lo avevo perso in
sala. Le mie aspettative, alle stelle sapendolo nominatissimo, sono
state disattese solo in parte. Vero: sui cieli di Roma si aggirano
stormi coreografici, sui corpi nudi vengono proiettati ipnotici
giochi di luce e i balli in corsia conciliano la commozione. A lungo,
però, la seconda prova della consapevole Valeria Golino ha i pregi e
i difetti delle nostre produzioni: Euforia sarà
quindi un dramma fatto di personaggi sfaccettati, dei soliti attori
bravissimi, con uno spunto talmente classico che poco di nuovo ha da
sviscerare in due ore. I contro appartengono a un cinema d'autore che
a volte gira a vuoto, strizzando furbescamente l'occhio all'indigesto
Sorrentino, ma sa scoprirsi altresì capace di smorzare la malinconia
e di sublimare, così, le peggiori difficoltà. La regista napoletana ama
lasciare l'amaro in bocca, le scene sospese e, checché se ne dica,
Riccardo Scamarcio: allo storico ex, infatti, la Golino regala un
personaggio centrale nonché uno dei suoi ruoli migliori. Omosessuale
gaudente e spendaccione, ospita in casa il
fratello maggiore: un Mastandrea in fin di vita da proteggere dalla
verità. Generoso ma prevaricatore, Scamarcio sbandiera le carte di
credito e nasconde lo sporco sotto il tappeto. Allo stesso modo, con
una studiata forma di egoismo, maschera la preoccupazione verso quel
fratello burbero e dolente. Gli indora la pillola con i capricci e
gli sperperi, con la fede, con l'amore ritrovato dell'amante Trinca.
È tutto sotto controllo, o così si illude. Quanto è giusto
pretendere una vita al massimo e togliere all'altro il diritto alla
paura, al dolore? Euforia,
filtrato dall'amato-odiato personaggio principale, si fa apprezzare
più con la testa che con il cuore. Come accade a Scamarcio con
Mastradrea, si dimostra onesto soltanto alla fine. Al malato,
intanto, sfuggono l'equilibrio e le parole. Verbosissimo ma
misurato, al contrario, il film sa come non rimanerne a corto. (7)
L'Italia,
terra di miracoli e appalti truffaldini. A fare i conti con gli uni e
con gli altri è una geometra fresca di separazione, con ingaggi
ormai rarissimi e uno spiccato senso della giustizia. Se lei è la
radiosa Rohrwacher, talento impareggiabile a cui si addicono l'ironia
e la fisicità di un ruolo più solare dei soliti, non è una
sorpresa scoprirla in contatto nientemeno che con la Madonna: a
proprio agio con le questioni di fede, dopo Il miracolo e
Lazzaro felice, l'attrice fa i conti con un'entità dai modi
bruschi, disposta a strapparle i capelli e a prenderla a schiaffi pur
di sbatterle in faccia l'evidenza. Commedia in odore di santità,
troppo metaforica per risultare perfetta, Troppa grazia ha
un ottimo incipit e un prosieguo vittima dell'astrattismo post-new
age. Senza tralasciare gli alti e bassi della vita coniugale accanto
a Germano e gli atti coraggiosi per sovvertire la corruzione dello
status quo, il folle Gianni Zanasi mescola riflessioni sparse sulla
salvaguardia del territorio, l'immigrazione e il femminismo. Troppi
elementi, con il rischio che lo spettatore non sappia fino in fondo
su quale concentrarsi in vista di una chiusa significativa e un po'
irrisolta sulle note da lacrime dei Radiohead. Il titolo lo
suggeriva: troppo in ballo, ma poco importa. Una scrittura brillante
fatta di contraddizioni e paradossi e una Rohwacher da David bastano
a credere nei miracoli di un certo cinema italiano; alle preghiere di
una creatura bizzarra e amabile contro questo nostro mondo allo
sbaraglio. (7)
Mastrandrea fa di nuovo i conti con la morte: questa volta, dietro la macchina da presa. Accolto tiepidamente,
nonostante l'autorevolezza di un interprete capace anche di scrivere e dirigere, Ride è
una dramedy nostrana che piace per struttura e piglio. Organizzato in
lunghi quadri, il film studia le reazioni dei
superstiti – si parla di un incidente sul lavoro finito in tragedia
– e i loro meccanismi di difesa all'alba delle esequie. Mentre
l'orfano pianifica un'intervista per conquistare la bella della
classe e il padre del defunto si scontra con il secondogenito ripudiato, la vedova – la scommessa Chiara
Martegiani, compagna del regista – lotta con quelle lacrime
che non vogliono scendere. Perché non si strugge ma continua
ad avere fame e sonno, a cantare a squarciagola la loro canzone
d'amore anziché piangerci su? Non mancheranno i gesti di ribellione
e i riavvicinamenti, i faccia a faccia e le abbuffate consolatorie.
Non mancheranno la poesia del cinema indie: ricorderò a lungo un
bambino che apre l'ombrello in casa per riparare la mamma da una
pioggia torrenziale. Tutti hanno lacrime, storie, ricordi. Ma nella
Marchegiani, gli occhi screziati di mascara e l'accento veneto, il
giorno del funerale genera una strana ansia da prestazione. Grezzo ma
già interessantissimo, Ride ha
la colonna sonora giusta, dialoghi disarmanti e un espediente non da
poco: conoscere la persona scomparsa non in fotografa, non nei
flashback, ma attraverso chi le è stata accanto. Quali sono state
le sue ultime parole? Cosa direbbe se sapesse che la moglie ha
bisogno di imitare la fidanzatina del liceo per capire cosa sia il lutto? Proprio Mastandrea, parlava in Euforia
del diritto a stare male. Qui, invece, di quello a star bene. Non c'è
un unico modo per reagire. Non c'è un unico modo per trattarlo.
Valerio, con la fortuna del principiante, individua quello vincente.
(7+)
I
lettori ricorderanno Vani, l'eroina dei romanzi di Alice Basso: ghost
writer alle prese con i grattacapi del giallo. Di una
simile disavventura si rende
protagonista la goffa Ramazzotti: segretaria, di nascosto firma le
migliori sceneggiature di Gassman, dongiovanni bugiardo che a
piacimento le fa gli occhi dolci. Non era sua intenzione metterlo nei
guai. L'amante giace in coma, adesso, perché la nuova sceneggiatura
della protagonista ha fatto andare su tutte le furie le persone
sbagliate: peccato non l'abbia scritta lei. Si è fidata della
soffiata dell'enigmatico Carpentieri, e la storia della sua vita si è
trasformata all'improvviso in un intrigo spionistico di arte, donne e mafia. Sullo sfondo della settima arte, Una storia senza
nome è una commedia di grande
maniera. Autoironica, densa, fatta di storie dentro storie e
slittamenti frequenti. Ha tanto di buono, anche se non tutto
funziona. La
sceneggiatura, al contrario di quella scritta dalla Ramazzotti, ha
qualche intoppo, passaggi frettolosi, e pur divertendo lascia amareggiati al ricordo della buona prima parte. Non si rivela,
infatti, all'altezza dell'intelligenza dell'incipit, ma lo spettatore
finisce per congedare Roberto Andò senza rimproveri. Intrattenuto da un caso
di cronaca che l'immaginazione trasforma in un mystery. Stretto in un
cast variegato, in cui spesso rubano la scena mamma Morante e
un Gassman furfante anche in un letto d'ospedale. (6,5)
Prendete
una scuola pubblica, il personale oberato e un atto di
vandalismo che ha portato a convocare d'urgenza la famiglia del
bambino. C'è una finestra infranta da sostituire, ci sono due
bidelli che non si accontentano delle scuse. Aggiungete, poi, che il
bambino incriminato è pure straniero e che Kasia Smutniak e Serra Yalmaz sono pronte a difenderlo con le
unghie e con i denti scomodando razzismo e pregiudizio. I ruoli della
recita di Natale, tuttavia, riflettono quelli sociali: come si
difenderanno gli scoppiettanti Guzzanti e Mascino dall'accusa di avere assegnato agli alunni extracomunitari le parti
degli animali? Gli esiti, dati
da un coro di personaggi agli antipodi, sono di quelli conflittuali. A due giorni dalla festa che
dovrebbe renderci tutti più buoni, volano botte da orbi, veleni e
frustrazioni. Dotato di una struttura teatrale ormai meno
pericolosa che in passato, cattivo fino all'ultimo, La prima pietra è
scritto abbastanza bene da reggersi senza irritare ma non tanto da
risultare memorabile. Inferiore ai suoi referenti, da Polanski a
Genovese, resta comunque un gustoso anti-cinepanettone in giorni che
ci vorrebbero tutti più buonisti, tutti più ipocriti. Gli stranieri ci rubano il lavoro? Il crocifisso in aula,
sì o no? A farne le spese, mentre imperversa l'egoismo degli adulti,
saranno i bambini. (6,5)
Prendete
uno chalet, un manipolo di scambisti, fraintendimenti in quantità.
Ci sono due ladri che si spacciano per i
padroni di casa. Ci sono ospiti vogliosissimi, che non si
accontentano però del benservito. Aggiungete poi che in radio si parla
di una probabile fine del mondo. Come ingannare l'attesa se non con l'ammucchiata? Un'altra battaglia dei sessi. Un altro
conflitto generazionale. Un'altra commedia satirica che gioca con gli
ambienti circoscritti, le apostrofi satiriche, pur mancando di
personaggi che non risultino sempre macchiette. Le assurdità
degne del primo Ammaniti spiazzano e divertono: funghetti
allucinogeni, dita mozzate, aragoste in fuga e cani assassini. Quelle
inspiegabili, purtroppo, altrettanto: quale utilità trovare ai
personaggi della coppia Scamarcio-Lodovini, agli addetti del catering
bloccati nella tormenta? I riferimenti sono ambiziosi, da Tarantino
ai Cohen, e qualcuno potrebbe perfino dirsi sorpreso del risultato:
un sofisticato film d'interni, volutamente sopra le righe, in cui
trionfano l'umorismo nero e i preliminari. C'è lo spunto, c'è la
gente giusta e a colpo d'occhio non dispiacciono neppure le atmosfere
asfissianti: peccato che, a proposito di sesso, non si arrivi mai al
sodo. Sebbene il fascino delle interpreti femminili regali qualche
nota piccante – la sexy gallerista Ferrari, la Lisbeth Salander di
una Puccini fuori parte, la cafona di buoni sentimenti della solita Pasotrelli –, il risultato è maldestro. Non
aspettatevi i fuochi d'artificio. (5,5)
Ho visto solo il primo e l ultimo :-D
RispondiEliminaEuforia mi è piaciuto, nonostante pecchi un po' di "lentezza". Però ho apprezzato molto il personaggio di scamarcio, e la forza espressiva che gli ga conferito (mastandrea sempre apprezzabile) e in generale il modo in cui golino affronta queste tematiche, con uno sguardo limpido e non patetico.
L'altro... no comment >_<
Il resto dei film devo recuperarli!!
Recupera, soprattutto Troppa grazia! 😁
EliminaCon tutta questa italianità, potrei rischiare di andare in overdose. :D
RispondiEliminaHo visto solo i primi due, e sono piaciuti decisamente anche a me. Non capolavori, però belli, ben scritti, girati e recitati e che lasciano un buon ricordo.
Mastandrea sono curioso di scoprirlo come regista, visto che come attore non mi delude praticamente mai. Temo però un po' la seriosità e la pesantezza della tematica. Cercherò il momento adatto per vederlo...
Gli altri mi attirano ben poco. Anche se a quello con Micaela Ramazzotti potrei anche dare una possibilità, visto che i suoi film di solito dalle mie parti prendono dei votoni. :)
Vai tranquillo con Ride. È così indie, così lieve, che ti conquisterà.
EliminaIo voglio recuperare "Troppa grazia", mi incuriosisce!😊
RispondiEliminaVisione sui generis che merita!
EliminaAnche se ti è piaciuto, mi spiace non ti abbia fatto lo stesso effetto Euforia (grazie per il link ;) ), io ancora mi trovo a sognare certe scelte della Golino, la bellezza di Scamarcio.
RispondiEliminaForse mi aspettavo di più da Troppa Grazia, strano e bello o solo tanto strano? Mah. Nel dubbio lo avevo consigliato comunque.
Con Ride che come sai mi ha commosso, lascio fuori gli ultimi tre che non sembravano avere lo stesso mordente, lo stesso appeal. E me lo confermi.
C'è da dire che ieri ho visto De Angelis, e Il vizio della speranza, fra scenografie e lacrime copiose, asfalta tutta la concorrenza. Ha poco da invidiare al trionfatore Dogman, vedrai.
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