Sapete,
la gente è strana. Prima l'ha odiata, poi l'ha amata. La sorte di
Mimì Bertè, nome d'arte Mia Martini, somiglia proprio all'incipit
della sua canzone più celebre. A casa mia andavano spesso. Ho presente i ritornelli, le smorfie e i sorrisi, i tic;
quella voce prima grintosa e infine spezzata, in seguito a
un'operazione alle corde vocali e alla fine di una relazione che
l'aveva prosciugata. La sigaretta immancabile e il cagnetto al
guinzaglio, il volto nascosto nel bavero del cappotto. Mia Martini
purtroppo la ricordiamo imbruttita. Triste, al punto che la morte
precoce è sempre apparsa la diretta conseguenza di un'esistenza
tragica. Quanto c'era di vero nell'immagine della cantante roca e
maledetta, già diffamata dalle malelingue e stremata dai tira e
molla con Fossati? L'ho scoperto in una produzione Rai passata anche
in sala: un omaggio di cui potremmo attaccare la scrittura un po'
dozzinale, la regia televisiva, se non fosse per la bravura di
un'incredibile Serena Rossi. Doppiatrice Disney con un passato nel
cast di Un posto al sole, mica nell'Actors Studio, l'attrice
partenopea compensa con il cuore e il mimetismo lì dove il timbro è
troppo diverso, lì dove la scrittura rischia di scivolare troppo nel
melodramma. Attorno a lei, somigliante senza gli sforzi clowneschi di
Rami Malek, ruotano gli amici Lauzi e Califano; la sorella Loredana,
interpretata dalla dolce metà di Thom Yorke; gli alti e bassi con il
compagno storico, sostituito qui da un fotografo fittizio davanti al
rifiuto di Fossati di prender parte alla produzione. Io sono Mia è
un biopic romanzato, in chiave femminista, su una Janis Joplin
nostrana trasformata per colpa di terzi in una maschera di dolore.
Perseguitata da accidenti grandi e piccoli, costretta alla fine a
cantare nelle sagre di paese, aveva senz'altro bisogno delle scuse
ufficiali. Di una commemorazione sentita e rispettosa,
emozionantissima, a cui chiunque perdonerebbe l'effetto agiografia:
ben vengano i film spiccatamente di parte, purché stavolta siano
dalla sua. (7)
Lei
è un'insegnante con un disperato bisogno di speranza, lui un
allievo prodigio che compone poesie nell'indifferenza generale. Se
pensate sia l'inizio di un dramma per famiglie nello stile di Gifted,
siete fuori strada. Perché, guidato da un'ottima Maggie Gyllenhaal a
proprio agio con i personaggi controversi, Lontano da qui è
un film che spiazza: abbastanza da stregare il Sundance e da imporsi,
a sorpresa, fra le migliori visioni dello scorso anno. In cerca di
una via di fuga dalla routine, di un tocco speciale a una scrittura a
cui manca sempre il guizzo, l'irrequieta insegnante scopre accanto al
piccolo poeta una vita più incantata, più movimentata, più
pericolosa. Lei è la sola a prenderlo sul serio: gli dà corda,
prende nota delle sue fantasticherie, lo rapisce letteralmente per
portarlo ai reading pubblici, gli presta voce spacciando i suoi
componimenti per propri. Non si accorge che c'è del morboso,
qualcosa che non va: lo sguardo disarmante e indagatore del pupillo –
che in fondo vuole più bene all'altra maestra, e che a giorni
premette lo sport alla letteratura – ne metterà a nudo le
contraddizioni. La Gyllenhaal preferisce infatti Gael Garcìa Bernal
al marito panciuto, l'allievo prediletto ai figli adolescenti
ipnotizzati dai cellulari: politicamente scorretta e profondamente
umana, a tratti inquieta e a tratti commuove per questa esigenza di
bellezza che non possiamo non condividere. Durante la visione
dell'ottima seconda prova di Sara Colangelo sospendi qualsiasi
giudizio morale – la protagonista va stimata o forse ostracizzata?
– e, come se si trattasse di un thriller, ti scopri prima
affascinato, poi spaventato dai meccanismi psicologici della
protagonista: una poetessa bugiarda, una mecenate aspirante, che
passa da maestra a tata, fino a ricoprire il ruolo di stalker
ossessiva. Lontano da qui è un enigma pedagogico fra due
estremi: la totale disattenzione di alcuni da un lato, e dall'altro
le premure esagerate di chi osa sognare un futuro migliore. Ma questo
mondo non ha orecchie attente, va di fretta. Troppo pragmatico per i
geni incompresi, per le professioniste che fanno della loro missione una questione di vita o di morte, corre il rischio che certe
richieste d'attenzione, certi piccoli grandi film, passino inascoltati.
(8)
Non
tutti hanno il fisico per vivere in una commedia romantica. Non di
certo Rebel Wilson, goffa e disincantata, che non somiglia affatto a
Julia Roberts. Cosa succederebbe se la spettatrice più cinica del
mondo, in seguito a uno scippo, si risvegliasse in un mondo parallelo
in cui vigono i toni, i colori e i cliché di Pretty Woman?
Dai cartelloni pubblicitari scende la splendida Priyanca Chopra per
corteggiare l'eterno migliore amico Adam Devine, il vicino di casa
spacciatore si evolve nello stereotipatissimo consigliere gay, il
minore dei fratelli Hemsworth d'un tratto non ha occhi che per la
protagonista. Dal regista di quel gioiellino che fu The Final Girls, altra parodia dal cuore grande, arriva così Non è
romantico?. Un collage a
fantasia di luoghi comuni e scene topiche, in cui trovare il meglio e
il peggio delle romcom di ogni dove. Il risultato è un omaggio
autoironico e dalla confezione inaspettatamente curata, con una
morale di fondo aggiornata – amare gli altri anziché se stessi
rende davvero più completi? – e una Wilson, al solito, vulcanica.
Mettete pure in conto coinvolgenti momenti canori degni di un
musical, elicotteri privati come se piovessero, un abito elegante per
ogni occasione e qualche consapevolezza aggiunta strada facendo:
assolutamente, però, niente sesso. Vittime del cinismo diffuso,
anche noi abbiamo il dente avvelenato verso il lieto fine. Un po'
come le volpi del proverbio, che non arrivano all'uva e fingono
allora sia acerba. Che male c'è, invece, a sognare a occhi aperti? A
viversi la vita con quest'invidiabile leggerezza, rigorosamente in
rosa? (7)
Quanto
conta l'aspetto esteriore? L'inadeguatezza ha confinato a lungo Amy
Schumer in un ruolo subalterno: è un altro colpo in testa, un'altra
epifania, a convincere quest'altra bruttina della commedia americana
a vivere a testa alta e sognare in grande. Basta crederci. E piace
proprio crederle, sì, mentre invade a gamba tesa gli uffici patinati
del Diavolo veste Prada
per proporsi come segretaria: se perfino Emily Ratajkowski può
essere piantata in asso e una strepitosa Michelle Williams fa i conti
con la voce stridula della diva di Cantando sotto la
pioggia, allora tutto può
succedere. Anche essere a tanto così dallo sbancare una gara
disputata fra sexy miss in maglietta bagnata, o svegliarsi in una
sorta di Big al tempo
dei body shaming. La Schumer non cambia di
una virgola. Impara a vedersi irresistibile, e tutti sembrano
crederle di conseguenza. L'autostima, la teoria del bicchiere mezzo
pieno, sono una potente arma di persuasione per affermarsi in ufficio
e in amore. Anche a rischio, quando parte della cerchia dei vincenti,
di macchiarsi di egoismo e superficialità? Banalizzato dal titolo
italiano, Come ti divento bella è
una commedia mediamente divertente, bella più dentro che fuori, con
una lodevole morale di fondo e la fisicità dirompente di una Schumer
da me eppure poco apprezzata in passato. Funziona e intrattiene, per
fortuna, anche quando i centodieci minuti complessivi sembrano
troppi; quando l'incantesimo si spezza. (6,5)
Quanto
conta il titolo di studio? È il dilemma di Jennifer Lopez – ancora
una volta, novella Cenerentola – che lavora come commessa
nonostante il fiuto da imprenditrice navigata. Come in una puntata di
Younger, le bugie le
spalancano le porte di un'azienda di grido: dall'alto del suo falso
curriculum, così, brevetta la formula di una crema di bellezza e si scontra
con la rivale Vanessa Hudgens, collega sul piede di guerra.
Ricomincio da me,
ritorno al cinema della popstar che negli anni Duemila era la regina
incontrastata di un certo filone di commedie sentimentali,
presenterebbe in teoria qualche variazione sul tema: oggi si premette
la carriera all'amore, con buona pace di Ventimiglia; ci si vanta di
una laurea che non si ha; si custodisce un segreto di gioventù che
rischia di tornare alla luce non senza colpi di scena. La pratica,
invece, è ben altro paio di maniche: sarà che lo sforzo maggiore
richiesto alla protagonista, cinquantenne di una bellezza sconfinata,
è fingere di avere dieci anni di meno e rispolverare,
all'occorrenza, le pose che per un periodo l'hanno resa una stella
anche del botteghino. A dispetto del titolo, quindi, questo è
un falso nuovo inizio, una ripartenza soltanto annunciata: lì il suo
pregio, se fan di una Lopez che fa una discreta figura in qualsiasi
veste; lì il suo difetto, se da Peter Segal, veterano del cinema di
genere, ci si aspettava una serata di sorrisi meno tirati. (5,5)
This isn't romantic è l'unico che mi intriga, anche se il rischio cagata era altissimo. Sono contenta di sapere che, invece, è stato evitato :) lo recupererò il prima possibile.
RispondiEliminaDivertimento assicurato!
EliminaQuante belle donne in questo posto. Siamo politicamente corretti e diciamo pure anche quante brave donne.
RispondiEliminaLa fiction Rai purtroppo mi vede restia al recupero, mentre ormai mi hai convinto a dare una chance alla Schumer, magari partendo anche dai suoi stand-up.
J.Lo -nonostante Ventimiglia- me la risparmio, e Lontano da qui continua a farmi pensare tra un brivido e l'altro. Sarà anche nel mini-cineforum nel cinema in cui collaboro, ha destato già parecchia curiosità :)
Oh, felicissimo che la Colangelo non sia passata così in sordina da te!
EliminaCarrellata Interessante, prendo spunto per recuperare qualcosa. Ho visto solo Io sono mia, bravissima Serena rossi, l ho trovato molto emozionante!
RispondiEliminaLa Rossi patrimonio d'Italia subito.
EliminaDevo proprio vedere lontano da qui. Lo immaginavo diverso e mi intriga. Lea
RispondiEliminaUna visione del tutto inaspettata, e per questo bellissima. Accade di rado, ma è una gran cosa scoprirsi sorpresi.
EliminaA parte The Kindergarten Teacher, che io ho trovato pessimo e con due protagonisti uno più insopportabile dell'altro, sul resto ci siamo abbastanza. :)
RispondiEliminaNon è romantico? e Come ti divento bella sono due nuovi classici delle romcom. Scritti benissimo e con due protagoniste che ribaltano lo stereotipo della protagonista bellina e perfettina, e più in generale vari altri stereotipi del genere. Quindi bene così.
Stereotipi in cui rischia di affondare Second Act, ma alla fine si lascia guardicchiare. Anche se per me si salva più che altro per Vanessa Hudgens, anziché per la solita tremenda J.Lo. XD
Io sono Mia bello e doloroso. Fa venire una gran incazzatura per come sono andate le cose. Che la Rai abbia cercato di farsi perdonare per come Mia Martini è stata trattata, anche dalla stessa Rai?
Siamo così in linea sul resto, che ti perdono la stroncatura di Lontano da qui. Lo difenderò a spada tratta. E non ti credere, i protagonisti li ho trovati respingenti anche io, però a scoppio ritardato quella scena finale mi ha davvero segnato, boh.
EliminaCome sai, "Non è romantico?" l'ho trovato carinissimo!
RispondiElimina"Come ti divento bella" da recuperare :)
Sono sulla stessa lunghezza d'onda, per fortuna. :)
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