Robin
Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri. Lo Stato, invece, fa
l'opposto: ruba ai poveri per dare ai ricchi, generando in
risposta scioperi, proteste e qualche vendetta miratissima. Succede
questo nella Casa di carta: la serie spagnola di
cui tutti parlavano e sparlavano e che al solito,
annoiato a priori dal chiacchiericcio diffuso, ho recuperato soltanto
ora. Possibile, mi sono domandato a fine visione, che
in questo mondo si siano perse le mezze misure? Amato da qualcuno e
detestato da altri, senza vie intermedie, questo heist movie a
puntate ha in realtà pregi e difetti che tocca riconoscergli.
Ventidue episodi ambientati in una manciata di giorni, un ambiente circoscritto e un genere che, su carta, neppure attirava particolarmente: come
poteva reggersi la storia di una rapina epica – obiettivo, la Zecca
di Stato: nessuna vittima da mietere, un assedio lungo quasi una
settimana, una refurtiva di un migliaio di milioni –, senza
annoiare? Ben pensato ma dallo spirito affatto serioso, realizzato
per altro da spagnoli tanto esperti con il thriller
quanto con la soap opera, La casa di carta unisce
azione e introspezione, piani criminali e intrecci amorosi, in una
formula vincente che soltanto nella seconda parte fa pesare le lungaggini. I rapinatori imbracciano mitragliatori
potenti, portano nomi di città, indossano tute rosse e inquietanti
maschere di Dalì, ma hanno storie personali da
condividere: con lo spettatore, e con ostaggi a cui a volte ci si
affeziona. Se la relazione fra gli insopportabili
Tokyo e Rio, i giovani del gruppo, infastidisce per il bagaglio post-adolescenziale che porta con sé e le grane che
genera, per fortuna ci si lascia coinvolgere dagli altri: Denver,
tonto ma di buon cuore, che si invaghisce della donna che avrebbe
dovuto freddare e fa i conti con il tenero papà Mosca; lo spietato
Berlino, fascinoso e sardonico, con un tallone d'Achille da scoprire
e nessuna voglia di dichiarare resa; il Professore e l'agente Raquel,
soprattutto, che si avvicinano man mano in una romantica
caccia con lui mente segreta dell'intera operazione, lei donna di
potere vittima della misoginia dell'ambiente. Con un
paio di interpretazioni di ottimo livello – su tutti, Alvaro Morte e Pedro Alonso – e più di qualche volto
già scorto in Èlite,
il mio recupero è filato liscio come l'olio benché, strada facendo,
i piani della banda si complichino: mettete in conto voltafaccia, sacrifici, repentini
cambi di rotta.
Il soggiorno? L'ho apprezzato senza né amarlo né odiarlo, senza
fare le ore piccole per scoprire quel che sarebbe stato di me e di
loro, ma con tanta stima verso gli ideatori – qualcuno deve aver amato profondamente Breaking Bad:
gli uomini qualunque trasformati
in geni del crimine – e un orecchio di riguardo verso la colonna
sonora già cult, con una sigla che passa anche in radio e la nostra Bella
ciao, inno di una nuova forma di
Resistenza. Mani in alto, questa è una rapina! Non opponete
resistenza, collaborate, e tutto andrà per il verso giusto! Inutile
fare gli eroi o gli alternativi, osteggiare con le azioni e le parole
questi novelli Robin Hood soltanto perché di tendenza, nel bel mezzo di colpi
pianificati nel dettaglio dove è cosa semplice scoprirsi
affetti dalla Sindrome di Stoccolma. (7,5)
Conosciuta
da poco e dopo poco, purtroppo, salutata. Con Unbreakable Kimmy
Schmidt si era trattato dell'ennessimo recupero dell'ultimo momento, in previsione di un'ultima
stagione che, appunto, alla fine non si è fatta attendere. Nel giro di un paio
di mesi, così, ho conosciuto e detto addio a Kimmy: rossa tutto
pepe in cerca del proprio posto nel mondo dopo quindici anni di
prigionia. La protagonista, confinata in un bunker, scopriva in ritardo le
meraviglie di New York. Sulla soglia dei trent'anni,
poteva forse rivivere la spensieratezza che le avevano rubato? Sì,
se in una comedy di quelle divertentissime e scritte a meraviglia,
con tempi comici fuori dal comune e comprimari memorabili. Il momento
dei saluti era inevitabile. Soprattutto se con il graduale procedere delle
stagioni, quegli episodi più lunghi e sempre meno ispirati, quei
protagonisti da sognare già felici e sistemati, avevano già fatto
intuire la chiusura nell'aria. È stato meglio così. Unbreakable
Kimmy Schmidt parte alla grande,
si perde un po' a metà, ma recupera la verve nel congedo:
cosa non da poco, sa quand'è meglio fermarsi.
Le molestie dei produttori hanno sfiorato anche
Titus, attore inoccupato che da anni e anni sogna le luci di
Broadway: subirle o denunciare, oppure tacere e andarsene via?
Jacqueline, non più la moglie trofeo degli inizi, è ormai la
versione in carne e ossa della Princess Carolyn di BoJack Horseman: manager rampante,
benché senza un ufficio tutto suo, qui al centro di
un'appassionatissima lotta con il collega interpretato da un
insospettabile Zachary Quinto. Lilian, invece, con quel misto di
assurdità e struggimento che l'hanno resa subito il mio personaggio
preferito, scopre che il suo palazzo sta per essere demolito: da lì
la folle idea di abitarlo come fantasma, pur di non
abbandonarlo mai. E Kimmy? Abbastanza sopra le righe da risultare
potenzialmente il personaggio più antipatico dei quattro, chiude le
danze con un nuovo obiettivo a lungo termine – diventare scrittrice
per bambini – e senza una storia d'amore. Orpello inutile, in
effetti, in una favola moderna in cui ci si salva da soli senza mai rinunciare alla magia delle giuste simmetrie: questo metaforico
cerchio si chiude, così, con in sottofondo Il cerchio
della vita e con un piccolo
figurante che confessa a Kimmy di sentirsi meno solo quando c'è lei.
Culmine ideale di un finale ordinato e ordinario, consolatorio, ad alto tasso
emozionale, con tutto quello che i fan pretendevano e qualche guizzo
aggiunto nella sceneggiatura. Sì, bambino, sì: con Kimmy a pranzo e
a cena, mi sono sentito meno solo anch'io. (7)
La casa di carta l'ho trovata geniale, imprevedibile e intrigante. Qualche scivolone sul finale c'è stato, ma è diventata una delle mie serie preferite!
RispondiEliminaIl colpo di genio ammetto di non averlo trovato, però mi sono divertito e già è tanto. Non pensavo!
EliminaKimmy mi mancherà tantissimo, ok, mi mancherà più Titus e quell'umorismo e quella scrittura brillante -anche quando in calo. Quante risate, in vista del gran finale poi ho voluto rivedermi tutti gli episodi trovandoli più legati di quanto mi ricordassi.
RispondiEliminaSulla Casa di Carta sai che faccio parte del #teamno, complice di sicuro il tanto parlarne bene. Ma davvero certi buchi, certe scelte in una sceneggiatura che si svolge appunto in meno di una settimana non sono riuscita a digerirli. E alla lunga, la noia ha avuto la meglio su quell'inizio così spettacolare.
Più Kimmy per tutti, anche se finalmente sono approdato a Scrubs.
EliminaLa casa di carta capisco ti abbia deluso alla luce del gran parlarne all'inizio. Io l'ho visto quando tutto è stato già detto, quando tutti è stato già scritto, e non mi sono lamentato troppo. :)
Io ho adorato La casa di carta: nonostante le riconosca alcuni difetti, i pregi a mio parere sono stati decisamente superiori. Sarà che in fondo ho il cuore tenero e romantico, ma mi sono affezionata subito ai personaggi, gente senza arte né parte ma con un animo più leale di quello di tanta gente "normale". E nel momento in cui ci si lega ai personaggi, si resta col fiato sospeso fino alla fine e annoiarsi è impossibile. Elite, che citi al volo, invece non sono riuscita ad apprezzarlo fino in fondo: sarà che "non ho più l'età", ma l'ho trovato troppo assurdo in alcuni passaggi, pur comprendendo che l'essere un po' sopra le righe è insito per natura nelle produzioni spagnole. Unbreakable Kimmy Schmidt voglio recuperarla!
RispondiEliminaÈlite molto più alla buona di questo, ma il trash e il teen mi attirano nei momenti giusti: lo ammetto.
EliminaBe', la conoscenza di Kimmy te la consiglio spassionatamente!
La casa di carta non mi ispira per nulla, mentre Kimmy... devo ancora trovare il coraggio di guardare l'ultima serie (per quanto sappia che è meglio vedere una serie chiudersi degnamente piuttosto che trascinarsi, mi dispiacerà molto salutare una delle poche comedy che mi piacciono).
RispondiEliminaTi assicuro, però, che il finale è degno e di cuore. Il senso di vuoto, però, si sente.
EliminaLa casa di carta mi è piaciuta molto, nonostante i difetti!
RispondiEliminaUnbreakable Kimmy Schmidt invece mi piacerebbe recuperarla c:
Vai, vai!
EliminaAlla buon'ora hai recuperato quella bomba de La casa de papel!
RispondiEliminaQuelli che elenchi come difetti poi per me sono pregi.
Tokyo insopportabile?
Stai scherzando, vero? °___°
Ah già, te hai adorato l'odiosa Maggie Gyllenhaal in quel filmetto là... XD
Kimmy Schmidt mi piaceva, ma poi l'ho un po' persa di vista...
Tokyo, confermo, unico tasto dolente. Maggie Gyllenhaal odiosa, ma credibile.
EliminaQuesta figacciona un po' meno, alle prese con le frasi a effetto della voce narrante...
La Casa Di Carta è odioso per alcuni aspetti ( anche un po' inconcepibile, specie per alcune scene ) primo tra tutti Arturo che è insopportabile, però la serie inchioda e funziona, bisogna ammetterlo.
RispondiEliminaGesù, Arturo. Lo avrei usato come esca per squali sin dalla prima puntata!
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