Citando
un altro dei suoi successi, a volte ritornano. È successo prima alle
liceali vessate, poi ai pagliacci assassini, infine ai membri della
famiglia Creed. I remake, negli anni, hanno dato nuova linfa agli
incubi di Stephen King. A trent'anni dal film originale, Pet
Sematary ha seguito l'esempio di
Carrie e It.
Il risultato, poco clamoroso ma comunque godibile, è nella media.
All'attenzione filologica della prima parte – notevole l'interesse per l'inconscio dei protagonisti, i fantasmi di lui e i sensi di
colpa di lei, insieme agli effetti mortiferi di una terra maledetta
che supera i confini della radura e tormenta la famiglia in gran
completo – seguono le canoniche concessioni al mainstream della
seconda, con tanto di bambine possedute appostate in cantina e vedute
di un cimitero gotico a livelli caricaturali. Il cambio di rotta
dell'epilogo, nerissimo e perfino più tragico, seminerà un certo
disappunto nei lettori più fedeli ma, nel mio caso, è stato una felice variazione sul tema: un aggiornamento con i
tratti della riscrittura, che non stravolge il messaggio complessivo.
I problemi del film, purtroppo, non stanno tanto nei limiti di una
sceneggiatura non abbastanza rimodernata quanto nell'assenza di un
protagonista sfaccettato o di un regista degno di questo titolo:
Jason Clarke, inespressivo come il peggiore Affleck, appare talmente
monolitico da non riuscire mai a comunicare la sofferenza di un
medico alle prese con una scelta impossibile – insomma, non ha
l'intensità richiesta a Toni Collette in Hereditary –; i
registi chiamati a sbrigare il compito sono ben due, ma sembrano aver
dato forfait. I risvolti agghiaccianti non impediscono allo
spettatore di nascondersi qui e lì il viso fra le mani. Il gatto
Churchill e la sua spiritata padroncina, Ellie, potrebbero diventare
presenze fisse nella galleria dei personaggi inquietanti. Ma chi l'ha
letta lo sa: quella di King, in realtà, era una tragedia inesorabile. Purtroppo centrava meglio l'obiettivo il televisivo 1922, e non l'ennesimo horror mordi e fuggi, per quanto decoroso appaia. A volte la
morte è meglio. Ma il remake? (6,5)
Le
abbiamo festeggiate la seconda domenica di maggio, le mamme. Cosa non
farebbero per proteggere i loro figli? È lo sguardo amorevole a
distogliere la convincente Taylor Schilling dalle stranezze del
piccolo Miles, bambino dall'intelligenza precoce e dagli incubi
inenarrabili. Mentre lui veniva al mondo, in un'altra città moriva
un serial killer. Spirando, il mostro ha lasciato in eredità
al nascituro un occhio di colore diverso rispetto all'altro e una questione di morte
ancora irrisolta. Si parlerà allora di doppie personalità. Di
reincarnazioni, a cavallo fra Oriente e Occidente. Un po' Omen,
un po' La bambola assassina,
The Prodigy – giunto
in sala fuori stagione, con a bordo lo stesso sceneggiatore di Pet
Sematary – appartiene al
classico filone del bambino crudele. Non supera i modelli di
riferimento, non ambisce a diventare pietra miliare, ma per essere un
prodotto d'intrattenimento uscito durante le vacanze pasquali sa
difendersi discretamente senza sfoggiare l'artiglieria pesante dei
film di serie B. Ritratto di una convivenza infernale e di un
genitore sull'orlo di una crisi di nervi, ha alle spalle luoghi
comuni solidissimi e qualcosa di buono, fra interpreti in parte e
ritmi accattivanti. Ne viene fuori un thriller paranormale di buona
foggia, che sgomita con eleganza in un sottobosco di pellicole ormai
intercambiabili fra loro e che, a colloquio con l'infido Jackson Robert Scott,
trova un antagonista da brivido. Pur al servizio di una storia
che, strano ma vero, senza nessuna novità da proporre, non è ancora
venuta a noia. (6)
Ci
ha raccontato l'amore in Love,
lo scandaloso porno d'autore che aveva diviso Cannes. È tornato, ora, per
raccontarci la morte: con la grazia selvaggia della danza
contemporanea e tutta la bellezza perturbante del suo cinema. Gaspar
Noé, il Lars Von Trier argentino, non balla da solo né tanto meno in punta di
piedi. Siamo in una sala piena di ballerini professionisti. La danza
è il loro lavoro, il loro hobby, la loro vita. Non fanno altro, e di danza parlano in tutte le lingue del mondo.
Climax mostra la loro
ultima sera dopo nove mesi di lavoro a stretto contatto. Proiettati nel bel
mezzo di relazioni, tradimenti e alleanze, carpiamo qualche
informazione dalle chiacchiere altrui. E capiamo che c'è qualcosa
che non va. La sangria a fiumi li rende su di giri: chi l'ha drogata?
Se in Suspiria il
movimento era armonia, qui conduce invece allo sfacelo. A incesti, aborti,
stupri, aggressioni. In un rito bacchico durante il quale tutto è
lecito, tutto è possibile, la compagnia garantisce orrori indicibili
e un'esperienza visiva eccezionale. Le prove stesse sono
l'esibizione. Il resto, invece, è un flashmob lunghissimo su cui
giganteggia la bandiera francese e l'onnipotenza di Noé.
Un regista che inserisce i titoli di coda all'inizio del suo film e
quelli di testa a metà, dopo quarantasei minuti di
visione. Un portento alla macchina da presa che si concede ora
piroette da capogiro, ora interminabili piani sequenza: la telecamera, fissa, mentre i protagonisti diventano invasati. All'esagerato virtuosismo di fondo, però, corrisponde
simmetricamente l'inutilità della trama; atmosfere psichedeliche che
nella prima parte entusiasmano e poi, pian piano, vengono a noia. Mancando d'un passo l'acme del titolo, mentre nel dramma precedente
– fra contenuto e forma, provocazione e commozione – la pienezza
dell'orgasmo era assicurata. (7)
Sette
sconosciuti dal passato criminoso, un hotel da cui fuggire. Il giallo
e il pulp, sposalizio già vincente nel sopravvalutato The
Hateful Eight, chiamati a
raccolta insieme a un cast di sole stelle per renderci partecipi di
una vicenda di bulli e pupe, sangue in quantità e soldi sporchi. El
Royale sorge a cavallo fra due stati e, nella classica note buia e
tempestosa, ci assicura scenografie sopraffine, splendide canzoni al
juke-box e una manciata di sequenze degne di nota: quel piano
sequenza lungo un sordido corridoio segreto, ad esempio, o l'esibizione
canora della grandissima Cynthia Erivo intervallata ai piani
imperscrutabili di Jeff Bridges. La compagnia, data la portata degli
ospiti, sarà di quelle con cui rifarsi gli occhi – che bombe sexy
Dakota Johnson e Chris Hemsworth! –, anche se nel cuore mi è
rimasto l'imprevedibile portinaio di Lewis Pullman. Strabordante,
sfacciato e autoironico, il ritorno al cinema di Drew Goddard è un
nuovo omaggio, dopo i fasti di Quella casa nel bosco:
lì omaggiava l'horror, qui il thriller. Non vuole lasciarsi prendere troppo sul serio, e ci saranno allora la stessa leggerezza, la stessa
passione, lo stesso tocco promettente. Nonostante una superba prima
parte e un prosieguo all'insegna della fatalità, è sempre
bello far congetture e vederle smantellate: si sfoderano le armi
pesanti, infatti, e senza troppi rancori vengono meno l'aplomb
iniziale e attori il cui ruolo, a torto, era considerato chiave.
Scoraggiato dalle oltre due ore di durata e dalle recensioni tiepide,
rischiavo di perdermi un soggiorno pericoloso ma confortevole in
mezzo alla bellezza kitsch e ai deliri metacinematografici di
Goddard: un piccolo Tarantino che fa simpatia, per le grandi
ambizioni e un cognome da Nouvelle Vague. (7,5)
Cinque
sconosciuti dal passato traumatico, un complesso da cui fuggire per
salvarsi la pelle. Il giallo all'inglese di Agatha Christie incontra
i morti ammazzati di Saw
e i grattacapi di The Cube.
A ogni scenario (fra i tanti: un forno crematorio, un cottage sotto zero, un
salotto distorto dalle droghe, una biblioteca pronta a schiacciarti)
corrispondono un indizio e una dipartita violenta. Qual è il filo
rosso che unisce i protagonisti? Chi li manipola dall'alto?
Soprattutto, chi avrà la meglio in questo purissimo gioco di
sopravvivenza senza trucchi né inganni? Il survival – genere
tipicamente estivo, questa volta elegante nella resa e piuttosto ben
assortito – a sorpresa potrebbe divertire più gli amanti dei
grattacapi che quelli dello splatter gratuito, grazie alla sintesi
fresca e dinamica delle sue influenze da cardiopalma. Invito a cena
con delitto multiplo, cavalca la moda delle escape room già diffusa
nelle grandi città e rinuncia
all'efferatezza, intrattenendo con l'ingegno delle scritture a
incastro; gli ambienti vari e insidiosi; una chiusa aperta ma
non troppo, in vista di un papabile seguito che, qui lo ammetto e qui lo nego, in
futuro mi concederei di volata. (6,5)
Pet Sematary l'ho trovato noiosissimo, con un pessimo attore protagonista. Il libro non si basa solo sui mostri, e proprio per quello risulta così angosciante: questo nuovo film non l'ha capito, rendendo a mio avviso la storia incredibilmente vuota e mediocre.
RispondiEliminaThe prodigy mi era sfuggito, ma pare molto interessante, mentre 7 Sconosciuti a El Royal ce l'ho nella lista dei futuri recuperi :)
Fammi sapere!
EliminaIo, con la lettura risalente a più di dieci anni fa, non sono stato troppo critico con King, memore di trasposizioni disastrose...
Ovviamente rifiuto di leggere alcunché su Pet Sematary, che dovrei finalmente riuscire a vedere stasera.
RispondiEliminaThe Prodigy non è malaccio, McCarthy solo regista perde un po' di personalità ma come film è cattivo al punto giusto e quel finale è splendido.
Sette sconosciuti... sarà che avevo mille aspettative ma l'ho trovato floscio, insignificante e anche un po' cretino. Peccato, perché alcune trovate di regia e scenografia non sono male.
Escape Room simpatico, ci mette un po' a scaldarsi e spara le cartucce migliori a metà, ma non è memorabile. A differenza tua, non so se correrei a vedere il sequel ma mai dire mai.
Alla fine ho capito che King ti è piaciuto più che a me, meglio così! 😉
EliminaHo visto Pet Sematary ieri sera e, se consideri il fatto che non conoscevo affatto la storia di King (che leggerò nei prossimi giorni), ho trovato l'idea di base davvero piacevole... la recitazione invece pessima e la pellicola nel complesso piena di cliché.
RispondiEliminaEscape Room invece niente di che, intrattiene e scorre piacevolmente, come te mi concederò il seguito senza nessuna aspettativa né pretesa.
Il libro è di tutt'altra pasta, vedrai...
EliminaHai sconvolto un po' i miei programmi: da quel Pet Sematary mi aspettavo più entusiasmo e visto che in v.o. non arriva e lo esalti come libro, gli darò una chance su carta. Forse.
RispondiEliminaAvevo depennato i 7 sconosciuti perché poco ispirata al recupero, con quel voto, con quell'entusiasmo, potrebbero tornare in agenda.
Climax, folle, assurdo, eccessivo. Una ventata d'aria fresca anche se casalinga.
Secondo me, in lingua, Clarke rischia di essere perfino più cane...
EliminaVai di romanzo, che a memoria è uno dei migliori. Breve e doloroso. Il giovine che fa, conferma?
Peodigy a me non è dispiaciuto, ma è uno di quei film che ti dimentichi poco dopo, però alcune scene mi sono rimaste impresse.
RispondiEliminaPet ho un po' paura a vederlo, adoro il libro e Cimitero Vivente lo ricordo ancora con affetto, non so se ho voglia di rivederne un'altra versione.
Il colloquio fra lo psichiatra e il bambino (il Georgie di It, per altro!) è agghiacciante.
EliminaPet sematary inspira tanto anche me, nonostante ho letto un solo libro di King ☺️ recentemente invece mi sono appassionata alle vicende dello scrittore Markus Goldman in La verità sul caso Harry Quebert. E devo dire è piuttosto fedele al libro ☺️
RispondiEliminaMancano sia romanzo che serie TV, purtroppo!
EliminaEcco, io invece ho adorato "Climax" e trovato a noia "Love" - per quanto le tette possano venire a noia…
RispondiEliminaGoddard invece è uno dei grandi recuperi che devo fare.
Ma Love mi ha commosso, con quell'amore per un figlio che va a sostituire il sesso spinto, mentre Climax mi ha infastidito e basta. Anche se, immagino, non poteva chiederglisi altro.
EliminaClimax bomba, per il resto io ho trovato Escape Room terribile, mentre nonostante la simpatia per Goddard i 7 sconosciuti mi avevano un pò deluso.
RispondiEliminaOcchio a The Prodigy, per una visione domestica. Not bad!
EliminaGaspar Noé il Lars Von Trier argentino?
RispondiEliminaNon lo avevo mai visto in questa maniera, però in effetti il paragone ci può stare. Entrambi bastardi e talentuosi come pochi. :)
I sette sconosciuti non mi hanno impressionato particolarmente, e semmai un po' deluso.
Con Escape Room sei stato troppo buono. A me il gioco è venuto ben presto a noia...
The Prodigy invece mi è venuto a noia ancora prima di guardarlo ahahah
Pet Sematary se non ha entusiasmato troppo un kinghiano come te mi spaventa. Ma magari da non fan a digiuno del libro potrei apprezzarlo di più...
Che poi pensavo che Gaspar fosse francese, data la lingua di tutti i suoi film. Mi ha smentito prontamente Wikipedia!
EliminaPS. Con Trier non lo reggo però, Noè sì!
Aspetto la tua su Pet Sematary.
RispondiEliminaMa non aspettarti il rock della versione anni Ottanta, né dei Ramones.