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L'inverno di Giona, di Filippo Tapparelli. Mondadori, € 17, pp.
190 |
Non
ha che un maglione rosso, presumibilmente un modello femminile, per
ripararsi dai rigori dell'alta montagna. Giona, quindici anni, vive
in un villaggio senza nome e senza tempo. Per lui non esistono né il
passato né il futuro. Soltanto un eterno presente, fatto di
temperature in picchiata, terribili violenze – fisiche e
psicologiche – e pochi ripari contro un gelo che pian piano ha
messo radici anche nel cuore. Questa è la storia di un convivenza
insostenibile: da qualche parte, in una casupola buia che sormonta
tutto e tutti, il protagonista condivide i pochi spazi vitali con il
nonno Alvise. Un vecchio dalle mani ferme e pesanti, dagli occhi di
un azzurro impenetrabile, che con la stessa meticolosità con cui
intreccia rami di castagno per fare gerle si ostina a tormentare il
nipote: quintessenza della virilità, esempio di durezza e
cattiveria, risulta elegante anche nel pestaggio. Nelle nocche lucide
di sangue, nelle suole delle scarpe che calciano e spezzano le ossa.
Questa è la storia del paese di Alvise: un microcosmo di case nude e
argilla, di cieli dello stesso colore dell'orzata, che si regge a
malapena su un ciottolo e sta perdendo misteriosamente il suo centro.
Come sopravviverà senza il suo leader, e senza la complicità delle
nebbie perenni?
Non
ti ho mai conosciuto davvero, padre. Non sono tue le mani che mi
spezzano la carne quando il vecchio mi punisce. Non è il tuo volto
che mi tocco quando il freddo d'autunno mi congela le guance. Non
sono volto, non sono labbra, non sono dita, denti, né altro. Io sono
figlio del niente, senza padre né madre. Ma lei, a differenza tua,
me la ricordo a ogni colpo che arriva, perché è il suo nome che
invoco nella gola quando il male diventa più grande di me. Tu invece
non sei mai esistito. Uomo sparito, fantasma di un fantasma. Ricordo
la tua assenza, quando invece vorrei poter dimenticare la tua
presenza inconsistente. Hai carne di vento, pelle di nebbia. Sei
vecchio come Alvise. Non ti riconosco eppure sei me centomila volte
al giorno. Le tue schegge non sono dolci, sono vetriolo che scende
nello stomaco. Bruciano tutto quello che trovano, anche le grida.
Vincitore
del premio Calvino sulla scia del bellissimo L'animale femmina,
L'inverno di Giona racconta
di un fragile universo che un singolo atto di ribellione minaccia di
ridurre in polvere. Anche se niente è quel che sembra. L'ordine è
rigoroso, il silenzio di tomba. Le case hanno le porte aperte e le
scatole, che all'interno nascondono indizi indicibili, rifiutano
lucchetti: lo spietato Alvise, sicuro della propria autorità, è
infatti il peggiore deterrente. Suo nipote è nel fiore
dell'adolescenza, ma al cospetto del vecchio sembra un bambino
sperduto. Logoro e infreddolito, sozzo di sangue, nella prima
parte mette alla prova le resistenze del lettore descrivendo una
routine che fa impallidire: l'apice, quando è costretto a scegliere
fra il passare una notte all'addiaccio o gettare nella fornace il suo
maglione – già rattoppato alla bell'e meglio, per tutte le volte
in cui Alvise lo ha strappato e bucherellato all'indomani di qualche
sgarro. Solo al mondo, a digiuno di abbracci, Giona ha dato un nome
di battesimo ai dodici gradini che conducono in cantina e ben presto
sperimenta l'orrore delle strade vuote, dei boschi labirintici, come
nella versione amara di Hansel e Gretel.
La seconda parte, un soliloquio dai toni lisergici ma poetici, tratta
di un doppio affrancarsi; di una fuga tanto letterale quanto
metaforica, lontano da un villaggio giunto al collasso.
Sai
come nasce un albero che sa fare i frutti? Non in modo spontaneo, non
secondo natura. Non da solo. Scegli una pianta selvatica resistente,
gli spacchi il legno e gli innesti dentro un ramo buono, con le
gemme. Poi la mutili per anni con la potatura, lasci solo i rami più
forti e li deformi per renderli adatti alla raccolta. Con il dolore,
Giona. Solo con il dolore si impara.
Lì
dove libertà fa rima con redenzione, l'animo smarrito del
protagonista punta a mete sconosciute con lo spirito dei classici
viaggi dell'eroe: gli fanno compagnia la spettrale Norina, una
coetanea seguita a ruota da uno sfuggente gatto nero; la dolcezza di
Anna, che mette in ordine una canonica rimasta purtroppo senza prete;
i litigi aspri fra Attilio e Anna, che sparlano della figlia
sciagurata che ha osato voltare loro le spalle. La terza parte
invece, forse intuibile attraverso indizi ben seminati ma comunque
agghiacciante, è la riflessione a ruota libera sulle fate e i demoni
della nostra fantasia: qualche volta salva, qualche volta ammazza.
Sorretto
da una scrittura dalla bellezza perturbante, vibrante com'è delle
angosce e del candore delle infanzie di ogni dove, il premiato
esordio di Filippo Tapparelli è un'allegoria esistenzialista
consigliata a chi ha amato e sofferto con Sette minuti dopo la mezzanotte e Vita
di Pi. Una
strada senza uscita, che gira in tondo e porta sempre al punto di
partenza. Tutto, pur di affrontare una scomoda verità. L'andamento
perciò sarà di quelli vari e frastagliati. Ancorati a una prosa
ispirata e scabrosa, piace tuttavia fidarsi a occhi chiusi. Non
sapendo in principio dove porterà, il viaggio dell'autore veronese.
Non
ci sono cose più fragili della verità. Per questo motivo va detta a
bassa voce. Le parole la sporcano e la confondono, non sanno
riportarla in modo fedele. La verità è fatta di silenzio. Un
silenzio che riesce a rendere sordo il mondo, quando ciò che cela è
troppo grande per essere compreso.
Seguiamo
allora i sentieri di un microcosmo sdrucciolevole e impermeabile al
divenire, che si sbriciola come un biscotto raffermo – le parole
che diciamo a voce alta costruiscono, infatti, mentre quelle che
tacciamo distruggono. Seguiamo, ancora, la bussola di un maglione
rosso: tratto distintivo su una sagoma che sfreccia, si sporca, e
infine ti coglie alla sprovvista alle spalle. Cosa accade quando un cane,
spezzato il guinzaglio, si rivolta contro il padrone? Dove il tempo è
relativo quanto mai e i freddi, interminabili, possono fiorire in
gemme primaverili sotto le palpebre abbassate degli instancabili
sognatori, un sacchettino con cinque pietre e la sagoma di una porta ci regaleranno il miraggio del sole
all'insegna degli epilogo evocativi perché sospesi nel mezzo dei nostri forse.
La fantasia è una catena. La fantasia è una liberazione.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Fabrizio De Andrè - Ho visto Nina volare
Meravigliosa recensione che ha reso giustizia a un libro altrettanto meraviglioso. 🖤
RispondiEliminaTi ringrazio, Midori, e benvenuto!
EliminaSembra un bel pugno nello stomaco, ma a volte bisogna prenderli. Quando hai citato Ness poi...
RispondiEliminaLea
Con Ness, giuro, il paragone è molto calzante.
EliminaQuesto dev essere molto bello, una storia forte, un ragazzino col quale non puoi non solidarizzare e questo nonno invece >_<
RispondiEliminalo metto in coda di corsa! *_*
Leggilo presto, ti piacerà.
EliminaQuesto non lo conosco. Non ne sapevo nemmeno l'esistenza 😊 davvero molto bella la tua recensione 😊
RispondiEliminaGrazie mille, Gresi! Per fortuna tengo sempre d'occhio i finalisti del Calvino. Al contrario dello Strega, un premio in cui credo moltissimo.
EliminaSono piuttosto combattuta riguardo questo romanzo. La tua recensione mi invoglia a fare un tentativo, la trama e le tematiche mi spaventano perché temo di non reggere la lettura di certe parti. Magari lo rimando ad un periodo più favorevole.
RispondiEliminaPsicologicamente mette alla prova a tratti, ma non è una lettura pesante. Anzi, scorre benissimo!
EliminaCon un titolo del genere, ormai aspetto la fine dell'anno per leggerlo.
RispondiEliminaDopo i paragoni con Sette minuti dopo la mezzanotte e Vita di Pi, però, mi sa che me lo risparmio per sempre. :D
La sensibilità di nonno Alvise, tu!
EliminaNe ho sentito parlare abbastanza bene anche da Silvia!
RispondiEliminaDevo dire che mi incuriosisce molto... soprattutto per quanto riguarda il "mistero" che permea le pagine. Penso proprio che, vista anche la sua brevità, lo leggerò a breve!
Sospetto che la narrazione, molto onirica, non ti piacerebbe, ma magari mi sentirai tu stessa a breve!
EliminaFaccio parte di chi ha amato e sofferto con Ness e Vita di Pi, quindi non posso esimermi dal leggerlo, direi.
RispondiEliminaStefi
Assolutamente no, leggilo!
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