Come
riproporre un cult se non stravolgendone i connotati? Come bissare il
successo di Chiamami
col tuo nome se
non cambiando pelle? Luca Guadagnino, atteso con ansia e po' di
scetticismo al varco, sceglie di spiazzare appassionati e detrattori. Dopo le
estati assolate in quel di Crema, si passa al rigore dell'autunno
tedesco: luci fioche, piogge incessanti e, se nel pieno degli anni
Settanta, sconvolgimenti che riguardano la rivoluzione sessuale, il
terrorismo e i conti in sospeso con il Reich. Lo sbalzo di
temperatura si avverte. Tocca indossare una sciarpa di lana e
condividere con Dakota Johnson, americana in fuga dalla famiglia
mennonita, i brividi di freddo e lo smarrimento. Non eravamo
abbastanza preparati alle escursioni termiche di un microcosmo
diverso da ciò che avevamo immaginato decifrando carte o recensioni.
Non eravamo abbastanza preparati a questa operazione, che
porta un titolo importante e il pregiudizio del remake, e al suo
essere altro da sé. Dimenticate i colori pastello, le mezzepunte e
le protagoniste sprovvedute: questa Susie, spavalda e desiderosa di
primeggiare, rimpiazza presto le colleghe scomparse e pende dalle
labbra della Swinton, magnetica Pina Bausch ai vertici di un'arcana
congrega. A spadroneggiare è il pallore claustrofobico del grigio e,
mentre nell'altra stanza i movimenti della nuova arrivata hanno
effetti magici sulla fanciulla sventrata di cui tutti parleranno
all'uscita dalla sala, riconosceremo come protagonista morale lo
struggente psichiatra tanto tranchant nel
diagnosticare l'isteria della paziente Moretz quanto incapace di
elaborare la sparizione della moglie Jessica Harper, deportata in un
campo di sterminio nel clou del Nazismo (paradossalmente a
interpretare l'unico personaggio maschile è sempre la Swinton,
trasformista da Oscar la cui espressività fa per tre). Nel grembo
dell'accademia Markos riecheggiano i suoni bellissimi di Thom Yorke,
sussurro fra i sussurri, e si sperimenta tutta la complessità
dell'essere donne: ora complici, ora rivali, le usurpatrici bugiarde
e le aspiranti stelle di Guadagnino si danno a un'insana competizione
e a sacrifici disumani. Lì vigono una dieta ferrea, sonni brevi e
tormentati, e le esistenze delle allieve ci appaiono fragili e
incantevoli come quelle delle farfalle. Conturbante dall'inizio alla
fine, discutibili punte kitsch a parte, Suspiria somiglia
alle coreografie tribali e irrequiete che mostra; a quella danza
contemporanea non per tutti, fatta di torsione dei polsi, piedi
battuti, sospiri parlanti. Destinato a farsi amare o odiare, come le
recenti fatiche di Refn, Aronofsky e Aster insegnano,
è un trip lungo e densissimo per coloro che sanno che l'intreccio
non è tutto, che i guanti di sfida vanno raccolti, che credono nella
fascinazione a scoppio ritardato. Poco sangue, nessun sobbalzo in
poltrona e i temi su temi di chi troppo vuole e nulla stringe. O
forse no? Le serpi della Markos ti ipnotizzano, ti avviluppano nelle
loro spire e ti ingoiano. Hanno tradito lo spirito comunitario degli
inizi, dedicandosi a corruzione, sadismo e balletto. Ma una buona
madre non è soltanto severità, ma anche misericordia. Non è
soltanto sangue a fiumi, ma anche fettine di pere dolcissime a
colazione. Alzate le luci, per favore, questo cielo uggioso mi
opprime. Alzate la voce, questi sussurri nel cuore della notte –
riflessioni concitate sulla sete di potere e gli effetti deleteri
degli “ismi”: sì, femminismo compreso
– assillano. Il regista palermitano mi scontenta e va oltre. Anche
a rischio che il passo sia più lungo della gamba. Per fortuna
intervengono l'agilità felina delle danzatrici e il tocco dei
migliori della classe con la signorilità per marchio di fabbrica. E
questo passo, per quanto affrettato, per quanto folle sia, non troppo
a sorpresa gli riesce: passaggio chiave in una coreografia di corpi,
di morti, in cui bellezza e repulsione ballano gomito a gomito il
loro sabba della fertilità. (7,5)
Ho
ripensato al romanzo La
morte avrà i tuoi occhi lo
scorso marzo, quando nel descrivere il mondo post-apocalittico del
tesissimo A
Quiet Place mi
ero dato ai confronti con l'odissea di Josn Malerman. Se nell'esordio
alla regia di John Krasinski si viveva infatti in un religioso
silenzio, fra le pagine dell'autore americano vigeva la
mortificazione di un senso alternativo: la vista. Una storia ben più
originale su carta che trasposta – altro modello di riferimento, E
venne il giorno –
doveva farsi inevitabilmente film cavalcando le mode. Un
intrattenimento funzionale e senza grandi pretese, già record sulla
piattaforma streaming, di cui nessuno piangerà il mancato passaggio
in sala. Fiori all'occhiello: Susan Bier, regista premio Oscar ben
prima del buonismo successivo al #metoo, affatto ispirata lontana
dalla sua impegnata Danimarca; un'ottima Sandra Bullock, insolita
eroina colta in contropiede e in tarda età da una gravidanza
indesiderata. La collaborazione, perdonate il gioco di parole, non
regala niente di mai visto. Se la regia sprovvista di guizzi e la
lunghezza ingiustificata denunciano un'attitudine spiccatamente
telefilmica – vedasi la prima ora, soggiorno in una casa stipata di
sopravvissuti all star al pari di episodio di The
Walking Dead –,
la seconda compensa con una palpabile tensione. Un viaggio della
speranza lungo due giorni, sfidando le rapide e la cecità, in cui
una mamma per caso – il machete in una mano, due bambini da
proteggere nell'altra – sfida creature per fortuna mai svelate,
pazzi all'ultimo stadio e la propria inadeguatezza. Bird
Box non
mostra niente, come nelle volontà iniziali del suo autore, e non
procede alla cieca: fedele alla consolidata tradizione dei survival
horror e alle energie di un'attrice che accetta il terrore, e la
genitorialità, con consapevolezza crescente. In un giorno
infrasettimanale seguite pure a occhi chiusi il canto degli uccelli,
il moto delle onde, i suggerimenti di Netflix. (6,5)
Introdotte
da una compilation di vezzose canzoni francesi, elegantissime con le
loro gonne a campana o quegli smoking sorprendentemente sexy, Anna
Kendrick e Blake Lively sono un'improbabile coppia al centro di
un'amicizia tutt'altro che disinteressata: tanto imbranata e social
la prima, quanto seducente e introversa la seconda, si conoscono a
scuola accompagnando i figli piccoli e proseguono la conoscenza nella
casa di Blake, dotata di una cucina da catalogo e dell'aitante Henry
Golding per marito. Il piccolo favore del titolo si trasforma in un
ingarbugliato mistero all'indomani della scomparsa della donna con
tutto (da nascondere). Seguirne le tracce significa imparare a
conoscerla, somigliarle nei modi e nel vestire: rimpiazzarla. La
Kendrick, tra un'investigazione e l'altra, ruba candidamente alla
collega villa e compagno, mentre l'assenza dell'altra comincia a
farsi inquietante. Di cosa si tratterà: spiritismo, disturbo
post-traumatico, oppure una congiura? Liberamente tratto dal romanzo
di Darcey Bell e campione di incassi in patria, complice il traino di
due splendide e autoironiche padrone di casa, la commedia nera
dell'incostante Paul Feig cita espressamente il noir Les
diaboliques,
ma vorrebbe seguire piuttosto la scia di Big
Little Lies:
nomi risonanti, scenari lussuosi, sporchi segreti. Come da programma
innumerevoli sono i cambi d'abito per la gioia delle spettatrici più
glamour – e di cambi di punti di vista tanto repentini da risultare
purtroppo inverosimili –, le infornate industriali di brownies e i
morti ammazzati, nell'ennesima declinazione dell'ormai famosa
complicità femminile. Il risultato, meno soddisfacente del previsto,
è un film giocoso e intelligente i cui piani criminali sono sabotati
tuttavia dal brutto finale. Poteva venire fuori l'ibrido innovativo
lodato dalla critica americana, ma non lo permette una scrittura che
va facendosi approssimativa né un'aria patinata con cui stentano a
fare pendant le tinte fosche. Poco male. Resta infatti un cocktail
rinfrescante, sorseggiato da due mattatrici affiatate e sempre in
ghingheri. Un dissetante guilty pleasure che senza troppi rimpianti
tale rimane, lì dove avrebbe potuto trasformarsi nello chick lit fra
il rosa e il noir che ancora mancava all'appello. (6)
Visto Suspiria la sera dell'1 ed è piaciuto molto anche a me. Guadagnino dimostra ancora una volta un grande talento visivo e alcune sequenze sono davvero azzeccatissime, quella del primo ballo di Susie è stata per me un capolavoro.
RispondiEliminaSia Un piccolo favore sia Bird Box sono lì nella lista per essere recuperati, settimana prossima se gli impegni me lo permetteranno ricomincerò a guardare film a pieno regime, questi potrebbero essere i primi della lista.
Suspiria e Bird Box li ho nella lista delle cose da vedere (di Suspiria pure l'originale), ma Un piccolo favore non mi attira per nulla. Forse lo vedrò in chiave guilty pleasure.
RispondiEliminaSuspiria lo voglio ovviamente rivedere, resta una visione-esperienza, e forse sapendo a cosa vado incontro, la magia sarà migliore.
RispondiEliminaBirdbox ha dalla sua gran nomi, ma anche se prende, se mette ansia, poco di nuovo ha da dire. Diciamo che le vacanze e i post cenone da passare sul divano hanno fatto la sua fortuna.
Un piccolo favore è sì un guilty pleasure coi fiocchi, ma si dilunga troppo risultando indigesto.
Per Suspiria bestemmio senza posa. Spero di riuscire a vederlo mercoledì o così, per diletto, dovrò uccidere voi blogger fortunati che l'avete visto. Non prendetevela con me ma coi distributori u__u
RispondiEliminaPer il resto, Bird Box gradevole e commovente con una bravissima Sandra Bullock, Un piccolo favore molto piacevole e divertente ma quel finale... per carità di Dio.
Bird Box è stata una gradita sorpresa. Mi aspettavo le peggio cose, e invece, pur non essendo niente di mai visto, si è rivelato ben più coinvolgente rispetto a prodotti simili. Come The Walking Dead.
RispondiEliminaAncora più piacevole, almeno per quanto mi riguarda, Un piccolo favore. Per me va preso più come commedia dark che come classico thriller. Raramente con un light crime mi sono divertito così tanto, forse giusto con L'allieva Mastronardi. :)
Una chicca poi la colonna sonora prevalentemente francese.
Di Suspiria, più che il film in sé, temo la mia reazione al film: potrebbe entusiasmarmi tantissimo, o deludermi altrettanto.
Bene così per Bird Box, oltretutto ricordo la tua poca simpatia per la Bullock, che qui regge alla grande la baracca.
EliminaUn piccolo favore molto carino, ma leggerne molto bene in giro ha fatto male. Hai fatto bene tu, a prenderlo come veniva.
Suspiria, per me, ti piacerà senza sorprese. Al contrario, Ford prevedibilmente lo odierà. 😬
"Suspiria", naturalmente, spero di vederlo al più presto: un po' perché amo il film originale, un po' perché sono curiosa di scoprire come se la caverà l'ottimo regista (finalmente alle prese con un genere che mi interessa davvero! XD).
RispondiElimina"Bird Box", come sai, mi è piaciuto abbastanza, e sicuramente molto più del libro.
A proposito di "Un piccolo favore" mi hai rincuorato: mi erano capitate sotto gli occhi praticamente solo recensioni completamente negative, quindi diciamo che avevo già iniziato a metterci una croce sopra...
Il romanzo di Bird Box, però, aveva un finale molto più cattivo dalla sua... Ricordi?
Eliminadevo recuperarli tutti e tre, di Suspira persino il film originale di Argento. Però quello che mi ispira di più è "Bird Box"!
RispondiEliminaIl buono, in quel caso, è che lo trovi già su Netflix pronto per l'uso. ;)
EliminaAlla fine sono riuscita a guardare Bird box! Sono un amante di questo genere, però ultimamente è difficile trovare film di questo tipo che mi appassionino. Questo mi è piaciuto tanto!
EliminaHo letto su IG. Bene così!
EliminaSuspiria è in lista, Bird Box visto e concordo con te. Un piccolo favore lo guarderò senza troppe aspettative :)
RispondiEliminaAspetto il tuo parere!
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