Sapendolo
un ritorno di fiamma, ho recuperato i lavori che l'hanno preceduto.
Non volevo che mi sfuggissero i passaggi e le sfumature di questo
lascito con antecedenti illustri: da
Fellini all'ultimo Cuarón,
la settima arte si è rivelata spesso una diva vanitosa. Ama essere
continuamente vezzeggiata, proprio come la memoria, a discapito della
discrezione dei registi stessi. In questo caso parliamo di Pedro
Almodóvar. Sempre nascosto dietro le sue storie di finzione, o sotto le maschere tirate a lucido dei suoi attori feticcio. Chi era l'adolescente che sognava
Bette Davis in poltrona? Quanto c'era di lui nell'educazione sentimentale di Bernal, studente dalla voce d'angelo? Perché le corsie
d'ospedale di Parla
con lei?
E i ritorni alle origini di Volver: quanto
erano sentiti da chi sperava di morire nella propria terra natale? A
sua madre, donna dai modi spicci, non piaceva che i panni sporchi
venissero lavati in scena. Erano cose di famiglia. Ha aspettato
morisse per smentirla. Ha aspettato il vuoto conseguente al lutto,
altra sofferenza, per sommarlo al bagaglio delle pene
fisiche e spirituali: quelle che rendono Banderas, qui regista
ipocondriaco dipendente dall'eroina e dal bisogno d'amore,
la sua ombra perfetta. L'attore, in odore di Palma d'oro,
presta all'amico gli alti e bassi di una collaborazione lunga
trentadue anni, una carriera in caduta libera e l'ansia
per il recente infarto. Più vicini anche anagraficamente, attore e
autore vengono conciliati dalla presenza di mamma Cruz: prosperosa
come la Loren, ascolta Mina e trascina il figlio in una splendida
caverna imbiancata dove conoscere le prime prurigini e il desiderio
di eccellere. Tornare lì, allora, dove tutto ha avuto inizio: lo
consiglierebbe tanto un maestro di scrittura creativa quanto uno
psicoanalista. Il risultato è un romanzo di formazione a ritroso, a
rovescio, da intitolare ai dolori del vecchio Almodóvar.
Un canto di Natale in cui sfidare i fantasmi dei capolavori passati,
attraverso un'accorata via crucis che con garbo presta le sue tappe
fondamentali ai meccanismi colti e godibili del melodramma. Mai
autoindulgente, semplice e frammentario, Dolor
y gloria
ondeggia fra gli antipodi del titolo. A metà fra gravità e
leggerezza, se ne va a colloquio ora con un attore arrivista che
all'improvviso, rievocando a teatro una passione giovanile, si erge a narratore di terzo grado; ora
con un indimenticato ex che una sera bussa alla porta, ripulito dalle
droghe e innamorato delle donne; ora con un imbianchino analfabeta
dalla presenza destabilizzante, con le mani d'oro e la bellezza
telegenica dello sconosciuto César Vicente. Dolor
y gloria è
tutto su Almódovar.
Non c'è migliore invenzione, infatti, dell'esistenza. Il copione sarà una tragedia o una commedia, domanderebbe
il medico curante? In combutta, Pedro e Antonio fanno spallucce per
godersi la vaga magia di questo sodalizio. Forse inferiore
ai lavori dei primi Duemila, ma destinato a rimanere uno dei film dell'anno. Perché, ho scoperto, alla sensibilità
del regista spagnolo non resisto: soprattutto se, finalmente, è più sé
stesso che mai. (8)
Sono
venuti a mancare trent'anni prima che nascessi, ma sono cresciuto con
le repliche dei loro sketch in bianco e nero: gli accenti esagerati
del doppiaggio italiano, gli sberleffi e i capitomboli di un cinema
muto che avrei imparato a comprendere soltanto all'università.
Nonostante l'abisso cronologico, infatti, per coloro che sono stati
bambini con me, Stanlio e Ollio non sono così diversi da Mr. Bean
o La Tata:
compagnia nei pomeriggi domenicali, quando fuori pioveva. La
fama, se meritata, rende immortali. Il leggendario
duo composto da Stan Laurel e Oliver Hardy non se la passò sempre bene. La loro amicizia conobbe
spiacevoli fraintendimenti e, nel dopoguerra, ormai rancorosi e mal in arnese, tornarono a malincuore a collaborare durante un tour in Gran
Bretagna. Amati ma in decadenza – vuoi anche la concorrenza dei nuovi mezzi d'intrattenimento, di Charlot,
Gianni e Pinotto –, i protagonisti si ritirarono gradualmente dalla
ribalta. Questo piccolo film è il loro canto del cigno. Cos'era di
loro mentre le luci dei riflettori stavano per spegnersi? Chi erano
gli uomini dietro i personaggi? Stanlio, uno straordinario Coogan,
preservava la collaborazione con assoluta fedeltà: fantasticava su
una parodia dissacrante ispirata a Robin Hood,
purtroppo mai andata in porto, e scriverà copioni per il duo anche
all'indomani della morte del collega. Ollio, il somigliante Reilly,
faceva invece i conti con gli acciacchi del fisico e gli strascichi
di un insospettabile tradimento professionale. Se ogni attesa, ogni
arrivo in stazione, ogni trovata pubblicitaria è uno sketch degno
delle loro celebri comiche, al contrario poco interessano ai profani i segreti del
lavoro produttivo, le chiacchiere verbose con gli addetti stampa, il frustrante andirivieni. L'emozione, innegabile, arriva al
cuore soltanto nell'ultima mezz'ora: colpa di una sceneggiatura troppo cauta
e televisiva, che per imperscrutabile volontà racconta poco. Nello stile di Marilyn e Film Stars Don't Die in Liverpool, ma clamorosamente inferiore a entrambi, l'atteso Stanlio e
Ollio potrebbe lasciare un po' delusi. Se non fosse per il mimetismo degli attori protagonisti, affiancati da due mogli
irresistibili. Se non fosse per le lacrime in
agguato, davanti a cotanto spirito di abnegazione, che fanno apprezzate molto
l'omaggio, meno il biopic, per la stima verso due stelle
splendenti – nonostante l'assenza del colore e la distanza
generazionale – che in fondo non si spegneranno mai. (6)
Dunque Stanlio e Olio è un film che non necessita di essere visto? A me incuriosiva tanto, sopratutto perché di queste due figure ho sentito parlare molto bene 😊 ci penserò 😉
RispondiEliminaVisto sì, è rapido e indolore. Magari non in sala?
EliminaAlmodovar ancora mi manca ma a Stanlio e Ollio ho voluto bene, nonostante qualche momento frettoloso e alcune imprecisioni. Sarà perché Ollio mi ha sempre ricordato tanto il nonno.
RispondiEliminaRivederli fa un certo effetto, inutile negarlo, ma alla base c'è purtroppo un film poco all'altezza. Peccato.
EliminaCredo che pure a me un ripassone del cinema di Almodovar non farebbe male per apprezzare al meglio questo, considerando che buona parte dei suoi titoli mi mancano...
RispondiEliminaChe ce la faccia o meno, spero di rimanere comunque anch'io folgorato. :)
Di Stanlio e Ollio, considerando che non li ho mai sopportati manco da bimbetto, mi sa invece che posso continuare a fare a meno.
Ti consiglio il recuperone. Pedro sta dando grande, grandissime soddisfazioni. Occhio, in particolare, a Parla con lei e Volver: i migliori!
EliminaDEvo andare a vedere il film di Pedro! Che voglia poi di rivedere il fiore del mio segreto. Il tuo voto mi rende impaziente.
RispondiEliminaCiao da Lea
Quello non l'ho visto.
EliminaConsigli, allora? :)
D'accordissimo su Almodovar, e ti invidio i recuperi. Visti davvero troppi anni fa ne conservo un bel ricordo ma poca memoria effettiva per i dettagli, i dialoghi. Per fortuna, il suo mondo e i suoi colori non sono sbiaditi.
RispondiEliminaA sorpresa, sono rimasta più incantata di te da Stanlio e Ollio, sarà per le scelte di unire sketch a realtà, per quell'amicizia che sfida il tempo e gli acciacchi. O sempre qui ricordi che va da sé, fanno venire a galla.
La promessa del 2020? Rivedere in fila i passati Almodovar!
EliminaAspettative altissime per il Pedrone, che pare tornato al suo meglio.
RispondiEliminaMeno per Stanlio e Ollio, ma guarderò anche quello, appena posso.
A parte lo scivolone con Gli amanti passeggeri, ti dico la verità, per me non ha mai perso troppo il suo smalto.
Eliminavoglio vedere questi film, spero di farlo al più presto ^_^
RispondiEliminaFammi sapere, Arwen!
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