Ambiziosa,
autoriale e impenetrabile, nell'anno dei fasti di Stranger Things
si era imposta a sorpresa come mia serie del cuore. Non l'avevo
compresa fino in fondo, eppure mi aveva commosso. Con le sue
coreografie ipnotiche e metaforiche. Con i suoi protagonisti indecisi
fra l'additare la malattia mentale della loro guida spirituale oppure
abbandonarsi al miracolo. Il finale, per me perfetto così, ci
doveva qualche spiegazione. The OA,
attesa al varco non senza timore, è tornata ad aprirci occhi e
mente, a prenderci in giro, con un nuovo arco di episodi. Se l'attesa
è stata ripagata, le si perdona anche il ritardo:
assolutamente necessario per riprendere le fila, stupirci e, a
tratti, superarsi. Prairie, la sempre incantevole Brit Marling, è
andata incontro a morte certa ma infine ci è riuscita: ha fatto il
salto in un'altra dimensione.
L'atterraggio ha avuto effetti collaterali: da un lato, infatti, deve
imparare a muoversi nell'esistenza dell'alter-ego Nina, imprevedibile
e viziosa; dall'altro, invece, fare i conti con il fatto che
Homer non sappia chi lei sia e con il pensiero che Jason
Isaacs, il folle che l'ha tenuta per sette anni rinchiusa, ricopra
anche lì un ruolo di potere. Prairie, ricoverata in un ospedale
psichiatrico, è prigioniera insieme alle altre cavie di Hap. Alle ambientazioni di Maniac
e Homecoming si
sovrappongono le vicende di un nuovo personaggio, un detective in cerca di un'adolescente scomparsa, e quelle dei compagni di
Prairie, commoventi liceali on the road reduci da un'amicizia impossibile da dimenticare. Due
dimensioni distinte, tre diversi piani narrativi: cosa
succederà quando si sfioreranno? The OA promette faville e
frustrazione. Di ripetersi. La seconda stagione rischia di
dire troppo, vero, e troppo presto. Fa sentire qui e lì la mancanza
dei suoi adolescenti: nonostante il surclassamento a personaggi
secondari, comunque, ci regalano gli attimi più struggenti –
saranno quelle danze affascinantissime, o forse il candore di chi si fida
ciecamente. Consapevoli dello strano patto narrativo, quest'anno si
lascia seguire con minori difficoltà. Guadagna ritmo, comprimari,
quesiti. Osa, contaminandosi con l'horror alla
Lynch e il leggero trash di fughe e feste mascherate. Il salto si fa
maggiore, somiglia a un volo impossibile su San Francisco. La totale
comprensione della visione è questione di
fede. Siamo punto e a capo, con lo stesso pugno di mosche e
un'immutata suggestione. L'epilogo non è che lo specchio riflesso
del precedente. L'interpretazione, al centro di dubbi prima fugati
e poi rinnovati, non è univoca. La serie, infatti, ha i
passaggi segreti e le zone cieche della casa degna di Hill House,
costruita da un ingegnere e da una medium, nella quale si imbattono i nostri protagonisti: giovani sognatori vi hanno
smarrito al suo interno il lume della ragione e le pareti,
sottilissime, promettono di collegarci a realtà alternative. Come
sarà il mondo dall'alto, visto dal rosone istoriato della facciata?
Prairie promette ai naviganti una visione d'insieme splendida e
destabilizzante, simile a quella di Neil Armstrong quando si voltò
in assenza di gravità e vide la terra. E The OA è proprio
una creatura aliena. Una serie lunare dove tutto è possibile, ogni
domanda è lecita, ma le risposte potrebbero negarcisi.
Questo la rende amata da qualcuno, odiata da altri. Ma una
provocazione intellettuale senza precedenti. (8)
Una
piccola comunità, due bambini scomparsi nel bosco, una famiglia che
si sgretola sotto il peso della tragedia. Un corpo viene ritrovato
presto, infatti; l'altro no. Il mistero dura
venticinque anni. Non ci saranno superstiti in casa
Purcell, ma due segugi, per fortuna, non smetteranno mai di chiedere, scavare,
provocare. Messa così, fatta eccezione per la suddivisione in tre
piani temporali, la trama è la stessa di un giallo come tanti: una
ricerca tanto delicata quanto preoccupante, di quelle che anche sul piccolo
schermo abbiamo visto e rivisto spesso. A onor del vero,
tutto è come appare. Ben poche variazioni sul tema, a parte
l'insolita parentesi dolce-amara con i protagonisti invecchiati, e
nessun guizzo fino all'ottava puntata. Non si può parlare di
delusione, eppure era lecito aspettarsi maggiore
complessità da un ritorno tanto inaspettato. Erano gli intrighi
difficoltosi, i personaggi criptici e gli spunti
di attualità la cifra stilistica di True Detective? Dal
momento che i pregi della prima stagione si erano rivelati anche i
difetti della seconda, la HBO ha ripiegato su una semplicità che
premia. Lineare non tanto nella struttura quanto nella
pianificazione, il mistero che sono chiamati a sbrogliare gli ottimi
Mahershala Ali e Stephen Dorff si protrae nel tempo – tanti buchi
nell'acqua, tante false risoluzioni e altrettante ripartenze –
anche se, come ci conferma l'epilogo, certe storie vanno avanti da
sé. Reduce del Vietnam e guardato con sospetto dal razzismo, Ali –
straordinario, al punto che verrebbe voglia di scommettere già su di
lui nella prossima stagione dei premi –
fa prima i conti con i conflitti d'interesse per la moglie
romanziera, poi con l'oblio della demenza. Il ritrovato Dorff, tutto
d'un pezzo anche sotto il trucco che lo appesantisce, è il classico
sbirro dai metodi poco ortodossi e la vita sentimentale sregolata,
nonostante spesso e volentieri i ruoli di potere si invertano: chi è
allora il poliziotto buono, chi quello cattivo? I ritmi sono quelli
lenti a cui ci siamo affezionati, i dialoghi ben scritti abbondano –
a sorpresa, questa volta affiora un'emozionalità sconosciuta – e lo scioglimento, immancabilmente, arriva. In un
cameo fotografico fanno capolino perfino McConaughey e Harrelson,
insieme all'ipotesi di traffici umani, ma siamo fuori pista. Come si
diceva, la serie si mantiene su stilemi classici. Un
colpo di cuore, allora, giunge davanti a quel finale che in rete
divide. Non mi spiego, sinceramente, il perché delle libere
interpretazioni fioccate qui e lì; le critiche di chi dice di aver
visto Pizzolato lavarsene le mani. Ci sono brividi, epifanie,
immagini, che percepiti attraverso la demenza del personaggio principale
sanno invece dare speranza e armi pacifiche a chi crede
nell'immaginazione; nelle seconde opportunità. C'è una confusione
di quelle buone a indicarti piazzole d'emergenza in questo
viaggio, rigorosissimo ma un po' anonimo, al termine della notte.
(7)
OA per ora non mi attira granchè, sono sincero.
RispondiEliminaSebbene ne riconosca l'originalità e la genialità.
TD3 devo vederlo, mi attira molto sia per la trama sia per la costruzione in tre fasi temporali.
Unica cosa: ma il caso trova una soluzione o lascia l'amaro in bocca?
Moz-
Lo trova, e l'ho adorato, anche se non bisogna aspettarsi arresti e spiegoni di sorta!
EliminaPurfect :D
EliminaMoz-
Fammi sapere!
EliminaOA: faville e frustrazione, dici bene. Un universo narrativo parecchio complesso che fa a gara con Dark, serie tedesca anch'essa affascinante. Sarà dura anche lì riprendere il filo.
RispondiEliminaEcco, quella mi manca. Recupero?
EliminaDark a me è piaciuta molto (come OA st.1 e TD1)..non so se/quanto apprezzerai il finale..(ti dico solo che pare già in cantiere la st.2)..
EliminaCon The OA continua ad essere questione di fede: potrebbe essere la serie più assurda e trash (che quel polpo, su) ma se ci si crede diventa un viaggio ipnotico che conquista.
RispondiEliminaLo stesso vale per True Detective, che sì racconta sempre il solito giallo, ma lo fa per me benissimo. I dialoghi di Pizzolato sono da incorniciare, il trucco e i protagonisti pure. Quel finale, poi, l'ho trovato così poetico che non ho voluto leggere troppo che se ne diceva nell'internet.
In effetti... Perché farselo spiegare? È la punta di diamante vera.
EliminaTutti mi hanno consigliato di vedere True Detective ma ancora non ho avuto modo di iniziarlo...sarà la volta buona? Ehhehe
RispondiEliminaRoba per te, Sonia!
EliminaSe mi dici così... ok a Maggio lo inizio ;-)
EliminaHo appena finito la seconda stagione di The OA e anche se fondamentalmente non c'ho capito nulla... l'ho amata. Spero davvero la rinnovino!
RispondiEliminaSperiamo, sì!
EliminaBellissima anche questa seconda stagione di OA per quanto mi riguarda, l'ho abbastanza centellinata per godermela maggiormente e alla fine sono riuscito ad assorbire abbastanza bene sia gli episodi sia lo schema narrativo, ampliato moltissimo rispetto alla prima parte.
RispondiEliminaTrue Detective ancora me la devo guardare, dovrebbe essere la prossima nella mia coda!
Facci sapere. ;)
EliminaThe OA si è confermata la cosa più assurda e geniale oggi in circolazione. Non ha deluso nemmeno me, e non era cosa facile. Mette tanta carne al fuoco, forse pure troppa, però poi ha trovato un nuovo finale fenomenale che potrebbe aprire la porta a una stagione 3 altrettanto pazzesca. E poi dovrebbero chiuderla, perché tutta questa genialità non può essere portata avanti ancora a lungo. :)
RispondiEliminaAnche True Detective 3 mi è decisamente piaciuta, più per le vicende dei protagonisti che non per il caso crime in sé. E anche in questo caso il finale è stato notevole. Io sono tra quelli che l'hanno apprezzato.
Non succedeva da un po', ma concordiamo!
EliminaTrue Detective mi è piaciuta molto, scritta benissimo - soprattutto le parti di coppia - e sempre pulsante.
RispondiEliminaDi OA, invece, ho una gran paura davvero.
Sulla coppia di detective non discuto, ma su Ali e l'irritante consorte...
EliminaVedo che alla fine hai ceduto alla seconda stagione di OA! Felice che ti sia piaciuta :D l'ho apprezzata anche io! (L'unica cosa che non riesco a perdonare è il polpo... troppo trash!)
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