The
end of the fucking world, di Charles Forsman
001
Edizioni, € 16, ★★
Li
ho conosciuti e adorati sul piccolo schermo. Li aspetto ormai da due
anni per una seconda stagione annunciata a ciel sereno. James e
Alyssa, parte di un'adorabile coppia di sociopatici, mi mancavano
abbastanza da volere dare un'opportunità alla loro controparte
cartacea: il fumetto di Charles Forsman, ispirazione per i primi otto
episodi, se ne stava abbandonato sul comodino di mio fratello, a casa
per le vacanze pasquali. Breve com'è, la curiosità di sfogliarlo ha
comportato necessariamente leggerlo in un'ora scarsa di un giorno
d'inizio settimana. Diciamolo subito: i tratti minimalisti e scarni
da rivista satirica non sono per tutti. Non per me, che del fumetto
ho imparato ad apprezzare di pari passo illustrazioni e contenuti. I
buffi schizzi antropomorfi dell'autore britannico, apparsi
inizialmente a puntate sul web e poi raccolti in un volumetto unico,
sono proprio i fidanzatini criminali in fuga dalla provincia
stagnante. Lui, dopo un'infanzia passata a uccidere e sezionare
furtivamente gli animali del vicinato, sperimenta senza grande
convinzione il sollievo dell'amore. Lei, finalmente distante da mamma
incostante e patrigno manesco, raggiunge un padre biologico che non
vincerà mai la palma di genitore dell'anno. Loro, teneri e
sconsiderati, s'imbattono in assassini, satanisti e segugi armati di
distintivo luccicante. Hanno quasi diciotto anni e, per farsi beffe
dell'apatia, si fanno forza grazie all'illusorietà della prima
volta: impossibile, forse, per degli squinternati dal cuore d'oro. La
lettura non si è rivelata delle più memorabili, anzi. Mi è parsa
un'occasione sprecata che, per fortuna, Netflix ha saputo far
fruttare con intelligenza e ironia. I protagonisti appaiono in
Forsman meno approfonditi, meno problematici. Abbozzati e
bidimensionali tanto quanto il tratto a matita del fumettista che li
ha ideati, sono irrisolti e sconosciuti fino all'ultima pagina. Dov'è
il loro background? Dov'è il punto di vista di Alyssa,
ridimensionato all'inverosimile per questione di brevità? The End
of the fucking world, su carta,
purtroppo non lascia granché. Né ricordi, né speranze, né
sollievo, in una spirale di violenza e nichilismo senza senso. Meglio
la versione telefilmica, sì. Con due attori più gradevoli (ma non
troppo) di questi bizzarri sgorbi in bianco e nero. Con due
personaggi più puliti (ma non troppo) dei disperati spruzzati di
sangue che, nello spirito di alcune produzioni indipendenti, non
troveranno mai riparo dall'apocalisse profetizzata nel titolo.
Coconino
Press, € 10, ★★★
In
un celebre saggio la scrittrice Virginia Woolf raccontava il lusso e
l'importanza di possedere una stanza tutta per sé. La necessità di
un cantuccio personale si fa sentire anche durante l'adolescenza,
nella provincia italiana degli anni Ottanta. Quando Giuliano e i suoi
amici scalcagnati, che suonano musica da ragazzacci e a volte
frequentano brutti ceffi, si vedono prestate le chiavi di un modesto
garage. Con quello che un garage – fucina di note e possibilità,
scrigno di un futuro quanto mai in forse – per un adolescente può
rappresentare a livello più profondo, metaforico. I protagonisti
hanno brutti tagli di capelli, bassi frastornanti e sale prove
improvvisate. Ce li racconta il solito Gipi acquistato in edicola lo
scorso inverno, che questa volta attinge a man bassa alla propria
giovinezza: a quattordici anni, infatti, era voce e tastierista in
una band hardcore. Giovanile, scorrevole, freschissimo, Questa
è la stanza è la sua prima
opera che mi ha ricordato meno la suggestione del romanzo e più la
sveltezza del fumetto. I colori restano tenui e uniformi, da mirare e
rimirare. La vicenda, invece, è di quelle sui migliori anni:
l'andamento, insolitamente lineare, presenta qui e lì toccanti cenni
personali. Nella descrizione della mamme arcigne e dei papà
sognatori è impossibile non scorgere quel vissuto che, titolo dopo
titolo, ho imparato a conoscere come le mie tasche: il padre
dell'autore era morto da poco. Questa è la stanza è
una commedia musicale energica e genuina, nello stile di
Sing Street, che funziona come
lettura a sé meglio delle altre opere di Gipi – complesse,
confinanti, collegatissime. Ma è soprattutto un altro modo per
concedersi un'occhiata alle spalle, al passato; per pensare agli
incoraggiamenti e agli insulti a mezzavoce di genitori indimenticati
che forse non conoscevano la Woolf, no, ma il bisogno di una via di
fuga sì. Meno sperimentale che altrove, troppo educato per parlare
di rock, questo Gipi minore incanta comunque con pennellate appena
accennate e moltissime parole in armonia. Dove i capitoli sono
scanditi da canzoni che parlano di noi, di loro, ma soprattutto di
lui. Dove la musica leggera ha una stanza per farsi arte e un
suo peso specifico.
Peccato per The End of the Fucking World... speravo che anche su carta rendesse bene e invece a quanto pare non tanto.
RispondiEliminaGipi vedo che ormai lo segui sempre più spesso, mentre io su di lui resto sempre più indietro... :)
I meriti, tutti degli sceneggiatori!
EliminaQuesto Gipi rock 'n' roll ti piacerebbe più degli altri. ;)
Ma il finale di The End of the fucking world? Aggiunge qualcosa all'ultima puntata?
RispondiEliminaIn realtà toglie.
EliminaQualsiasi speranza di un prosieguo...
pensavo di fare un pensierino al fumetto di The end of the fucking world, ma mi sa che ne farò a meno!
RispondiEliminaPassa ad altro, son sincero!
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