sabato 11 maggio 2019

Recensione [Strega 2019]: L'età straniera, di Marina Mander

L'età straniera, di Marina Mander. Marsilio, € 16, pp. 206 |

Milano città. L'insopportabile pigrizia delle vacanze estive. Il desiderio di fare una scappata sulla costa ligure per il piacere del mare nella bella stagione. In una famiglia disfunzionale ma di larghe vedute – di quelle con i preservativi in un cestino all'ingresso –, lo scostante Leonardo prova gusta nel dare sui nervi a una mamma troppo speranzosa e al suo compagno, un anonimo tassista amante dei passi a due. D'altronde, comprendiamolo: ha diciassette anni e ogni diritto di avere il mondo contro. Figlio degli anni Novanta e della democrazia progressista, patisce l'ingombro della verginità e la frustrazione per i sogni di gloria mancati: si sognerebbe l'epigono ribelle di Kurt Cobain, a cui somiglia perfino un po' per via della zazzera bionda, ma a rubargli il nirvana sono i drammi quotidiani. Prima il suicidio del padre, eterno Peter Pan scomparso in mare con addosso il suo pigiama migliore; poi la convivenza forzata con Florin, ragazzo dell'Est accolto in casa per l'inguaribile spirito da crocerossina della capofamiglia. Se Leo non è abbastanza adulto, Florin non è abbastanza bambino. Il nuovo compagno di stanza si prostituiva: ha piedini di fata, mani lunghe per soddisfare i piaceri altrui, frequenta cinema a luci rosse e quartieri sconosciuti. Accondiscendente fino al fastidio, si nutre di dolciumi preconfezionati e attira occhiate ora indifferenti, ora indignate. Il gatto di casa, un randagio, lo riconosce come padrone. La sofferenza degli altri, però, ci rende persone migliori?

Noi siamo una famiglia di larghe vedute e questo è un fatto importante perché, a forza di guardare più in là, è diventato sempre più difficile guardarsi negli occhi.

Se lo domanda a lungo il protagonista, che dovrebbe usare la compagnia di Florin – brutto e sfigato, citandolo – a proprio vantaggio. Con queste premesse potrà forse nascere un'amicizia sincera? Leo ci prova. E prova anche con l'analisi, con la marijuana a scopo terapeutico, ma la rabbia di vivere lo segue perfino in incubi dov'è messo sotto processo. Lui il giudice, lui l'accusato, lui l'accusatore. 
L'età straniera, finalista al Premio Strega, è l'apprendistato di un adolescente che deve capire come gira il mondo. Il narratore non crede nei mezzi termini, nelle sfumature di grigio, ma nella giustizia sì. Suona disilluso e antipatico, un nichilista provetto, ma fra sé e sé nutre speranze esagerate verso il futuro. Al contrario degli adulti, che gli insegnano il bene ma soprattutto l'utile. Al contrario del coinquilino extracomunitario, che parla poco perché in Italia purtroppo non ha voce. La scrittura verbosa e cervellotica di Marina Mander ci porta nel clou dell'irrequietezza. In un'età che sputa fuori parole ciniche e parole d'amore, riflessioni amareggiate e finali preferibilmente dolci.

E tu, Iwazaru, riesci a capire quanto mimetizzarsi sia vantaggioso? Bastano cento parole di vocabolario, dieci capi di vestiario, due o tre accessori non troppo cafoni, sono sicuro che mamma saprà indicarti quali, e tutti vedranno in te una personcina affidabile; confezionati bene anche se hai l'inferno dentro, impara un altro modo di spaccarti in due, ma senza mai darlo troppo a vedere, mi raccomando, è questo l'essenziale. E se dentro di te ci fosse davvero il nulla, rivestilo di diamanti.

La sua lingua, ben affilata contro il perbenismo e il politicamente corretto, spesso suona artificiosa. Mi ha ricordato quella di una Mazzantini più lieve ma a tratti irritante, fatta di allitterazioni e giochi, di stridori e parolacce. È la scrittura, in effetti, a dare il vero guizzo – una parvenza fortemente autoriale – a una commedia edificante a proposito di crescita e integrazione che al cinema vedrei bene sotto la direzione del bravo Francesco Bruni. Ma è proprio la scrittura, originale perché ardita, a non avermi conquistato. 
Benché l'autrice parli a nome di un diciassettenne senza falsi moralismi né censure, regalandoci nell'ultima parte la struggente lettera che Leo indirizza a sé stesso per il futuro, il suo romanzo di formazione resta un paradosso. Incentrato sul dialogo fra culture, di dialoghi ne ha stranamente pochissimi. Il protagonista e Florin non si parlano neanche a gesti. Il narratore, straripante e megalomane, ma almeno onesto, parla per tutti e due. I voli pindarici e gli sproloqui: quelli del Giovane Holden. Come già successo con il classico di Salinger, ne ho apprezzato la compagnia a piccole dosi, più in teoria che in pratica, trovandolo non sempre godibile eppure toccante nel suo imperscrutabile diritto all'egoismo. Perché Leo storpia il nome di Florin in Iwazaru, lo chiama scimmia per disprezzo, ma intanto si commuove davanti ai primati in gabbia allo zoo.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Jovanotti – Mi fido di te

6 commenti:

  1. Tra Kurt Cobain e Il giovane Holden, è il romanzo ideale per me!
    Spero solo che lo stile dell'autrice non risulti troppo irritante. Gli ingredienti perché diventi un mio cult personale ci sono.

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    1. Ecco, a te sono certo che Leo (come DiCaprio, altro tuo pupillo) piacerebbe moltissimo.

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  2. Avevo riservato certe aspettative per questo romanzo, vincitore del premio Strega. Ho però preferito dare la precedenza ad altre letture... E forse ho fatto bene in quanto il romanzo di Salinger non mi ha entusiasmato come speravo. E se questo ha vasti ricbiami a Il giovane Holden, beh.. Penso proprio passerò ☺️☺️

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    1. Non penso che arriverà fra i finalisti, consolati!

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  3. Potrebbe essere interessante leggere di questi due ragazzi apparentemente l'uno l'opposto dell'altro, e amando lo stile della Mazzantini (*_*), una chance a L'età straniera la darei...

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    1. Ho trovato che lo stile d'autore, però, cozzasse con la storia Young Adult. Riproverò con altro dell'autrice, magari una trama più impegnativa.

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