mercoledì 13 novembre 2024
L'amore secondo Netflix: Nobody Wants This | Heartstopper S03 | One Day
lunedì 4 novembre 2024
Recensione: Oliva Denaro, di Viola Ardone
È possibile consigliare un romanzo che non hai apprezzato? È quello che mi ritrovo a fare con Oliva Denaro: un grande successo di pubblico, forte di una struttura cinematografica e di tematiche così forti da non lasciare indifferenti. Anche quando ho storto il naso per le troppe frasi a effetto, per i comprimari troppo anacronistici, per le ambientazioni troppo stereotipate, infatti, mi sono scoperto commosso dal dramma della protagonista: sedici anni, impossibilitata a proseguire gli studi, oggetto delle attenzioni del ragazzo sbagliato. Ispirandosi liberamente alla vicenda di Franca Viola, Viola Ardone ci parla di disparità e consenso, violenza e aborto. Erano gli anni di Mina e delle Kessler alla TV. Ma, in Italia, essere donna era una condanna.
Non voglio sembrare più bella, non voglio seguire consigli, non voglio obbedire a nessuno più. A che è valso? Al posto delle tabelline e dei verbi irregolari avrebbero dovuto insegnarci a dire di no, tanto il sì le femmine lo imparano dalla nascita
Con il sopraggiungere del ciclo, nella routine della giovane Oliva cambia tutto: vietato correre forte, vietato indovinare la forma delle nuvole accanto all'amico di sempre. La sua bellezza in boccio attira gli sguardi di Pino, i capelli neri di brillantina e un fiore di gelsomino dietro l'orecchio: il giorno del loro incontro è colorato di inquietanti segnali. Scorrerà il sangue. Con capitoli brevi ed efficaci, l'autrice ci racconta di un'epoca non molto lontana in cui la verginità appariva il solo valore femminile e della rieducazione di un'adolescente inconsapevole, all'inizio, di essere la parte lesa. L'onore macchiato? Si era soliti correre ai ripari o con le nozze, o con la lupara. Tra dettagli folkloristici e scene dal forte impatto visivo, con tanto di piccole concessioni all'horror (gli animali ammazzati, il rapimento), Ardone affianca Oliva a personaggi macchiettistici: dall'amica comunista alla sorella vittima di percosse, fino ad arrivare a quel papà dolcissimo ma troppo sensibile per i suoi tempi. E cosa dire dei Paternò, gli antagonisti, che gestiscono una pasticceria proprio come i fratelli Solara?
La politica la facciamo tutti, in un modo o nell’ altro, ribatte, ogni cosa è politica: le nostre scelte, quello che siamo o non siamo disposti a fare per noi e per gli altri.
Ho avuto, a tratti, l'impressione di leggere un romanzo scritto con Elena Ferrante tenuta sul comodino. Una storia intensa, ma con il pilota automatico inserito, che osa qualche guizzo soprattutto nelle scelte lessicali volutamente colorite (a lungo andare, però, ho trovato ridondanti i vari: “Piccinna”, “Non lo preferisco”, “Sono favorevole”). Mi sono emozionato e indignato. Ho pensato di consigliarlo a mia madre e ai miei studenti. Ma lì dove l'esordio alla regia di Cortellesi osa una magnifica variazione sul tema, Ardone si adagia nella stesura di un compitino senza errori, più importante che bello. Il femminile singolare non esiste, pensa Oliva. Se le smentite devono passare attraverso questo romanzo, allora, ben venga. Non mi è piaciuto, ma all'interno ci ho trovato una ragazzina con un tacco rotto che trova il coraggio di camminare in direzione contraria. Io sono favorevole a Oliva; meno a come è stata raccontata.
martedì 29 ottobre 2024
Recensione: Figlia del temporale, di Valentina D'Urbano
| Figlia del temporale, di Valentina D’Urbano. Mondadori, € 20, pp. 312|
L'amore, per Valentina D'Urbano, è una cosa seria. In un mondo editoriale in cui parlare di sentimenti è guardato con pregiudizio, lei osa storie di amori assoluti, totalizzanti, tragici. Questa volta, a oltre dieci anni dal suo esordio, ci porta nell'Albania degli anni Settanta, su un altopiano popolato da uomini col fucile e donne al focolare. C'è un valico proibito a separare l'Albania dal resto del mondo. È possibile sconfinare? L'autrice, che nell'insuperato Isola di Neve aveva inventato con dovizia di particolari la geografia di un'isola che non c'era, è chiamata a rievocare i rituali di un piccolo mondo antico con l'approccio documentaristico del cinema di Maura Delpero. Le descrizioni sono meticolose come non mai. I costumi albanesi ci si svelano nel loro fascino e nelle loro contraddizioni: si legge il futuro nei fondi di caffè, durante le nozze le spose vestono di rosso e gli sposi ricevono in dote una cartuccia di fucile, e qualche volta le donne possono sfuggire a un destino prestabilito rinunciando per sempre alla loro femminilità. Le chiamano vergini giurate. La protagonista, Hira, è una di loro.
La natura la puoi nascondere, però non la puoi fermare.
Quand'è che una ragazza di città come lei, figlia di un comunista prezzolato, si è trasferita sulle Montagne Maledette? Perché si è rasata i capelli, si è trasferita in un tugurio e ha fatto suo un nome di lupo, un nome di maschio: Mael? Prima del rifiuto di essere sposa o madre, sono necessarie duecento pagine in cui la natura è la protagonista incontrastata: anche a discapito della trama. È lì, tra gelate, miseria e retate, che Hira si scopre attratta dal cugino Astrit: un ragazzo silenzioso come uno spettro, per il quale la montagna non ha segreti e il cui lessico sentimentale è fatto di morsi e grugniti, di tenerezza mista a ritrosia. Più trattenuta, D'Urbano fa sua la reticenza di un'altra cultura. L'intreccio si assottiglia, e si ha la sensazione che troppo sia stato riassunto in quarta di copertina. Lo sguardo, sempre riconoscibile, è fisso su un personaggio talmente forte che le sue scelte, a tratti, appaiono radicali, troppo repentine. Il tema delle vergini giurate, centrale in un bel film di Laura Bispuri, ha un potenziale non completamente sfruttato.
Anche le bestie a volte non sono capaci di stare da sole.
Si sarebbe potuto parlare di rapporti di genere, perfino di omosessualità o disforia all'occorrenza. L'amore tra Hira e Astrit ricalca invece quello tra Alfredo e Beatrice, Celeste e Nadir, lasciando che l'aderenza ai precetti del Kanun diventi poco più che un espediente: il giuramento, infatti, è il mezzo per rendere ancora più ostacolato un amore già impossibile. Ma la natura, per fortuna, è inarrestabile. Anche quella umana. E il seno strepita, anche quando compresso nelle bende. E il sangue mestruale scorre, anche in calzoni maschili. Allo stesso modo appare contro natura arrestare il desiderio, in un romanzo in cui c'erano i prerequisiti per parlare più approfonditamente di dinamiche rimaste inedite.
Il mio consiglio musicale: Beyoncé - If I Were A Boy
lunedì 21 ottobre 2024
Il cinema delle donne: Vermiglio | Love Lies Bleeding | Gloria! | I Saw The TV Glow | Blink Twice
lunedì 14 ottobre 2024
Recensione: Il male che non c'è, di Giulia Caminito
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Il male che non c’è, di Giulia Caminito. Bompiani, € 18, pp. 272 |
Parte tutto da un refuso nella newsletter della casa editrice per cui lavora. Un apostrofo fuori posto e Loris, trent'anni, precario, finisce schiacciato sulle mattonelle del bagno. Il fiato corto, il cuore impazzito, un uovo dal guscio duro che gli si schiude all'improvviso sul fondo della pancia. Lo conosciamo steso tra il lavandino e il bidet, all'alba dell'ennesima crisi. Al di là della porta chiusa c'è Jo, l'eterna fidanzata, che spererebbe in un compagno più tonico, più intrepido, più appassionato. Seduta sulla lavatrice, invece, c'è la sua amante immaginaria: si chiama Catastrofe, spiazza con trasformazioni imprevedibili e somiglia alla versione horror di una delle emozioni di Inside Out. È lei a comunicargli che presto o tardi esploderà. Cosa si nasconde dietro i mal di pancia, i tremori, le ossessioni di Loris? Schiavo della melatonina e dei fermenti lattici, prigioniero dell'inferno di sé stesso, invidia il codice rosso dei feriti a morte, si nutre di tragiche storie vere sui forum e su YouTube, origlia con astio i suoni di un vicino di casa che suona, scopa e vive senza pudore. A un certo punto dichiara che preferirebbe una malattia terminale al pressappochismo con cui, ormai, lo liquidano i medici.
Cosa succederà a quel ragazzino nella foto lui non lo sa, eppure non può fare niente per salvarlo, né da sé stesso né dal dolore, perché così avviene: il male arriva e passa schiacciando e livellando, deviando il corso del fiume che sei stato.
Sarebbe facile biasimarlo, considerarlo empio e vittimista, ma la verità è che quest'ipocondriaco con cui parrebbe impossibile empatizzare ha la mia faccia allo specchio, le mie identiche crepe. All'inizio ho corso il rischio di divorare la sua storia. Poi ho rallentato, per la paura di essere divorato. Il lockdown sembra accaduto una vita fa, ma l'altro giorno ho trovato una vecchia mascherina nella tasca del doppiopetto. E ho ripensato a quand'ero come Loris, ai capelli sporchi e alle clavicole sporgenti, ai libri letti bulimicamente e ai siti porno consultati in cerca di un'eccitazione che non sopraggiungeva. A un lavoro che, nell'immobilismo generale, non arrivava. Dopo tanta paura della malattia, il contagio, infine, era giunto con carico di delusione: una febbriciattola che non mi avrebbe ammazzato — per fortuna, purtroppo. La mia stanza, intanto, era diventata una cella dove enumerare le figuracce, i rimorsi, i ricordi; il corpo un campo di battaglia. Durante la lettura mi sono materializzato alle spalle di Loris e, io che ci sono passato, io che a volte ci passo ancora, ho rubato il posto a Catastrofe nell'ascoltarlo, scuoterlo, stringerlo forte. Se non fosse così brava, Giulia Caminito risulterebbe respingente. È il rischio che corre chi sceglie personaggi scomodi e pone al centro, senza fronzoli, la malattia: queste volta, per di più, una malattia reputata immaginaria. La sua scrittura, di chirurgica esattezza, è la sonda nelle viscere di Loris. Cerca il male, Giulia. Insegue il ticchettio della bomba e medita un modo per disinnescarla, lei che ha strumenti da artificiera. È nella ricerca, però, che trova anche la luce che resta.
Si era sempre immaginato accanto a lei, ma da soli. Loro due come una diade tenace, un microcosmo autosufficiente.
Loris, anestetizzato, se ne sta rannicchiato in posizione fetale e torna neonato, embrione, spermatozoo. Vive un'evoluzione a rovescio. Il suo lamento diventa un romanzo intimo, privatissimo, pieno di simboli e dolori, in cui il passato è l'unico baluardo sicuro contro un presente sismico. Laggiù c'è un nonno che ci spiega la vita attraverso l'osservazione delle voliere e che ci rivela, all'occorrenza, i segreti degli innesti felici. Serve colla abbondante affinché la vita attecchisca; serve pazienza, poi, affinché fiorisca nella pelle di una corteccia estranea. L'autrice romana si fa portavoce di quei segreti — suo nonno, a cui il romanzo è dedicato, doveva somigliare molto a Tempesta — e li condivide generosamente con noi, pur di vincere la solitudine che l'ansia chiama a sé. Firma, così, un romanzo ben più misurato del precedente, in cui trova finalmente spazio vitale una generazione che finora non c'era sui libri: quella affetta dal male che non c'è. Giulia Caminito ci ha salvati dall'estinzione.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Gazzelle - Destri
lunedì 7 ottobre 2024
Recensione: Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre, di Irene Solà
Cosa succederebbe se David Eggers, il regista di The Witch e The Lighthouse, dirigesse una sceneggiatura firmata dal fantasma di Gabriel Garcìa Màrquez? La bravissima Irene Solà, autrice catalana già di culto presso i millennial, sembra mostrarcelo in questo incubo a occhi aperti. Un po' menestrello, un po' strega, ci apre le porte di una saga familiare fosca e oscena, i cui personaggi si muovono in un limbo brulicante di insetti. Siamo in una stamberga sui Pirenei. Il casolare del Mas Clavell è paragonato a un corpo in decadenza, le stanze a una bocca guasta. È una proverbiale notte buia e tempestosa e, costretta a letto, la vecchia Bernadeta attende la morte: non è il paradiso che la attende. Veggente, è stata l'amante del Maligno in persona e una degli ultimi membri di una famiglia di donne irredente. Eccole, riunite intorno al capezzale, pronte a trascinare la parente inferma all'inferno. Hanno sgozzato un capretto. E disordinatamente, confondendosi coi vivi, si sono raccontate senza filtri al lettore. Vissute a cavallo tra le due guerre, appartengono a una progenie maledetta: nel loro DNA c'è il gene della mancanza, dell'abbandono.
Perché di mattino una donna ingenua poteva illudersi che la notte fosse finita. Mentre la notte non finiva mai, attendeva di nascosto e faceva sempre ritorno.
Solà ci propone un carosello spettrale di orgogliose peccatrici e, sondando le ombre, ci intrattiene con bambini divorati nella culla, abusi e mattanze, selve popolose di belve e briganti. Per leggerla è vietato essere impressionabili: gli argomenti scabrosi abbondano e poco è lasciato all'immaginazione. Il suo romanzo è una carogna che disgusta, eppure, misteriosamente, attrae. Come volgere lo sguardo altrove? Schiavo del turbamento, ho subito tessuto le lodi di una scrittura ritmica e fortemente suggestiva: sensuale perfino nell'orrore più turpe. Il difetto è che la trama non presenta una vera evoluzione e che, fino all'ultima pagina, aspettiamo soltanto l'ultimo rantolo di Bernadeta. Eccessivamente barocco, prima affascina e poi affatica, con uno stile densissimo e un albero genealogico troppo ramificato per duecento pagine scarse. Si respira un sentore di decomposizione. Ma anche l'odore del soffritto che intanto frigge in padella: cipolla, lardo, cannella. C'è una festa da preparare. Alienate dal mondo, mosse da attrazioni incestuose e fantasie di zoofilia, le donne di casa sghignazzano delle diavolerie dell'epoca contemporanea e nutrono nostalgia per gli eccessi che furono. Sono vittime inermi del Secolo breve o femministe all'avanguardia, in un passato in cui altrimenti non avrebbero avuto voce? Il loro sabbat è un commiato senza speranze in cui le tenebre sono l'unico spettacolo da rimirare; l'unica coperta abbastanza lunga da stringerle tutte insieme ancora una volta.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Thom Yorke – Volk
martedì 1 ottobre 2024
Recensione: Elizabeth, di Ken Greenhall
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Elizabeth
di Ken Greenhall. Adelphi, € 19, pp. 173 |
Seduta
in soffitta, a gambe incrociate, studia il suo riflesso allo
specchio. Bellissima, mostra più dei suoi quattordici anni. La
minigonna mette in mostra le gambe tornite e una ferita ancora
fresca: è il morso di un ragno. Dall'altra parte della finestra New
York è una foresta di grattacieli. All'improvviso sullo specchio si
proietta l'immagine di un'altra donna: proviene da un'altra epoca, il
Cinquecento, e da un'altra dimensione. Ha inizio, così, un dialogo
strano e perturbante tra due generazioni lontane; tra un'allieva e la
sua guida. Come si diventa una strega? Elizabeth è un'alunna
provetta. Responsabile della tragica morte dei genitori, ha uno zio
per amante e un'istitutrice inglese che pende dalle sue labbra.
Nessuno — lettore compreso — può resistere ai suoi desideri
mostruosi e alla sua oscura libidine. La seduzione è un'arma. Fin
dove si spingerebbe per imparare a tracciare formule magiche con il
suo rossetto scarlatto?
Tutti
abbiamo diritto ai nostri segreti. Potremo forse affrontare il mondo
con un minimo di sicurezza, senza la giusta dose di conoscenza non
condivisa? La conoscenza di ciò che succede tra due persone nel buio
di una stanza?
Accolta
in un'antica famiglia di armatori navali, vivrà un soggiorno da
brividi nella casa di Coenties Slip: vi seminerà turbamento e
scompiglio. Come in ogni gotico degno di questo nome, non possono
mancare all'appello stanze piene di specchi; feroci animali domestici
contro cui accucciarsi per prendere sonno; un omicidio consumato con
un candelabro d'argento. Ken Greenhall, contemporaneo di Shirley
Jackson, debutta in Italia a dieci anni dalla sua morte con un teen
horror esile ma dalle atmosfere suggestive, delirante nel contenuto
ma elegantissimo nella forma. Al di sopra del bene e del male,
contorto e sessualmente ambiguo, il romanzo è un covo di desideri
inconfessabili su una ninfetta irrequieta: dietro il fare provocante,
però, come ogni adolescente, sogna di vivere una vita straordinaria
o un amore che appaia meno soffocante dell'odio. Abbraccerà la sua
eredità o la avverserà? L'epilogo, frettoloso, lascia con la
sensazione che nella giovinezza della protagonista ci saranno altri
misfatti, altri colpi di fulmine, altre scoperte. Quanto sarebbe
soddisfacente saperne di più, leggerla ancora? Come l'antieroina di
Goliarda Sapienza, costi quel che costi, Elisabeth punterà a
ottenere la sua personale parte di gioia. Sarà, però, la dannazione
dei più. La lettura del vostro prossimo Halloween è presto servita.
Il
mio voto: ★★★
Seduta in soffitta, a gambe incrociate, studia il suo riflesso allo specchio. Bellissima, mostra più dei suoi quattordici anni. La minigonna mette in mostra le gambe tornite e una ferita ancora fresca: è il morso di un ragno. Dall'altra parte della finestra New York è una foresta di grattacieli. All'improvviso sullo specchio si proietta l'immagine di un'altra donna: proviene da un'altra epoca, il Cinquecento, e da un'altra dimensione. Ha inizio, così, un dialogo strano e perturbante tra due generazioni lontane; tra un'allieva e la sua guida. Come si diventa una strega? Elizabeth è un'alunna provetta. Responsabile della tragica morte dei genitori, ha uno zio per amante e un'istitutrice inglese che pende dalle sue labbra. Nessuno — lettore compreso — può resistere ai suoi desideri mostruosi e alla sua oscura libidine. La seduzione è un'arma. Fin dove si spingerebbe per imparare a tracciare formule magiche con il suo rossetto scarlatto?
Tutti abbiamo diritto ai nostri segreti. Potremo forse affrontare il mondo con un minimo di sicurezza, senza la giusta dose di conoscenza non condivisa? La conoscenza di ciò che succede tra due persone nel buio di una stanza?
Accolta in un'antica famiglia di armatori navali, vivrà un soggiorno da brividi nella casa di Coenties Slip: vi seminerà turbamento e scompiglio. Come in ogni gotico degno di questo nome, non possono mancare all'appello stanze piene di specchi; feroci animali domestici contro cui accucciarsi per prendere sonno; un omicidio consumato con un candelabro d'argento. Ken Greenhall, contemporaneo di Shirley Jackson, debutta in Italia a dieci anni dalla sua morte con un teen horror esile ma dalle atmosfere suggestive, delirante nel contenuto ma elegantissimo nella forma. Al di sopra del bene e del male, contorto e sessualmente ambiguo, il romanzo è un covo di desideri inconfessabili su una ninfetta irrequieta: dietro il fare provocante, però, come ogni adolescente, sogna di vivere una vita straordinaria o un amore che appaia meno soffocante dell'odio. Abbraccerà la sua eredità o la avverserà? L'epilogo, frettoloso, lascia con la sensazione che nella giovinezza della protagonista ci saranno altri misfatti, altri colpi di fulmine, altre scoperte. Quanto sarebbe soddisfacente saperne di più, leggerla ancora? Come l'antieroina di Goliarda Sapienza, costi quel che costi, Elisabeth punterà a ottenere la sua personale parte di gioia. Sarà, però, la dannazione dei più. La lettura del vostro prossimo Halloween è presto servita.