Era
stato etichettato come l'horror dell'anno ancora prima di arrivare al
cinema. Al battage pubblicitario, poi, si sono aggiunti
gli incassi: sorprendenti, soprattutto in estate. Che fine hanno
fatto diciassette bambini scomparsi nel cuore della notte? Per venire
a capo del mistero, Cregger confeziona un film a capitoli, lungo e
ambizioso, in cui punti di vista diversi si intrecciano in
preparazione del finale: intrattenente, ma al di sotto delle
aspettative. Servivano due ore che oscillano dal mystery al grottesco
fino allo splatter più puro? Serviva una struttura-puzzle che poco
spiega dei personaggi e troppo a lungo maschera, rimanda, dissimula
una verità soprannaturale? Più derivativo del previsto — una
versione blockbuster di Longlegs,
con cenni a Stephen King —, Weapons
punta all'iconicità con le sue corse a braccia larghe e le
apparizioni terrificanti di zia Gladys. Ma si limita a riproporre in
chiave contemporanea le fiabe più oscure dei Grimm, trasformando in
una folle corsa a zig-zag un cammino altrimenti linearissimo.
Qualcuno si sentirà preso in giro. Qualcuno, invece, si divertirà.
Io, nel mezzo, aspetto Together
— e mi tengo stretti gli altri film del post. (6,5)

L'horror
è il genere che meglio si presta a cambiare pelle. A tormentare. A
sviscerare ciò che fa più male. È il caso di Bring
Her Back, ritorno alla
regia del duo di Talk to
Me, che attraverso una
trama archetipica — due fratellastri ospiti di una strega cattiva —
fruga nelle viscere degli abusi familiari, della disabilità, del
trauma, del lutto. Scritto come una fiaba nera, lascia i protagonisti
in balia di Sally Hawkins. Sottovalutissima, regala
un'interpretazione destinata a trasformarla in una delle villain più
memorabili del cinema recente. Coi suoi rituali, con le sue
videocassette sgranate, fa una paura matta. E  spezza il cuore, in un
film dove il sangue — copioso, forse inutilmente — è un inganno
per inchiodarci a una parabola alla Hereditary
sull'insostenibilità di certe perdite. Non esiste un termine per
definire una madre che ha seppellito la propria figlia. Ed è proprio
in questo vuoto lessicale che l’horror affonda le mani. Allora non
resta che affidarsi al cinema di genere, alla magia nera, per dare
una forma — per quanto mostruosa — a tutto ciò che il dolore
rende contro natura. (8)

Può
un film pieno di morti essere un inno alla vita? Me lo chiedevo
l'anno scorso, davanti al prequel di A
Quiet Place.
L'interrogativo, insieme alla commozione, mi ha seguito anche in 28
anni dopo. Il
Regno Unito continua a essere il focolaio di un contagio. I
protagonisti utilizzano la terraferma come terreno di ricognizione.
Ci sono un padre col complesso dell'eroe (Taylor-Johnson, di nuovo
con arco e frecce), una mamma malata (Comer: da nomination) e,
soprattutto, un dodicenne contro le regole (l'esordiente Williams,
straordinario). Garland stupisce con un romanzo di formazione
sanguinoso ma delicatissimo, dove abbondano i cenni alla
contemporaneità — il Covid e la Brexit, la mascolinità tossica e
l'eutanasia — e Boyle può ricordarci di essere tra i più grandi
registi viventi. Tornato alla regia della serie, alterna una prima
parte iperviolenta a un prosieguo dal lirismo struggente, dove la
vita si annida dappertutto e le ossa impilate ci ricordano che la
morte e l'amore, forse, non sono che due teschi della
stessa medaglia. (7,5)

Da
adolescente, a torto, l'ho sempre trovato la copia sbiadita della
saga di Scream.
Il tempo mi ha dato torto. A sorpresa, So
cosa hai fatto è
invecchiato meglio del previsto, e quello arrivato al cinema a metà
luglio — a cavallo tra sequel e remake — è un ritorno alle
origini che ho trovato delizioso. Il merito spetta a una scrittura
fresca e genuinamente divertita, che dialoga con le commedie splatter
e omaggia le atmosfere anni Novanta senza però scordare i colpi di
scena. Il nuovo cast, in cui brilla l'esilarante Madelyn Cline, si
muove sulla vecchia scena del crimine. Tornano i superstiti
dell'originale — iconico il cameo di Sarah Michelle Gellar —, ma
in un film dove il passato torna a mietere vittime non c'è troppo
spazio per la nostalgia. I ricordi ci ammazzeranno tutti. Per
fortuna, quelli del film di Jennifer Kaytin Robinson ci hanno salvato
dalla noia delle uscite in sala. Da vedere possibilmente al cinema,
tra i risolini delle ragazzine e gli avanzi di popcorn. (7)

L'incipit:
tra i più classici. Due ragazze giovani e belle bussano alla porta
di un uomo misterioso in un giorno di pioggia. Potrebbe essere il
prologo di uno dei tanti torture porn. Heretic,
invece, è un horror psicologico arguto, cerebrale, originalissimo.
Sophie Tatcher e Chloe East sono una coppia di missionarie e Hugh
Grant, qui nel ruolo di uno dei villain più memorabili degli ultimi
anni, è un padrone di casa che le costringe a un sadico gioco di
ruolo. Ai fiumi di sangue, i registi Scott Beck e Bryan Woods
preferiscono quelli di parole. Pur non disdegnando scantinati oscuri
e stilettate, curano un gioiello dalle atmosfere teatrali e dalle
riflessioni caustiche. Il loro film – frutto di dieci anni di
lavoro – sintetizza le contraddizioni delle tre grandi religioni
monoteiste come un piccolo manuale di teologia, e ci dice che il
cristianesimo è solo la copia di mille riassunti. Quale sarà il
prossimo aggiornamento? Chi saluteremo come nuovo Messia? Io ho fede
in A24. E nell'horror come metafora massima della vita,
della morte e di ciò che, sfuggente, c'è nel mezzo. (7,5)
 
 
A parte I know what you did last summer, che però mi ha stupita in positivo, visto che i prequel non mi hanno mai entusiasmata, c'è il meglio dell'horror recente qui.
RispondiEliminaAnche se me lo ha spezzato, il mio cuore va a Bring her Back, ma Weapons lo segue subito dopo, l'ho trovato sorprendente.
Weapons: non si prende sul serio, o almeno così sembrerebbe ma lo tocca superficialmente per farci andare più a fondo. Tra i vari horror 'autoriali' dove sembra in virtù del nome si possa propinare di tutto, scelgo la leggerezza intelligente. Poi certo possiamo fargli le pulci, il film presta il fianco; ma è un horror suvvia.... (7/8)
RispondiEliminaBring her back: mi aveva colpito Talk to me, poi i registi vogliono alzare l'asticella per picchiare forte. Nonostante ciò l'ho trovato inutilmente inquietante tanto da smorzare la mia emotività rimasta alquanto freddina; per fortuna, direi, a lasciarsi trasportare c'è da star male; la mia razionalità ha tenuto botta. (7+)
28 anni dopo: piaciuto in parte, non totalmente e lo vorrei rivedere. La seconda parte l'ho apprezzata meno nonostante l'intensità ma attendo il sequel sperando non sprechi i semi gettati buttandola in caciara. Il finale mi ha lasciata basita, non in sintonia con l'atmosfera creata. (7 1/2)
Heretic: intelligente e ben scritto, forse un argomento un po' sfruttato, ma avercene...(7+)
Ne manca uno che non ho visto. Giudizi della prima visione che possono cambiare col tempo certamente.
Ciao Michele!
Anche per me Weapons così così... parte bene, ha qualche buona idea, ma pure diversi momenti meh :)
RispondiEliminaPurtroppo non mi ha convinto nemmeno Bring Her Back. Ho apprezzato di più il nuovo So cosa hai fatto, nel suo essere senza grandi pretese e nel suo non prendersi troppo sul serio, e soprattutto Heretic. Inquietante, sì, ma fa pure riflettere parecchio.