Autrice:
Patricia Highsmith
Editore:
Bompiani
Numero
di pagine: 284
Prezzo:
€ 10,00
Sinossi:
Therese,
19 anni, è un'apprendista scenografa che, per raggranellare qualche
soldo, accetta un lavoro temporaneo in un grande magazzino durante il
periodo natalizio. Il suo rapporto sentimentale con Richard si
trascina stancamente, senza alcuna passione tra voglia di
coinvolgimento e desiderio di fuga: anche il viaggio che hanno
progettato in Europa ora la intimorisce. In una gelida mattina di
dicembre, nel reparto giocattoli dove lavora, compare una donna
bellissima e sofisticata, in cerca di doni per la figlia. I grigi
occhi della sconosciuta catturano Therese, la turbano e la soggiogano
e d'un tratto la giovane si ritrova proiettata in un mondo di cui non
sospettava nemmeno l'esistenza. È l'amore che le due donne si
apprestano a vivere.
La recensione
Il
Natale ricorda alla timida Therese l'abbandono della madre e una
fredda infanzia passata in istituto. I momenti di aggregazione, di
felicità forzata, acuiscono in lei il senso di vuoto, risvegliando i
ricordi di una vicina adolescenza, spesa tra mancanze e sacrifici.
Sfortuna vuole che la diciannovenne, in attesa di fiorire, lavori sotto le feste al reparto giocattoli di un grande magazzino, nel
cuore di New York. In attesa del lavoro che sogna – si vedrebbe
scenografa a Broadway, ma la gavetta è lunga e Therese ha i piedi ben piantati a terra; si fa quel che si può -, impacchetta regali
per borghesi grassi, paonazzi e felici, con un ridicolo cappello di
Babbo Natale in testa e lo sguardo malinconico, che esprime tutto ciò
che non ha mai avuto. Finché, dall'altra parte del negozio,
che fa un pensierino su una prodigiosa locomotiva realizzata a mano,
non vede una splendida venere in visone. Di La vita di Adele, tra i film più memorabili e
controversi del nuovo decennio, non ricordo tanto le discusse
scene di sesso, la furibonda reazione al tradimento, il doloroso
ultimo addio, ma l'incontro. Una scena in cui ho visto che accadeva, che
cadeva, il colpo di
fulmine. Adele incrocia al
semaforo la ninfa dai capelli blu, Emma; non la conosce e, fino a un
attimo prima, non ha mai creduto di potersi innamorare di un'altra
donna. Eppure, d'istinto, si volta e la cerca. Ma i pedoni si
muovono sulle strisce, ché è scattato il verde, e quella ragazza è
un lampo blu, distante. Si sarà voltata a cercarla? Si rivedranno
ancora? Carol, similmente, gioca nervosa con i guanti: bionda,
bellissima, lontana anni luce. Questione di un secondo, il sollevare
gli occhi verso l'altra. E la cassiera pensierosa e la facoltosa
signora in pelliccia, madre di famiglia in lotta per l'affidamento,
sanno che è tardi, ormai, per tornare indietro. A volte, basta uno
sguardo rubato. A casa, Therese ha però Richard: fidanzato premuroso
e gentile. Lei gli vuole bene e nulla di più. Sono andati a letto
insieme. Qualche volta, si tengono per mano a Central Park. Lui parla
di matrimonio, lei – dubbiosa – non risponde ai suoi ti amo. Non
gli dà false speranze, né sa dirgli arrivederci; impara a vivere
senza di me, arrenditi. Carol, olio per gli ingranaggi della
narrazione, ragione del tutto, è una figura con lo charme e il
mistero delle donne dei noir vecchio stile. Quelle che, nei film in
bianco e nero, immagino in attesa nelle stazioni ferroviarie, tra i
fumi caldi dei motori.
Fresca di divorzio, con una migliore amica – si mormora nei salotti – un po' troppo intima e una bambina che la legge pensa stia meglio lontano da lei. Di poche parole, sfuggente per natura: poco protagonista, nel romanzo che eppure porta impresso il suo nome aristocratico. E in un amore che a lungo, leggendo di loro, appare però opportunista e a senso unico. L'omosessualità era una patologia incurabile, un bacio nel privato era oltraggio e, se amavi un altro come te, dovevi scendere una fermata prima, in metropolitana, e incrociarlo a metà strada. L'importante era non destare sospetti. Patricia Highsmith, autrice della celebre serie su Ripley e i suoi ingannevoli talenti, racconta un amore saffico sotto falso nome. Carol, coraggioso e provocatorio per la sua epoca, nasce come romanzo psicologico nei primi anni cinquanta, ma riesce a metà. Un sentimento sospirato, sbrodolato, patito, che ha qualche languore – e qualche avverbio di modo – superfluo. A lungo, fino alle ultime pagine, le protagoniste non si capiscono. Chiacchierano, fumano, vanno a zonzo in auto. Meta finale, l'eduzione sentimentale di Therese; la sua crescita. Sembrano irresponsabili, fatue e il mondo circostante, che non mi è parso nemmeno così omofobo e maschilista, reagisce non tanto al loro legame, quanto all'abbandono del tetto familiare.
Ho provato poche emozioni, se non a mente lucida, e una strana compassione per i pochi personaggi maschili: come Richard, innamorato non corrisposto e messo in un angolo. In pole position nella corsa agli Oscar, dopo i fasti a Cannes, Carol appassiona e strugge di più in sala. Caso raro, al pari de I Segreti di Brokeback Mountain, in cui alcune storie trovano al cinema la loro dimensione perfetta. Nel primo caso perché più commoventi, in questo perché meno stucchevoli, tanto è l'aplomb nella magnifica confezione. Troviamo uno sviluppo identico, ma personaggi cambiati in meglio. Rooney Mara, vulnerabile e acerba il giusto, non è una scenografa, ma cattura attimi in foto. Cate Blanchett, perfetta, è una Carol più protagonista e approfondita. Le due, con i ruoli cuciti a pennello e una tenerissima intesa, si rubano premi – la Mara, in primavera, ha vinto la Palma d'oro, e per me neanche troppo meritatamente - e scena. Ma la Blanchett è irraggiungibile quanto l'ultima diva superstite. Magnetica, affascinante come nessun'altra, regala alla sua Carol la mancata dimensione materna e tutta la vulnerabilità consentita. Ogni tanto è struccata, spettinata, “in borghese”: meno orgogliosa, approdata tra i comuni mortali. Le due donne, prima amiche e poi amanti, scappano in macchina dalle festività, dagli impegni a lungo termine, dagli occhi indiscreti. Thelma e Louise in una foto vintage, un detective privato sulle loro tracce, una fuga – d'amore – on the road: oltre il pregiudizio e i vetri appannati dei taxi. Splendide, loro, come in un quadro da museo. Carol è un racconto dolceamaro, dunque, a cui il regista di Lontano dal paradiso conferisce solidità e delicatezza. Tenue e carezzevole, nelle generose forme femminili e nei toni sommessi. Un melò sospeso nel tempo, che si guarda con occhi attenti, ma ammaliati e l'accompagnamento della straordinaria colonna sonora di Carter Burwell, che di questo rapporto non condannato per forza all'infelicità sottolinea il senso di struggimento e la connaturata classe. Più vistoso, comunque, che emozionante. Avete forse dimenticato la morsa allo stomaco nel vedere Heath Ledger stringere al petto la camicia del cowboy Jake Gyllenhaal? I baci caldi e le calde lacrime di Lèa Seydoux, che si trasforma in belva davanti alla confessione dell'infedele Exarchopopoulos? Qui, atmosfere affascinanti e morbide, suggerite prima dalla prosa ricamata – anche troppo, a tratti – di Patricia Highsmith, poi dalla regia da maestro di Haynes – anche troppo, a tratti. Luci ovattate, un pianoforte che suona in un angolo defilato, specchi per ottenere un effetto di profondità. Sapienti trucchi del mestiere e due muse dei capolavori pittorici di Degas: una mano affusolata a reggere il mento, lo smalto rosso, il cuore altrove. Il whisky le renderà brille, il Martini con ghiaccio le coglierà invece malinconiche, nei caffè e nelle camere d'albergo condivise. Luoghi cardine del loro amore (im)possibile.
Fresca di divorzio, con una migliore amica – si mormora nei salotti – un po' troppo intima e una bambina che la legge pensa stia meglio lontano da lei. Di poche parole, sfuggente per natura: poco protagonista, nel romanzo che eppure porta impresso il suo nome aristocratico. E in un amore che a lungo, leggendo di loro, appare però opportunista e a senso unico. L'omosessualità era una patologia incurabile, un bacio nel privato era oltraggio e, se amavi un altro come te, dovevi scendere una fermata prima, in metropolitana, e incrociarlo a metà strada. L'importante era non destare sospetti. Patricia Highsmith, autrice della celebre serie su Ripley e i suoi ingannevoli talenti, racconta un amore saffico sotto falso nome. Carol, coraggioso e provocatorio per la sua epoca, nasce come romanzo psicologico nei primi anni cinquanta, ma riesce a metà. Un sentimento sospirato, sbrodolato, patito, che ha qualche languore – e qualche avverbio di modo – superfluo. A lungo, fino alle ultime pagine, le protagoniste non si capiscono. Chiacchierano, fumano, vanno a zonzo in auto. Meta finale, l'eduzione sentimentale di Therese; la sua crescita. Sembrano irresponsabili, fatue e il mondo circostante, che non mi è parso nemmeno così omofobo e maschilista, reagisce non tanto al loro legame, quanto all'abbandono del tetto familiare.
Ho provato poche emozioni, se non a mente lucida, e una strana compassione per i pochi personaggi maschili: come Richard, innamorato non corrisposto e messo in un angolo. In pole position nella corsa agli Oscar, dopo i fasti a Cannes, Carol appassiona e strugge di più in sala. Caso raro, al pari de I Segreti di Brokeback Mountain, in cui alcune storie trovano al cinema la loro dimensione perfetta. Nel primo caso perché più commoventi, in questo perché meno stucchevoli, tanto è l'aplomb nella magnifica confezione. Troviamo uno sviluppo identico, ma personaggi cambiati in meglio. Rooney Mara, vulnerabile e acerba il giusto, non è una scenografa, ma cattura attimi in foto. Cate Blanchett, perfetta, è una Carol più protagonista e approfondita. Le due, con i ruoli cuciti a pennello e una tenerissima intesa, si rubano premi – la Mara, in primavera, ha vinto la Palma d'oro, e per me neanche troppo meritatamente - e scena. Ma la Blanchett è irraggiungibile quanto l'ultima diva superstite. Magnetica, affascinante come nessun'altra, regala alla sua Carol la mancata dimensione materna e tutta la vulnerabilità consentita. Ogni tanto è struccata, spettinata, “in borghese”: meno orgogliosa, approdata tra i comuni mortali. Le due donne, prima amiche e poi amanti, scappano in macchina dalle festività, dagli impegni a lungo termine, dagli occhi indiscreti. Thelma e Louise in una foto vintage, un detective privato sulle loro tracce, una fuga – d'amore – on the road: oltre il pregiudizio e i vetri appannati dei taxi. Splendide, loro, come in un quadro da museo. Carol è un racconto dolceamaro, dunque, a cui il regista di Lontano dal paradiso conferisce solidità e delicatezza. Tenue e carezzevole, nelle generose forme femminili e nei toni sommessi. Un melò sospeso nel tempo, che si guarda con occhi attenti, ma ammaliati e l'accompagnamento della straordinaria colonna sonora di Carter Burwell, che di questo rapporto non condannato per forza all'infelicità sottolinea il senso di struggimento e la connaturata classe. Più vistoso, comunque, che emozionante. Avete forse dimenticato la morsa allo stomaco nel vedere Heath Ledger stringere al petto la camicia del cowboy Jake Gyllenhaal? I baci caldi e le calde lacrime di Lèa Seydoux, che si trasforma in belva davanti alla confessione dell'infedele Exarchopopoulos? Qui, atmosfere affascinanti e morbide, suggerite prima dalla prosa ricamata – anche troppo, a tratti – di Patricia Highsmith, poi dalla regia da maestro di Haynes – anche troppo, a tratti. Luci ovattate, un pianoforte che suona in un angolo defilato, specchi per ottenere un effetto di profondità. Sapienti trucchi del mestiere e due muse dei capolavori pittorici di Degas: una mano affusolata a reggere il mento, lo smalto rosso, il cuore altrove. Il whisky le renderà brille, il Martini con ghiaccio le coglierà invece malinconiche, nei caffè e nelle camere d'albergo condivise. Luoghi cardine del loro amore (im)possibile.
Il
libro: ★★½
Il film: 7
Il
consiglio musicale: Etta James – At Last
Lo vedrò nei prossimi giorni, il libro mi pare di capire che non è imperdibile. ;)
RispondiEliminaDirei di no. Invece il film è più bello esteticamente - ma bellissimo davvero, basta osservare le due protagoniste - che di cuore. Di solito, preferisco il cuore, ma anche l'occhio (asciutto, c'è da dirlo) vuole la sua parte. ;)
Eliminaè uno dei prossimi film che vedrò... spero bene... temevo l'effetto oscar..
RispondiEliminaIn realtà, Oscar o non Oscar, nel bene e nel male, è sempre il solito Haynes. Elegante e perfezionista, ma lontano dal capolavoro (e tò, dal paradiso) annunciato. ;)
EliminaIl libro mi è piaciuto, il film l'ho adorato! :D
RispondiEliminaHo preso atto delle tue critiche, ma stavolta non posso condividerle, neanche un pò: ho trovato dentro libro e film tanta tenerezza, anche senza per questo dovermi necessariamente commuovere o strappare i capelli per la disperazione esistenziale! :)
E la Mara è perfetta, più di quanto non mi aspettassi! <3
La Mara la trovo un po' scialba, non so. Per il ruolo di ragazza inesperta e ancora immatura ci stava benissimo, ma, per dirti, anche la nomination agli Oscar per la sua Lisbeth Salander, qualche anno fa, mi era sembrata eccessiva. Alla critica ufficiale e all'Academy piace, a me meno. Poi chi non rimarrebbe folgorato dalla Blanchett? Comunque sì, il film vince il confronto a mani basse. Però, se non lo avevi visto, e mi pare di no, guarda La vita di Adele. Lì c'è tutto, con meno "merletti". ;)
EliminaHai ragione, lo devo ancora vedere... e pensa che ho comprato il bluray un milione e mezzo di anni fa! :P
EliminaMa a breve lo recupero e ti faccio sapere, promesso! ;D
Bene ;)
EliminaIl film devo ancora vederlo, però il tuo parere è abbastanza incoraggiante.
RispondiEliminaIl libro mi sa che me lo risparmio, a me no che la pellicola non mi folgori totalmente come Emma con Adele. ;)
No, il libro risparmiatelo.
EliminaPerò no, il film è bello e ben fatto, ma manca il famoso colpo di fulmine. :)
Il libro non l'ho letto, il film l'ho già visto. Ne parlerò nei prossimi giorni. ;)
RispondiEliminaPasserò a leggerti. Più o meno, ci eravamo detti d'accordo!
Eliminaho comperato ieri il
RispondiEliminalibro, per il film non so'..temo effetto "tanto occhio e poco cuore" (aka bello ma gelido)
E' un po' è così. Però, non per scoraggiarti, è molto meglio del libro, che nelle tematiche è innovativo per i suoi tempi, ma è scritto come quei romanzi rosa tutti aggiustamenti, moine, sospiri, eroine che si aggrappano alle tende...
EliminaNon ho letto il libro (ovviamente, ormai), ma ho visto il film e sì, mi è piaciuto. Delicato, femminile, sublime. Mi ha pure tirato via una lacrimuccia...
RispondiEliminaAh, vedi? Io ci speravo nella lacrimuccia. Propendevo, forse, per un finale emo e pessimista. Vuoi mettere? :-D
Elimina