Si
può restituire vita alla materia inerte? È l'ossessione di Victor:
lo scienziato che gioca a fare Dio. Si può dare nuova linfa a un
classico adattato più volte? È il sogno di Guillermo Del Toro: dopo una
carriera consacrata ai mostri gentili, il regista premio Oscar adatta la madre di tutte le
storie. Splendido a vedersi, caratterizzato da un respiro epico e da
un comparto tecnico di cui godere sul grande schermo, Frankenstein
è una a trasposizione bellissima ma senza sorprese, sebbene i
cambiamenti non manchino. Il Victor di Oscar Isaac, più sanguinario che
mai, ha un background shakespeariano. Mia Goth, visione in abiti
pastello, è la promessa sposa del fratello del protagonista. Jacob Elordi,
papabile nominato agli Oscar, è una creatura meno vendicativa che
nel romanzo: sotto i muscoli allungati e il corpo statuario, brilla
per intelligenza emotiva e lirismo. Ma tutti i film di Guillermo,
forse, sono sempre stati una lettera d'amore a Mary Shelley. E la
sensazione è che sotto altri nomi, in altre forme, il regista ci
abbia già raccontato la stessa storia in passato. Resta comunque un incanto,
però, riascoltarla. (7,5)
Chi
bella vuole apparire un po' deve soffrire: si dice così, no? È la lezione che impara
la sorellastra cattiva di Cenerentola, nella riscrittura splatter e
post-moderna del classico dei Grimm. A metà tra Pearl e The Substance,
il retelling diretto dell'esordiente Emilie Blichfeldt segue la storia arcinota
dal punto di vista dell'antagonista. Manipolata da una madre senza
scrupoli, la povera Elvira ricorrerà alla rinoplastica, alla
bulimia, agli interventi chirurgici e alle mutilazioni per
conquistare le attenzioni del principe. Se la fata madrina è un
chirurgo cocainomane, le uova di tenia sostituiscono le pillole
dimagranti e il vestito di Cenerentola è rattoppato dai vermi, lo
shock è presto servito. Anche se The Ugly Stepsister, a sorpresa,
riesce a trovare il perfetto equilibrio tra il raccapriccio e la
riflessione femminista, la dimensione sognante e il grottesco,
rivelando al mondo l'espressività straordinaria dell'attrice norvegese Lea
Myren. Nell'epoca dei live action, così, questa sconsiderata fiaba
apocrifa si rivela la più fedele allo spirito originale. (7,5)
Al
terzo lungometraggio, il trentenne Paolo Strippoli passa al Festival di Venezia con un film dall'estetica
internazionale, in cui a impressionare è la scrittura densa e
viscerale, in grado di rendere l'adolescente protagonista l'erede dei fanciulli infernali di Omen e Carrie. Chi non vorrebbe cedere il proprio
dolore? È quello che i compaesani domandano a uno struggente Michele Riondino, professore accusato di trascinarsi dietro un lutto mai elaborato. Ma, dietro
l'aria da folk horror, La valle dei sorrisi minaccia di
commuoverci, più che di farti paura. Il merito spetta a una sceneggiatura che – al netto di qualche lungaggine –
sa fare luce sul trauma collettivo; sull'essere queer in una realtà
provinciale; sulla necessità di un dialogo tra insegnanti e allievi,
adulti e adolescenti, per non commettere gli errori educativi delle
passate generazioni. In cuffia, canta Mia Martini: come il
quindicenne protagonista, un'altra vittima del pregiudizio, un'altra
geniale incompresa. È la gentilezza del cinema di genere a
stringerli entrambi a sé. Perché l'horror – almeno lui,
nell'universo – offre il conforto di abbracci sinceri, e inni alla
vita popolati di morti. (7,5)
Una
coppia di lunga data combattuta tra affetto e noia. Un bosco teatro di una recente
sparizione. Una fonte a cui sarebbe meglio non bere. A un anno da The
Substance, a pochi mesi da Queer, arriva al cinema
un'altra metamorfosi. Questa volta, si attinge a Platone. Mentre la
radio canta una hit delle Spice Girls, il mito della caverna e quello delle
anime gemelle si incontrano per raccontare una storia di dipendenze
affettive, esistenze simbiotiche, identità cancellate. Amarsi
implica necessariamente il completo annullamento? Convivere significa essere in ostaggio dell'altro? A
farci strada nell'inferno dell'intimità sono gli ottimi Dave Franco e Alison Brie: coppia storica dentro e fuori dal set, si amano e si
odiano, si scollano e si incollano, in un body horror fatto di arti
disarticolati e ruoli di genere capovolti. È l'ennesimo film dell'anno sponsorizzato dal poster? No, complice un finale non
all'altezza del resto: originale, spassoso, ispirato. Ma Together
resta comunque la felice conferma di quanto il 2025 abbia regalato nuovo sangue al cinema di genere. (7)




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