È
il miglior film di Tim Burton nonché uno dei miei preferiti. Mi ha
insegnato la magia delle storie – forse, perfino più dei libri stessi –
e l'abc per raccontarle. A lungo, non ho mai sentito il bisogno di
recuperare il romanzo. Come si può essere all'altezza di un
capolavoro cinematografico? Edward
Bloom sta morendo. Costretto a casa, fa i conti con una malattia
terminale e col rancore del figlio. Chi è stato davvero quel
novello Ulisse che si è sempre sognato un pesce grosso? Tra
biografia e elogio funebre, Big
Fish
mescola realtà e immaginazione, ricordi e mistificazioni, nello
stile di Calvino. Scritto con l'inchiostro liquido
della memoria, il romanzo non ha gli asfodeli del film. Il tempo non
si ferma quando Edward conosce Sandra, e non ci sono città fantasma
in cui le scarpe penzolano dai fili della luce. Meno d'impatto di
Burton, Wallace ha però in serbo avventure alternative e un'immutata
magia. Ormai al capolinea, Edward pensa di aver finito il suo
repertorio di aneddoti. Ma ha un erede pronto a preservarli e tutta
la morte davanti a sé. Se il suo corpo sembra al centro di una muta, perfino esalare l'ultimo respiro può rivelarsi un'altra
storia. Un'altra trasformazione. Un'altra avventura. ★★★★
Rimando
la lettura del romanzo di Patrick Süskind da vent'anni. Speravo di dimenticare, nel frattempo, la
visione del film. Ma non è possibile passare un colpo di
spugna sulle gesta e i delitti di Jean-Baptiste Grenouille, né sul
finale a cui è destinato. Nato sul bancone di una pescheria, il protagonista ha
cuore glaciale e un naso sopraffino. Prima garzone, poi eremita,
infine assassino seriale, Grenouille si muove a caccia di bellezza.
Il suo desiderio: scardinare il mondo, trasformandolo nel giardino
dell'Eden. A
metà tra Hannibal Lecter e Tom Ripley, Jean-Baptiste punta all'eccezionalità. O,
forse, a essere semplicemente come tutti gli altri. Imprevedibile, lussureggiante,
visionario, Il
profumo
è una fiaba nera scritta come i capolavori del gotico – a tratti,
però, ho trovato insostenibile l'assenza di discorsi diretti.
Padrone dell'arte degli alchimisti, l'autore coreografa una lunga
orgia sensoriale e carpisce finanche l'essenza dei fiori più rari.
Anche a costo di ubriacarci tutti. Andrebbe letto, perciò, con
estrema parsimonia. Poche gocce prima di andare a dormire. Nudi – e
con una notte di incubi davanti.
★★★½
A
novant'anni appena compiuti, l'adorato Wood Allen esordisce come romanziere con una
commedia perfettamente nel suo stile. Caustica e brillante, ma senza grandi sorprese, sembra proprio una sceneggiatura delle sue. Che
succede a Baum? Scrittore
pretenzioso e pedante che si sognava il novello Dostoevskij, a
cinquant'anni fa i conti con un matrimonio in crisi (il terzo), una
carriera da rilanciare (nonostante un'accusa di molestie sessuali), un
figliastro in attesa di vincere il Booker Prize (con un vergognoso scheletro
nell'armadio) e una cognata troppo bella per un imbelle
(inoltre, sembra proprio la reincarnazione dell'amore più
appassionato del protagonista). Il destino, al solito beffardo, si divertirà a
sparigliare le carte. Strutturato come un soliloquio, il romanzo
garantisce un nuovo alter-ego al maestro newyorkese e, seppur lontano
dal capolavoro di Philip Roth, diverte con una lamentazione che avrebbe
fatto sentire Portnoy meno incompreso. Impossibile non leggerlo
immaginando le voce di Oreste Lionello nelle orecchie; vietato non
confidare in un ritorno al cinema. ★★★
Sembra
uscito da un romanzo di Elizabeth Strout o John Williams. Ordinario, eppure
adorabile, Brian è un contabile raccontato nell'arco di trent'anni.
Dolcissimo coi suoi piccoli rituali, ne sviluppa uno tutto nuovo: il
cinema. I film sono il migliore strumento per filtrare il mondo, infatti, e
per comprenderlo. Mi sono affezionato allo schematismo della routine
del protagonista,
e ho ammirato la sobrietà di Cooper. A farmi storcere il naso
è stato proprio l'elemento che ha attratto la mia attenzione: la
cinefilia. Vengono menzionati troppi film, spesso sconosciuti al
pubblico medio, e con una dovizia di particolari che rivela troppo
delle trame e degli aspetti tecnici. Il gusto enciclopedico per le
liste e i dettagli mi ha fatto pensare più alla saggistica che ai
romanzi, e l'interesse torna vivo soltanto quando si menzionano
orgogli italiani (Fellini, De Sica, Leone, Olmi) o l'avvento prima di
Blockbuster, infine di Netflix. Per fortuna, le frequenti digressioni
non sovrastano del tutto il protagonista, ma fanno da prisma alla sua breve storia. Un'esistenza rigorosa, da metodo Stanislavskij,
ma che nel finale saprà cambiare un poco copione. ★★½

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