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martedì 7 settembre 2021

Recensione: Macello, di Maurizio Fiorino

| Macello, di Maurizio Fiorino. Edizioni E/O, € 15, pp. 148 |

Ha un titolo forte e una copertina spudorata, di corpi avvinghiati in preda alla passione di una sveltina. Il nuovo romanzo di Maurizio Fiorino, fotografo e scrittore calabrese, urla carnalità sin dal primo sguardo. Prende le mosse in una macelleria della profonda provincia meridionale. E racconta la carne delle bestie appese ai ganci a sgocciolare. Quella, butterata, di due protagonisti brutti e spigolosi. Quella, spasimata e infine negata, che fa gola e vergogna al tempo stesso. Carne fredda, preservata tra i rumori insostenibili di una cella frigorifera. Carne al sangue. Stopposo e sgradevole, soprattutto se confrontato con l'adorabile protagonista del precedente Ora che sono Nato, Biagio è il figlio del macellaio del paese. Orfano di madre, cresciuto da un papà taciturno e umorale, il protagonista – all'inizio del romanzo bambino, al suo termine uomo – boccheggia in un microcosmo stagnante in cui è sempre estate. I pilastri su cui è fondato: la virilità, il silenzio, l'onore.

Avevo quasi sedici anni e nessuno che mi baciasse gli occhi mentre dormivo.

Confinato nel retrobottega, un po' come il Marcus di Indignazione, Biagio si nutre di sguardi spenti e odori pungenti, di repulsione e attrazione. Indossa vestiti usati, scarpe rotte, e ha una cartomante per balia – Lia, che ritiene che sulla famiglia del protagonista gravi il malocchio – e un travestito, Vittorio, per adulatore. Laggiù ognuno ha un vizio, ognuno ha un dolore inconfessato. Il più delle volte i personaggi contribuiscono a ferirsi vicendevolmente, secondo le regole della sopraffazione. Anche Biagio, dunque, ha un vittima su cui scaricare le proprie frustrazioni: Sara, compagna di scuola e moglie mai realmente amata, che lo distoglie dalla fascinazione verso l'enigmatico Alceo, un giovane pittore che coglie a colpo d'occhio l'essenza del protagonista. Lo dipinge, infatti, come un funambolo sospeso nel vuoto. Rinunciando questa volta ai toni calorosi della commedia all'italiana, Fiorino torna con un romanzo in cui non ci sono né speranza né redenzione. Nerissimo, senza fondo, non somiglia granché agli slanci della sua copertina: al contrario, infatti, è una vicenda trattenuta, inesplosa, che ammonisce sulle conseguenze tragiche della repressione e dell'incomunicabilità.

Sei tu che devi restare. Io esisto qui, non esisto da nessun'altra parte.

Breve, con capitoli di poche pagine, Macello avrebbe potuto sviluppare meglio alcune situazioni, alcuni personaggi. O forse una storia di maggiore respiro avrebbe fornito all'autore soltanto gli strumenti per inserirvi altri dolori. Gelido, il figlio del macellaio è un bestione che avverte senza sentire: da un lato animalesco, dall'altro trattenuto, cova in sé un ribollire di sentimenti confuso e oscuro. Ciò che abita nel suo petto irsuto non troverà voce. Biagio prende a pugni le carcasse di maiale, si esercita alla buona per gli incontri di pugilato, ma nel frattempo sogna le carezze di un padre brigante. Ha appena la terza media, il cuore grande, la vescica piccola e un cuore a soqquadro. In fuga da un vecchio paese sepolto dalle piogge, si trascina stanco da un'esistenza all'altra e si aggiunge, inevitabilmente, alle schiere di fantasmi dell'alluvione. Il mare è lontano, il progresso degli anni Ottanta alle porte. La diffusa rassegnazione lo imprigiona, ma al contempo legittima quasi il suo stare al mondo. La speranza, allora, è una e una soltanto: sempre la stessa. Andarsene. Ma in certi paesi è più semplice scomparire.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Mannarino – Un'estate

martedì 11 maggio 2021

Recensione: I tuoni, di Tommaso Giagni

| I tuoni, di Tommaso Giagni. Ponte alle Grazie, € 14, pp. 186 |

Il Quartiere sembra la roccaforte di un film medievale. Un labirinto, scenografico nel suo squallore, da esplorare con carrellate cinematografiche. Roma è vicina ma lontana, sormontata da una nuvola di smog: un altro mondo, intuibile tra i capannoni industriali, i container, le villette abusive. A dettare legge, lì, è il Reuccio: un piccolo criminale da strapazzo, che all'improvviso lascia il trono vacante. Cosa accade quando un tiranno viene rovesciato? Il potere fa gola a moltissimi, ma non ai protagonisti: benché immersi nelle atmosfere cupe di Romanzo criminale o Suburra, schiacciati dalle ristrettezze economiche e dal degrado, continuano a nutrire in segreto speranze, velleità, desideri di fuga. A confidare nel cambiamento. Manuel, egiziano, è un informatico che da bambino ha rubato una medaglia al cadavere di un annegato: sogna di diventare marinaio, ma soffre di agorafobia. Flaviano, grande grosso e col cuore infranto, condivide l'appartamento con un padre galeotto e fa furore come pianista ai matrimoni. Abdou, da poco arrivato su un barcone, ha installato una bussola sul cellulare per conoscere la posizione esatta della Mecca e spaccia antidepressivi nonostante una laurea a pieni voti.

Ci avete insegnato a dire quello che vogliamo, e a prendercelo se non ferisce nessuno.

Sorprendentemente delicati, i tre funzionano soprattutto nei momenti d'intimità. Mentre improvvisano una famosa canzone di Antonello Venditti al centro commerciale, mentre vagano come turisti fra le bellezze della Roma notturna, mentre scacciano i turisti curiosi con le pistole ad acqua. Il dialetto lo usano poco e niente. Come loro, l'autore che li anima: Tommaso Giagni sceglie una lingua equilibrata, tagliente, perfetta, in opposizione all'asprezza del romanesco. A fare da motore alla vicenda è Donatella, un'adolescente ribelle che ammira il senso di comunità del Quartiere: lei fa parte invece del Verde Respiro, il quartiere perbene dall'altra parte della barricata. Un luogo di insediamenti recenti. Una minaccia. Come in una moderna storia di indiani e cowboy, la sfida è aperta. Peccato che, anticipata dalla sinossi e dal rosso aggressivo della copertina, riguardi soltanto l'ultima parte del romanzo.

C’era una comunità, sai che intendo? Dove vivi tu, pure con tutti i problemi, penso che questa cosa si sente. […] Eravamo parte di qualcosa, Manuel, e in cambio questo posto aveva… un senso.

A lungo I tuoni mostra la vita dei protagonisti in presa diretta, con lo sguardo malinconico del neorealismo italiano. Anche a rischio di mancare di compattezza narrativa, esagera con le sequenze descrittive e, con una struttura vagamente teatrale, cattura le vicende di Manuel e degli altri in capitoli a sé stanti. Ma ha uno sguardo bello, e gli si perdonano perciò anche le false partenze; quel leggero sentore di polvere pirica, insomma, che non sembra mai diventare esplosione assordante. Sospeso, scollato, volutamente anti-climatico, il romanzo apre poi le porte alla violenza in quell'epilogo improvviso o improvvisato, che suscita di pari passo stordimento e fretta. Questi Tuoni si dissociano dai fulmini e dalle saette, dal fuoco e dalle fiamme. Quando il rumore si propaga tutt'intorno, avviene a scoppio ritardato. E alle mie orecchie l'eco è parso, purtroppo, più come un arrancare affannato – una corsa pur di mettersi in pari con il presagio del fuoco in copertina – che come un grido disperato del cielo.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Antonello Venditti – Sotto il segno dei pesci