lunedì 22 giugno 2020

Recensione: La strada di casa, di Kent Haruf

| La strada di casa, di Kent Haruf. NN Editore, € 18, pp. 194 |

Da qualche parte ho letto che a casa non si va, a casa si torna. È per questo che da quattro anni a questa parte considero Holt un po’ mia. Sono infatti una persona incostante e senza radici, eppure a sorpresa, romanzo dopo romanzo, il compianto Kent Haruf mi ha insegnato due virtù fondamentali: la pazienza e il senso d’appartenenza. Si può sentire nostalgia di un luogo che non conosci? Si può desiderare una pianura che non c’è? La mia bussola interiore e gli amici di NN mi hanno guidato per la quarta volta in quel di Holt – entro l’anno recupererò anche Crepuscolo e poi, con un brivido, mi sentirò orfano per sempre. Slittato fino a giugno a causa del lockdown, atteso, centellinato, amato, il nuovo romanzo dell’autore americano è in realtà il secondo. Scritto negli anni Novanta, ben prima della trilogia, è ambientato nel trentennio precedente e ricorda l’eleganza polverosa dei classici del cinema.

Finalmente Holt, con i lampioni blu in lontananza, poi sempre più vicini, e le strade deserte e silenziose una volta entrati in città.
Questa storia, più piccola delle altre ma emozionante comunque, conferma la magia dei mondi di Haruf, la sua scrittura avvolgente come una coperta di Linus, la predilezione per i personaggi femminili tristi e volitivi. Prende avvio da un ritorno imprevisto. A chi appartiene la Cadillac rosso fuoco parcheggiata su Main Street? È forse Jack Burdette il brutto ceffo al volante? È un pugno in un occhio. È un fulmine a ciel sereno. L’uomo, braccato alla stregua di un ricercato, mancava da otto anni in città.
A raccontarci l’antefatto è il timido direttore del giornale locale, Pat, che da giovane fu un compagno di scuola e un ammiratore del fuggitivo: alto due metri, pesante un quintale di muscoli, Jack era una promessa del football e un perdigiorno impenitente. Troppo grande per Holt, ha trovato rifugio prima nel poker e nella birra calda, poi nelle gloria dell’esercito, infine nelle donne: da un lato Wanda Jo, fidanzata storica e servizievole a cui ha spezzato il cuore; dall’altro lato Jessie, legittima moglie e madre dei suoi due figli, in balia di una spietata caccia alle streghe dopo l’uscita di scena del partner truffatore. Il romanzo racconta le vicissitudini dei Burdette, dalla fuga del capofamiglia fino al ritorno tardivo, e della vicinanza sentimentale tra il narratore e Jessie: una donna piccola e orgogliosa, che sgobba ai tavoli come cameriera e in un capitolo che ha davvero del capolavoro – l’ottavo, preparate i fazzoletti – si mostra struggente in un succinto abito rosso.

La gente di Holt pensava che  quel punto avrebbe pianto. Pensavano che sarebbe crollata. Immagino fosse quello che volevano. Ma lei non lo fece. Forse aveva oltrepassato il punto in cui le lacrime di un essere umano hanno un senso, difatti girò la testa, chiuse gli occhi e dopo un po’ si addormentò.
Tra attimi di cupo smarrimento e momenti di grande armonia – un altro episodio significativo è ambientato in un parco acquatico –, il romanzo qui e lì mostra il fianco a qualche debolezza. Le anticipazioni e le ellissi del narratore onnisciente, nonostante i toni pur sempre accorati e compassionevoli, tolgono il piacere di scoprire gradualmente le sorti degli attanti; l’epilogo dolce-amaro appare precipitoso; qualche risvolto tragico – penso al personaggio della giovane Toni, la figlia di Pat – è inserito e mai approfondito, come se non avesse grandi conseguenze sulle vite degli altri.
A differenza di Vincoli, già perfetto, La strada di casa ha maggiori ingenuità e la voce ancora acerba dei primi esperimenti. Ma un Haruf minore resterà in ogni caso un grande Haruf: soprattutto per i fedelissimi che bramavano, speranzosi, l’ennesimo tassello da vivere intensamente. Sconquassata dallo sferragliare di un isolato treno merci, la città di Holt, Maine, qui era ancora in corso d’opera e lontana dall’acme dello splendore. Ma appariva già bella a sufficienza, come suggerisce saggiamente il titolo, da volerci fare presto ritorno; da somigliare a casa.  
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Passenger – Home 

18 commenti:

  1. Buongiorno Michele,
    non sapevo se leggerti in questo tuo personale ritorno a Holt, perchè il libro lo sto tenendo chiuso, per un momento in cui vorrò farmi un super regalo, ma che so sarà purtroppo un addio. E voglio ritardare il più possibile questa meraviglioso ma triste epilogo.
    Ma non ho resistito alla curiosità di leggere la tua recensione 😉
    Grazie e buon inizio settimana, Marina 🤗

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    1. Grazie mille, Marina. Aspetto le tue impressioni. Un abbraccio.

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  2. A me Haruf non è piaciuto per niente, però cavolo se non mi piace leggere le tue recensioni ai suoi libri. Mi fa veramente dispiacere di non riuscire ad apprezzarlo allo stesso modo.

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  3. che voglia di ritornare a Holt *_*

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  4. Mi imbarazzo a dire che alla fine ad Holt sono stata solo una volta sola. Il costo proibitivo della Trilogia mi ha sempre remato contro, ma sto aspettando che nella libreria piccola piccola del paese arrivino i Vincoli che ho ordinato per tornarci, finalmente!
    La buona notizia è che ho altri 4 appuntamenti con Haruf.

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  5. Haruf purtroppo non mi piace. Ma sono contenta che a te è piaciuto 😊😊

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  6. Ciao buona notte, come stai? Accetti uno seguendo il blog dell'altro? Possiamo essere amici (non c'è distanza per l'amicizia) e collaborare con i nostri blog. https://viagenspelobrasilerio.blogspot.com/?m=1

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  7. Haruf è nel mio cuore e ritornare a Holt è un desiderio che dovrò presto appagare. Recensione splendida come sempre :)

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  8. E' assodato che lo leggerò certamente in futuro.
    Di Haruf me ne mancano solo due, e purtroppo appena li leggerò sarà la fine. :-(

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    1. A me solo Crepuscolo, come dicevo, e rimanderò finché potrò...

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  9. Atmosfere un po' da Stati Uniti fordiani, ma sembra possedere anche qualche risolto più cannibalesco. Forse. :)

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