mercoledì 21 novembre 2018

Recensione: La terra dei figli, di Gipi

| La terra dei figli, Gipi. Coconino Press. Fandango Editore, € 10, pp. 288 |

La fine del mondo ha confini precisi. È cosa da metropoli americana, da deserto del Nevada. In Italia nemmeno l'apocalisse si prende la briga di fare tappa: il Vaticano, corsia preferenziale dell'Altissimo, ci guarda le spalle; le ristrettezze economiche e politicanti senza voglia di guerreggiare ci proteggono dalle armi batteriologiche, dalle alleanze sbagliate, da meteore inghiottite in un sol boccone dalle buche del manto stradale. Ma in un futuro post-apocalittico già alle porte, a giudicare dai connotati familiari della tragedia, è successo: noi, abitanti frustrati e rancorosi della contraddittoria Terra dei Cachi, ci siamo estinti in massa. O quasi.
La penisola è diventata una palude stagnante di acque fetide e velenose. In nome della miseria ci si contende la pelliccia di un cane ucciso a bastonate, pannocchie e carote come fossero beni di lusso. Il cannibalismo è un tabù ormai sfatato, le rare donne fan gola agli adepti di un Dio crudele, leggi inequivocabili regolano nel dettaglio la routine delle comunità superstiti. I protagonisti sono i membri di una famiglia di soli uomini: un padre severissimo, che ha educato la propria prole all'atarassia, e i suoi due figli. Fratelli opposti quanto il giorno e la notte – il primogenito un po' matto, l'altro una roccia che osa urlare la propria commozione soltanto sott'acqua –, con una mamma morta di parto e un prima difficile da immaginare. Le case avevano il riscaldamento centralizzato, il frigorifero pieno, animali domestici accoccolati sui tappeti: possibile, si domandano increduli?

C'era una volta un padre che voleva proteggere i figli. Renderli forti in ogni modo possibile. Anche facendosi odiare.

Un po' Hansel e Gretel, un po' eroi di un racconto pulp di Niccolò Ammaniti, gli invincibili protagonisti devono cavarsela da soli quando viene meno la loro guida: quel genitore dal cuore segretamente fragile, che si confessava spesso in un diario e condivideva qualche notte d'amore con una donna ai margini ribattezzata la Strega. In che modo scoprire i misteri di quel taccuino chiazzato di lacrime – illeggibile per via dell'analfabetismo e dell'usura – se imparare a leggere non è mai stato necessario? Cosa farsene di una terra derelitta che, sin dal titolo, spetta a bambini affamati di verità? Per venirne a capo non basta inforcare un paio di occhiali rubati, persuadere il prossimo con le cattive, torchiare un innocente fino ad annegarlo. È questo infatti il motore di un viaggio che li porterà prima nella fattoria di un'amorevole coppia di gemelli deformi, poi nelle grinfie di una setta religiosa alla The Wicker Man: l'ossessione divorante verso quel lascito da decifrare, che per tutto il tempo simboleggia l'interiorità di un padre chiuso a riccio e la cultura da salvaguardare. Fatto di picchi di umorismo beffardo, fughe rocambolesche e comprimari impeccabili, La terra dei figli ha una lingua che nello stile sovversivo di Patrick Ness mescola il dialetto toscano all'inglese informatico; un immaginario super pop – gli antagonisti, pensate, indossano T-Shirt degli Eagles o dei Nirvana –; un milione di modi in cui uccidere o farsi uccidere, sperimentare il brivido della vendetta o la quiete della pietà.

«Tu da quanto tempo non ti fidi di qualcuno?»
«Da un po', per questo sono ancora viva.»

I silenzi contemplativi abbondano, al pari delle brutture sanguinarie e della spossatezza fisica. E all'orizzonte si delinea uno scenario acquitrinoso che non ha bisogno di effetti speciali, fuoco e fiamme, per inquietare nel profondo: la luna, nel cielo notturno, sembra la bocca di un pozzo. Si lavora allora sui dettagli psicologici, sulle linee frastagliate dei volti e delle ossa: si lavora a togliere. Si imparano ad apprezzare pagina per pagina il clamore dei bianchi, il graffio rabbioso dei neri, le perle racchiuse in baloon compilati a mano libera. Si parla, sì, di graphic novel: eccezione alla regola resa possibile dai prezzi vantaggiosi della Biblioteca della Repubblica e dalla fama straordinaria di un artista arrivato perfino al premio Strega. Come recensire Gipi, in questo periodo anche in sala con il suo secondo lungometraggio, io che eppure non ho mai scritto di fumetti prima d'ora? Impressionato dalla potenza espressiva della lettura, dalle suggestioni di un autore con la lettera maiuscola, non mi sono posto affatto il problema. Ho scritto così come mi è venuto, a gomito, di una scoperta bellissima e di un futuro post-apocalittico già alle porte. Quello in cui la speranza è custodita nelle carezze e nelle domande apprensive delle donne; nell'incertezza del guado. Quello in cui poter ammettere con l'emozione in gola che la mia prima volta con la nona arte – e con Gipi no, non sarà l'ultima: in edicola ho preso a scatola chiusa già i volumi successivi – non la scorderò mai.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: The National - About Today

4 commenti:

  1. Tentatissima anch'io dalle uscite in edicola, non frequentandola me n'ero dimenticata. Spero in un super recupero che, io che Gipi l'ho conosciuto per caso in sala, mi ci sono trovata davvero bene.

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  2. Non ho mai letto nulla di questo autore, e sono sempre più tentata.

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