mercoledì 25 luglio 2018

Recensione: Orrore, di Pietro Grossi

| Orrore, di Pietro Grossi. Feltrinelli, € 14, pp. 140 |

Gli scrittori e il mistero (del processo creativo, della magione infestata che è la mente umana): cronaca di una lunga e tormentata storia d'amore. Sono autori di best-seller i protagonisti dei kinghiani Misery, La finestra segreta, La metà oscura; altra addetta ai lavori anche Delphine De Vigan, che in Da una storia vera si raccontava in un mystery a tinte saffiche fra autobiografia e finzione. Ultimo nome all'appello, a proposito di variazioni sul tema, è quello del nostro Pietro Grossi: in passato edito dalla selettiva Sellerio, premiatissimo, qui alla sua ottava fatica. È la prima volta con un genere a cui il titolo allude chiaramente: l'horror. È la prima volta che lo leggo, io che a pane e horror sono invece cresciuto. Cosa c'è dietro quella copertina dall'aria spaventosa? Cosa si nasconde oltre l'uscio di una casa nel bosco da esplorare da cima a fondo, mossi dalla stessa curiosità che nei proverbi delle nonne uccide il gatto? Orrore, più vicino all'estensione del racconto lungo che del romanzo, è un'altra storia che parla di ispirazione mancata e scrittura, in cui autore e narratore sin dall'inizio si confondono per precisa volontà. A raccontarsi è un anonimo padre di famiglia felicemente stabilitosi negli Stati Uniti – lo stesso Pietro, vorrebbe dirci la suggestione – che all'indomani della nascita dell'adorato primogenito, di ritorno in Italia per le vacanze di Natale, si mette in cerca di un posto nel mondo, di un obiettivo a lungo termine, dell'idea per un nuovo romanzo. È l'ispirazione stessa, a sorpresa, a raggiungerlo. Galeotta una sera a cena con Diego e Lidia, una storica coppia di amici che fra una chiacchiera e l'altra condivide con il protagonista un'inquietante scoperta: accanto alla loro villetta in alta montagna, un autentico paradiso per villeggianti, c'è una casetta a tratti abbandonata, a tratti in perfetto stato d'uso.

Se solo. Di tutti i momenti per cui da anni mi maledico, questo è l'unico indipendente da me e da qualunque mia volontà. Dunque, il più immacolato. […] Se solo. Tre semplici, striscianti sillabe, capaci di sgretolare esistenze come termiti in una trave di legno.

Fare irruzione è un gioco da ragazzi – anche se sono lontani, ormai, i tempi dei giornaletti per adulti rubati in edicola e poi letti di soppiatto sull'argine del fiume. Il vecchio mulino è una costruzione in pietra, con all'interno un tavolino da caffè tirato a lucido, nonostante l'usura generale, e un giornale di dieci anni prima; un disegno infantile sul frigorifero lasciato acceso e una serie di maschere di cartapesta, a tema satanico, in esposizione; un bagno pieno di materiale ospedaliero, come il laboratorio di un moderno Dottor Frankenstein. Il narratore si improvvisa investigatore privato. Chi sono i proprietari di quel casolare che confina con un fiume, e con l'incubo? Dopo l'effrazione ha allora inizio la parte difficile: osservare, aspettare. In nome dell'ossessione. In nome delle ombre che l'uomo si porta dentro, e che all'improvviso lo rendono tutt'uno con la natura del bosco: la pazienza del predatore, lo sguardo attento del detective, risvegliano presto un morboso istinto animale. Metafora, forse, della fatica dello scrivere – un abisso in cui guardi, per dirlo alla Nietzsche, a costo che l'abisso guardi poi a sua volta dentro di te?

Sei soltanto curioso, ecco cosa sei. E lo sei sempre stato, questo te lo concedo. Hai sempre voluto guardare cosa c'è un po' più in là. E qual era il più naturale luogo in cui guardare oltre la luce che circondava la tua casa e la tua famiglia? Il buio. Vedevi luce e felicità ovunque e ti sei fatto incuriosire dalle ombre.

La missione notturna dell'alter-ego di Grossi corrompe i sogni e i ricordi, rovina le feste a una famiglia altrimenti realizzata; prevede nomi rigorosamente puntati, per proteggere la privacy di figuranti che si confondono fra veri e fittizi, e il rivolgersi a un tu (il figlio del protagonista) nella tipica prassi delle lettere aperte. Spettava a un autore affermato, a un editore importante, liberare l'horror dalla presunta serie B? Orrore è in realtà una lettura da ombrellone rapida e piuttosto accattivante, che lascia misteri irrisolti e qualche sincero dubbio sulla propria efficacia. Scritto sì bene, ha un paio di ottime intuizioni, ma risulta senza infamia né lode. I personaggi ci restano pressoché sconosciuti; le pagine, già poche di per sé, si concedono un paio di attimi di lentezza di troppo. Lecito aspettarsi di più. Da quella Feltrinelli che non tratta narrativa di genere, di solito, e che a scatola chiusa faceva confidare in una giustificata eccezione alla regola. Da uno scrittore, benché da me scoperto soltanto ora, che sulla fiducia ho immaginato qui non al suo meglio. La nebulosità e la confusione, infatti, sono quelle degli incubi di cui al risveglio facciamo fatica a ricordare il finale; quelle di esperimenti, di piccoli brividi, dal successo frammentario.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Negramaro - Sing-hiozzo

10 commenti:

  1. Ciao Michele, sono felice che comunque ti sia piaciuto di più rispetto a me. Hai fatto riflessioni veritiere e hai colto il meglio. Anche se non mancano i Ma. Come scrivi tu, un autore che sicuramente non ha dato il meglio.
    A presto, Baba Desperate Bookswife

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    1. Ciao, Baba! Per fortuna sì, alla fin fine poco ha lasciato, ma si è lasciato leggere senza dispiaceri, e con un filino di inquietudine.

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  2. Ne ho sentito parlare bene, vedrò di recuperarlo più avanti.
    Sono in un momento in cui mi tocca prendere libri di seconda mano per poter leggere.

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    1. Ci sono acquisti più necessari, caro Pirkaf, o comunque più intelligenti. Vai tranquillo.

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  3. Non lo conoscevo ma non mi convince granché. Copertina inquietante :)

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  4. I Negramaro come commento sonoro di un libro che si chiama Orrore mi sembrano appropriati, ahahah XD

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  5. Visto in giro non mi convinceva a pieno. Ora sono certa che passerò oltre, vista la pila infinita di arretrati ;)
    Stefi

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