venerdì 27 luglio 2018

Mr. Ciak: Oltre la notte, Unsane, Amiche di sangue, Euphoria, Quello che non so di lei

Fanno tenerezza i ribelli che si accasano in nome della famiglia. Fanno tenerezza Katja e suo marito: lei tatuatatissima, sotto i vestiti di tutti i giorni; lui ex spacciatore turco, ex galeotto, che ha scelto infine il posto fisso e un figlio da crescere. Il loro sogno di normalità, purtroppo, è pronto a a scoppiare all'improvviso al tempo degli attentati dappertutto. Una bomba imbottita di chiodi ha ammazzato padre e figlio. Restano una mamma che piange, strepita e non sa andare avanti; un'elaborazione che passa dallo stordimento degli oppiacei alle lamette sui polsi. Oltre la notte, vincitore del Golden Globe per il Miglior Film Straniero e misteriosamente mai arrivato alla prestigiosa cinquina da Oscar, è una tragedia in tre atti: ci sono prima il lutto e le indagini, in una Amburgo piovosa e piena di pericoli (fondamentalisti, neonazisti, usurai, pusher); poi il processo contro la diabolica coppia omicida, che amaramente mette al vaglio il ricordo delle vittime innocenti e non i colpevoli; alla fine un viaggio in Grecia, al mare, in cerca di giustizia quando la giustizia fallisce. Ho pianto lacrime di rabbia insieme a un'incredibile Diane Kruger, confusa e pazza di dolore. E mi sono lasciato scuotere e spossare da un thriller devastante, che si muove fra le notizie allarmanti della cronaca nera e pensieri di vendetta, avendo dalla sua l'intelligenza e lo sguardo del cinema d'autore. La Kruger, così, non diventa mai un'eroina bad-ass in lotta contro il sistema corrotto. L'occhio per occhio, dente per dente resta uno sbocco da film hollywoodiano. Il revenge movie secondo Fatih Akin procede invece inesorabile. Oltre la notte non ci sono schiarite o assoluzioni, non c'è mai pace. Neanche quando il sole a picco del Mar Ionio sembra brillare perfino sulle nostre sciagure. (7,5)

Un film girato con l'iPhone. Dopo Sean Baker, chi era l'ondivago Steven Soderbergh (che senza un preciso disegno passa dagli spogliarellisti ai trafficanti, dai casinò all stars ai biopic di successo) per non provarci a sua volta? Per non mettersi in gioco, e per di più con la complessità del thriller? Nasce così Unsane. Una giovane donna perseguitata, sette giorni di ricovero forzato in un istituto psichiatrico, la scoperta che il suo infallibile stalker si sia infiltrato fra i membri del personale. La vittima e il carnefice si confonderanno nel finale, passando dalla parte del torto. Dalla parte del folle. Chi va con il pazzo, parafrasando il famoso proverbio, impazzisce? Stalking e malasanità: la carne al fuoco è in realtà così poca da non saziare. Ma Soderbergh è una volpe, e sa affascinare e distrarre con un incubo sotto psicofarmaci dai ritmi ossessivi. Bastano uno smartphone. Un'attrice sulla buona strada per diventare grandissima. Un'idea che avrebbe senz'altro avuto bisogno di maggiore appeal. Il mezzo, Claire Foy e la fama del regista, dunque, ora motivano, ora sovrastano un film altrimenti fragile, canonico e frammentario, che sorprende soltanto per l'eleganza e la fermezza della direzione. Unsane, alias lo spot per iPhone più lungo mai realizzato, angoscia e mantiene sempre il controllo, mentre la Foy al contrario sbarella da manuale. Peccato per la banalità della sceneggiatura: scritta con il T9, per amore di coerenza. (6)

Ha uno scioglilingua per titolo. La distribuzione italiana, per una volta non troppo a torto, ha ribattezzato così Thoroughbreds semplicemente Amiche di sangue. La trama, con quel titolo nostrano che no, non fa misteri di sorta, è presto detta: una casa da rivista, una vicinanza all'inizio poco gradita, un piano criminale un po' per vendetta e un po' per capriccio. Al centro di lunghi piani sequenza che ne accentuano bellezza e bravura, Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke sono due diciassettenni al limite. Algide come le vergini del cinema di Sofia Coppola, irrequiete e imprevedibili quanto la strana coppia del recente The End of the Fucking World, scoprono un hobby comune: l'omicidio. Per fortuna, da che costrette a frequentarsi per qualche ripetizione pagata profumatamente, si ritrovano complici contro l'antipatia gratuita del padrigno della Taylor-Joy. Ne abusa, chiederete voi? In una commedia nera che fa il verso a Schegge di follia ma nel mentre sfoggia a sorpresa la raffinatezza di Stoner, gli alibi mancano e lo spunto di partenza è un pretesto come un altro per godersi dialoghi a sangue freddo, l'ultima interpretazione del sicario Anton Yelchin e la prima volta alla regia di Cory Finley, che sa fare la differenza a colpi di innata eleganza. Si desidera la morte di un parente acquisito perché fa un rumore infernale allenandosi in una stanza adibita a palestra. Si confida nella fermezza di una Cooke in cerca di un senso, di un'opera buona, a cui svelarsi a tratti nella verità del pianto o nel bisogno di una compagna sincera. Ma in un ibrido al vetriolo, curato nel dettaglio, le imperfezioni sono mal tollerate. E concedersi un'amicizia elettiva ti rende vulnerabile, ti rende debole: meglio invece restare pazzi, solitari, come dettano rigorosamente la moda e il black humor. (7)

Cosa hanno in comune Alicia Vikander ed Eva Green? Sono entrambe bellissime, bravissime e, europee, hanno conquistato Hollywood a colpi di interpretazioni – moglie da Oscar la prima, femme fatale dal fascino alieno l'altra. Riposto il glamour, sono sorelle ai ferri corti nel primo dramma internazionale di Lisa Langseth. La scusa per riunirsi: un viaggio dalla meta misteriosa. Hanno sei giorni appena per ritrovarsi, magari per ripensarci, in una clinica presso cui trovare ora l'ispirazione, ora la solitudine. Il degente Charles Dance e la direttrice Charlotte Rampling assistono insieme allo spettatore alle liti, alle confessioni, alla ricerca del tempo perso. Sui piatti della bilancia, le responsabilità dei primogeniti e l'egoismo dei figli minori; la verità su una mamma morta suicida. Al centro, e non è uno spoiler, il tema del suicidio assistito: perché in questa ricchezza illusoria, fra orchestre, feste e presunzioni di felicità, ogni giorno suona una campana e le persone sofferenti sono invitate a prendere un pezzo di dolce e un cocktail mortale. La Green, con i suoi famosi seni devastati dalla mastectomia, vuole dire basta e commuove con un intensità che forse soltanto Penny Dreadful aveva rivelato. La Vikander, che ancora una volta conferma la sua sensibilità artistica, pretende di avere voce in capitolo: non vuole abbandonarla, non di nuovo. Il soggiorno farà bene e male a entrambe queste amiche-nemiche, meno allo spettatore: il melodramma esistenzialista, calato nel verde e con un cast tutto al femminile, verrà infatti pure dalla Norvegia, ma ha il rigore della Gran Bretagna. Seduta terapeutica che non manca dunque di dolcezza, che non manca di pena, in cui l'euforia del titolo rima con eutonasia, e la grande discrezione del tutto impedisce che in un certo far cinema si intrufoli controversia alcuna. (6,5)

Lo hanno prima pubblicizzato con malizia a Cannes e poi gli hanno cambiato titolo, fancendo sì Da una storia vera diventasse inspiegabilmente Quello che non so di lei. Al centro, poi, sono arrivate le vecchie accuse per un Polanski forse recidivo, ma qui impegnato a riadattare senza convinzione il brillante thriller di Delphine De Vigan. Una lettura talmente particolare, avevo notato, da non sembrare adatta a farsi film. Posso dirlo? Come volevasi dimostrare. Trasposto, infatti, perde l'originalità, la bellezza conturbante degli incastri metaletterari, i cognomi autentici. Quel gusto perverso ma affascinante nel mescolare forme, registri, storie dentro storie. Resta l'impalcatura, di per sé banalissima. Una scrittrice di best-seller in crisi creativa, il rapporto insano con la sua fan numero uno, una convivenza forzata che vorrebbe ispirare la stesura di capolavori ma regala alla svogliata Seigner soltanto una nuova inquietudine: la musa spettrale di una Eva Green che merita sempre il prezzo del biglietto. Il risultato, a malincuore, è pari a un mystery di Rai Due. Né brutto né bello, compassato, con un regista assente e attrici che possono tanto, ma non i miracoli. Certo, non tutto è carta straccia, ma proprio non gli si perdona il già visto, se la De Vigan al contrario mi aveva fatto sperimentare il mai letto. La delusione è tripla: Polanski non decolla, l'efficacia dell'adattamento fallisce e la sceneggiatura di Assayas, regista di quel mezzo capolavoro che è stato Sils Maria, lascia la sua proverbiale ambiguità per l'immediatezza dei finali copia-incolla. Il collega Ozon, sia in Swimming Pool che in Nella casa, aveva comunque detto già tutto, e per di più molto meglio. Perché non voltare pagina? (5)

13 commenti:

  1. Buongiorno! Nooo ma non sapevo che anche tu avessi un blog, che tonta che sono! O.O
    Bellissimo post, adoro i film "stranianti", diciamo, e questi sembrano a dir poco particolari. Sai quale ti consiglierei di vedere, se ti va di tentare con qualcosa di forte e surreale sullo stampo dei film surrealisti francesi (tipo "La moustache", ispirato al capolavoro di Pirandello)? Un film che ho scovato qualche tempo fa spulciando il lato weird del web: "Kynodontas", del regista greco Yorgos Lanthimos. Geniale, vivido, inquietante, brutale, straniante: sono solo alcune delle parole che userei per descriverlo.
    La storia parla di tre ragazzi, due femmine e un maschio, figli di una ricca famiglia che, da sempre, mette in pratica una dottrina alquanto strana: padre e madre esigono infatti che i figli non escano mai dai confini della casa e del giardino, per nessun motivo. Fin da quando sono nati hanno instillato in loro un senso di terrore per il mondo esterno, tanto che loro stessi non uscirebbero mai di spontanea volontà. Ogni notte, mettono loro delle cuffie in cui la madre insegna loro un dizionario inventato in cui a parole innocue, come mare o automobili, viene attribuito un significato terrificante per contribuire a creare un mondo distorto nella mente dei ragazzi. Solo il padre è autorizzato a uscire per lavorare e provvedere ai bisogni della famiglia, ma la madre e i ragazzi restano in casa. Potranno uscire solo quando "diventeranno adulti", e cioè quando perderanno un canino (non da latte) e questo gli ricrescerà. Noi sappiamo che questo non accadrà mai, ma cosa accadrà, man mano che cresceranno, a questi ragazzi? E alla loro psiche?
    Non so se magari lo conosci già, ma se così non fosse ti consiglio di dargli un'occhiata. Fammi sapere, poi, se è di tuo gusto :D è davvero mooolto particolare.

    Intanto, ti inserisco nella mia blogroll (sono Capricci d'Inchiostro), se per caso ti va di fare altrettanto sei il benvenuto! ;)

    Ti aspetto sul mio blog, a presto!


    - Alice di Capricci d'Inchiostro

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    1. Ciao, Alice, e benvenuta!
      Kynodontas visto, ma è il Lanthimos che meno ho preferito: disturbante, sì, ma fin troppo. Sempre di greco, sempre su famiglie al limite, avevo preferito di gran lunga Miss Violence.
      Segno l'altro, invece, che non conoscevo: grazie ancora!

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    2. Uuuh proverò senz'altro "Miss Violence"! Grazie per il consiglio :)

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  2. Grandi attrici oggi protagoniste, le amiche di sangue, Euphoria e la Kruger tanto osannata non vedo l'ora di vederle all'opera (in particolare quest'ultima, ma continuo ad aspettare una v.o.... o la si trova già?).
    La coppia Green-Seigner aveva convinto poco anche me, troppo patinata e prevedibile la storia, mentre da fifona aveva saputo inquietarmi Unsane nonostante quella sceneggiatura facile facile.

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    1. Confermo che sì, la Kruger in tedesco (che brutta lingua!), si trova. :)

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  3. Oltre la notte è una vera bomba! Non sorprende quindi troppo che un lavoro così, troppo cattivo, non sia arrivato alla cinquina degli Oscar. Per il resto del mondo invece ci voleva un film così!

    Anche su Unsane sono decisamente d'accordo: pellicola a tratti affascinante, ma scritta col T9, ahahah. :D

    Thoroughbreds o Amiche di sangue che dir si voglia mi ha lasciato parecchio indifferente. Un film finto cattivo che non va da nessuna parte...
    Opinione simile anche per il poco euforico Euphoria, altro lavoro con poca personalità che per me spreca le sue due protagoniste.

    Quello che non so di lei non l'ho ancora visto ma, dato che io il romanzo da cui è tratto non l'ho letto, spero di gradirlo di più, senza il peso del confronto con l'opera letteraria. Però gli toccherà il confronto con i film di Ozon...

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    1. Penso che, romanzo o non romanzo, Polanski sembrerebbe comunque molto mediocre questa volta...

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  4. Ho già messo in lista Oltre la notte, e ci metto anche Amiche di sangue, che già dal trailer che ho visto giusto Venerdì mi pareva interessante.

    Su Unsane bene o male concordiamo: è un filmettino che parte da un'idea tecnica interessante e sa mettere una certa angoscia, però comunque dimenticabile.

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    1. Tanto rumore per Unsane, perfino la presentazione a Berlino, e invece bah. Io, ti dirò, mi sono anche annoiato nel mentre.

      Con gli altri due, invece, vai sul sicuro. ;)

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  5. Amiche di sangue conto di recuperarlo prima della partenza, in concomitanza con l'uscita italiana.
    Unsane l'ho trovato molto gradevole ed inquietante perlomeno fino a metà film, poi si perde un po'. Lei comunque è bravissima.
    Quello che so di lei carino, due grandissime attrici, peccato per le evidenti scollature della trama e per quel "colpo di scena" un po' telefonato. Ma probabilmente Polanski non intendeva sorprendere lo spettatore in tal senso...

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    1. Amiche di sangue ti divertirà moltissimo, e occhio a questo giovane regista: farà strada e belle cose.

      Quello che non so di lei giocava a carte scoperte, praticamente, ma se la sorpresa non era il punto di Polanski, allora qual era?

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  6. segno amiche di sangue e oltre la notte gli altri passo. peccato per eva green.

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