Avevo
nostalgia della gioia incontrollata, dello spettacolo, della
normalità per me ovvia di quel luogo di follia. Avevo nostalgia
della chiarezza di quegli esseri umani. E soprattutto nostalgia di
quelle migliaia di urla dei malati di notte, che mi accompagnavano
così splendidamente nel sonno.
Titolo:
Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato
Autore:
Joachim Meyerhoff
Editore:
Marsilio
Numero
di pagine: 320
Prezzo:
€ 19,00
Sinossi:
Per
il piccolo Josse, figlio del direttore di un ospedale psichiatrico
per l'infanzia e l'adolescenza, crescere in mezzo a centinaia di
malati di mente è del tutto naturale, anzi, la cosa gli piace
moltissimo. I "dementini", come affettuosamente e
spietatamente ama chiamare i pazienti, sono parte della sua famiglia;
la grande area dell'ospedale è la sua casa. Qui Josse è felice di
galoppare sulle spalle di un ragazzo gigantesco che se ne va in giro
facendo suonare due pesanti campane dorate; qui si addormenta cullato
dalle urla tranquillizzanti che ogni sera lo accompagnano nel sonno.
Ama l'eccesso, l'isteria festosa, la gioia incontrollata, la
normalità per lui ovvia di quel luogo della follia. Questo mondo a
sé, che alte mura proteggono dall'esterno, è soprattutto il regno
di suo padre, l'uomo grasso dagli occhi gentili e curiosi che lui
ammira sopra ogni cosa e che gli ha insegnato a diffidare delle
apparenze e a cercare la bellezza dove davvero si fatica a trovarla.
Un padre che sembra avere tutto sotto controllo e che troppo spesso
finisce col mancare i propri obiettivi. Con infinita tenerezza e
molto buon umore, Meyerhoff ricostruisce la storia di un'insolita
famiglia - padre, madre, tre figli maschi e un cane - che vive in un
insolito luogo.
La recensione
Ultimamente
vanno molto, in libreria, le storie di persone qualunque. E trovo sia
una cosa bellissima, dopo il continuo affannarsi di molti alla
ricerca di un'originalità che non esiste. Tutto è stato detto. Le
parole fanno la differenza. Come la si dice, una cosa; come la si
vive sulla propria pelle. Il nuovo, quello vero, è raccontarsi a
cuore aperto, giacché “immaginare significa ricordare”.
Scommetto che in pochi, presi dalle uscite più disparate, avranno
notato l'arrivo in Italia di Quando tutto tornerà a essere come
non è mai stato. Io non lo avevo aspettato, non mi ero informato
sulla trama, ma avevo l'impressione che fosse una lettura di quelle
non dico uniche ma rare. Il titolo, lunghissimo, è una meraviglia, e
anche quel bambino in copertina, che nelle foto esce arrabbiato, così
come arrabbiato – o meglio, triste – uscivo anch'io. L'esordio
del tedesco Joachim Meyerhoff – nome aspro e una scrittura
delicatissima, come da perfetto contrappasso – faceva simpatia. Una
storia di straordinaria follia letta con gli occhi dell'infanzia; una
cosa così. In realtà, leggendo leggendo, ho scoperto che lo
scrittore si fa conoscere con una fiaba strana che è la sua parziale
autobiografia. Di solito, l'assoluta sincerità si rimanda a dopo la
fama. Qui la fama – perché il romanzo, in patria, è stato
premiatissimo – procede a senso inverso. L'ultimo romanzo della
Marsilio, perciò, a primo impatto si è rivelato altra cosa; un
incidente di quelli piacevoli. La rievocazione di un'infanzia – con
la giusta dose di sorrisi e commozione – adesso che si è
disincantati, solitari, grandi. Un viaggio della memoria su sentieri
battuti mille volte, con le caviglie più sottili e un numero di
scarpe più piccolo, tra i reparti di un ospedale psichiatrico caduto
in disgrazia. Il punto di vista, inedito, non di un ex paziente,
bensì del mancato erede di un regno di matti e briganti, in cui
senza le urla e gli strepiti degli ospiti, quando è notte, a stento
si riesce a dormire. Ultimo di tre fratelli anonimi – nel senso di
sprovvisti di nome, non mancanti di personalità: il fratello
maggiore scienziato e quello di mezzo, aspirante dandy, chi se li
scorda – Josse è un bambino come tanti in una casa come poche.
Mamma e papà medici, un giardino curato e una villetta che, a destra
e sinistra, confina con reparti in cui si aggirano adolescenti in
compagnia delle loro preoccupanti patologie: un giorno in una siepe
ecco che trovi un morto in vestaglia; un altro, invece, tuo amico per
la pelle diventa un coetaneo che chissà se uscirà mai da lì senza
uccidersi; un altro, ancora, al pranzo di Natale accorreranno, su
invito di papà, uno storpio, un potenziale serial killer e una tipa
che quando parla non ci capisci nulla. I temi del nostro narratore,
alle elementari, dovevano essere pienissimi; ma la maestra gli dava
del bugiardo – certe cose spaventano, quindi perché crederci? - e
lo accusava di andare puntualmente fuori traccia. E allora Josse si
infuriava, scoppiava a piangere, minacciava di distruggere tutto:
banchi, nasi, facce. Capricci o sintomi di follia? In questi momenti,
la fobia di essere internato e, allo stesso tempo, il proitettarsi al
futuro e avere paura di dire addio al suo speciale vicinato: meglio la
camicia di forza della normalità; meglio la compagnia dei folli che
dei falsi sani. Mentre la realtà si rovescia, con la testolina
riccioluta del protagonista che si piega a destra e a sinistra in
cerca della visuale migliore, ci si accorge a malincuore di crescere.
E di come tutto, che tu lo voglia o meno, cambi. Nel corso della
lettura, ammetto che il mio interesse è stato altalenante. Trovavo
alcuni passaggi superflui, i primi capitoli eccessivamente slegati
tra loro, l'andamento piatto. Quando tutto tornerà a essere come
non è mai stato era – ed è –
scritto benissimo, con grazia, schiettezza e un pizzichino di poesia,
ma mancava di un collante. Mi spiego: una prosa personale al servizio
di pagine in cui è facile risconoscere sé stessi da bambini, ma
sprovvista di una certa organicità. I capitoli iniziali, veri ma
sconnessi, come racconti autoconclusivi e non parte di un unicum
davvero appagante. E' un mio limite: io non amo i film ad episodi, le
raccolte di racconti – mi sembrano una scappatoia dall'impegnarsi,
non so - e Meyerhoff viaggiava su quei binari.
Quindi dicevo peccato.
Leggevo senza grossi stimoli. Ma quando ci si fa grandi e i genitori
– e il cane, nostro fratello di sangue – invecchiano,
sopraggiunge una malinconia profonda e emozionantissima. L'autore ha
l'invidiabile capacita di farti viaggiare sulle sue spalle; di
prenderti bambino e di lasciarti adulto. Lassù, in cima al mondo,
dalla tua postazione elevata, senti per primo la pioggia arrivare e
vedi per primo andare tutto alla deriva. Fai un gioco di ruolo, e
provi cose che hai già provato – il primo amore, la morte
staziante di un animale domestico, i litigi tra fratelli, gli
imbrogli per non andare a scuola e guardare tutto il giorno la tivù,
servito e riverito – e cose che non sai, ma che arriveranno: stanne
certo. Il passo di un padre che si fa trascinato;
la geometria, nella stanza da letto dei tuoi, che cambia; una mamma
che, dopo tanti sacrifici, ha il coraggio di tornare a sognare la sua
amata Italia. I pazienti che si fingono ancora pazzi, come in un
thriller di Scorsese, e non vogliono andarsene. Tu che ti fingi
ancora piccolo, bisognoso, e non vuoi andartene. Qual è la
differenza? Ho capito quel che mi era piaciuto e quel che non mi era
piaciuto nell'attimo in cui l'ho chiuso; e ho detto che i critici,
per una volta, hanno ragione, anche se non ne hanno contemplato le
poche note stonate qui e lì. Mi aspettavo qualcosa a metà tra Correndo
con le forbici in mano e It's
a Kind of Funny Story: il grottesco e l'adolescenziale. Ho trovato, invece, in Josse il
fratello minore della Allegra di Chiara Gamberale, voce di
Arrivano i pagliacci:
gli iniziali “ma a me che frega delle vite degli altri?”, poi
solo tanta, toccante universalità. Con le chiacchierate padre figlio
finché non ci si addormenta, i papà che dicono e le mamme che
fanno, la curiosità infantile e gli esperimenti che faceva fare, i
fratelli che sembrano gli orfani Baudelaire di Lemony Snicket, la
solitudine di chi vorrebbe tornarsene a casa proprio adesso
per essere riempito di tutto il bene che c'è. Un Boyhood
di carta – anche se quello al cinema non ha difetti e questo qualcuno sì – da leggere, per sentirsi magicamente protagonisti
delle invenzioni di un altro.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Family of the year – Hero
“I
don't wanna be
your big
man.
I
just wanna fight like everyone else...”
Sono molto d'accordo con te sul fatto di vedere e poter leggere sempre più libri che parlano di quotidianità e di persone normali. Me li fanno sentire più vicini. E l'immedesimazione non è per nulla forzata, anzi. In molti casi è inevitabile!
RispondiEliminaBella recensione.
Se ti va ti aspetto nel mio Blog ;)
Grazie, passo subito ;)
EliminaLa componente di follia di questo romanzo potrebbe farmi andare fuori di testa. :)
RispondiEliminaLa componente di normalità invece mi intriga di meno...
E' molto carino però il modo in cui le due componenti s'incastrano :)
EliminaNon lo conoscevo, mi incuriosisce molto! anche se "la morte straziante di un animale domestico" mi inquieta molto. Un altro di quei romanzi da leggere in solitudine e col fazzoletto?
RispondiEliminaMa no, l'autore prende la cosa con tanta naturalezza. Senza giri di parole o patetismi. Infondo, sono cose che capitano... :)
EliminaMi è piaciuta molto la tua recensione,bravo.
RispondiEliminaAnch'io amo le storie di normale quotidianità,ammesso che esista.
Sono sommersa dai libri che ho comprato in questi mesi,alcuni acquistati grazie alle segnalazioni blogghesche.
Ma mi ritrovo sempre più esigente,o forse sono troppo vecchia rispetto all'età media delle blogger? Tu sei un fuoriclasse,non mi deludi mai
Ma grazie mille!!
EliminaBella recensione, anche se ho paura che il libro sia veramente tristissimo devo ammettere che mi incuriosisce. Anche io, come te, non amo le raccolte di racconti e i libri che non hanno organicità, però posso informarmi perché già dalla copertina mi ha ispirata :)
RispondiEliminaMa no, in realtà è molto spensierato; soltanto l'ultima parte - inevitabilmente - si fa più malinconica. Il pericolo "piagnisteo", però, non c'è mai, te lo assicuro. Sempre verissimo!
EliminaNon ne avevo mai sentito parlare ma dalla premessa e da come ne parli non sembra davvero niente male :3 soprattutto mi intriga l'ambientazione diciamo... ci farò un pensierino!
RispondiEliminaPiù ci penso, in realtà, e più mi è piaciuto. Caso raro, perché di solito accade il contrario :)
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