sabato 14 settembre 2019

Mr. Ciak: Il primo re, Il vizio della speranza, Ricordi? e altro Made in Italy

Ci sono film in cui è impossibile separare le prodezze del comporto tecnico da una sceneggiatura che poco cattura, poco esalta. È il caso del Primo re, chiacchierato ritorno al cinema di Matteo Rovere, già finito sotto silenzio nonostante una serie Sky in produzione. Si parla delle origini di Roma. E lo si fa in protolatino, conferendo un fascino arcano a ciascun dialogo fra i bravissimi Alessio Lapice e Alessandro Borghi. I fratelli-nemici Romolo e Remo, dalla magistrale sequenza d’apertura in poi, tenteranno di ricongiungersi nonostante la tragedia annidata in un finale noto. Lontani dall’epica del latino d’età imperiale, i protagonisti sono tanto gloriosi quanto basici e si scorgono rare sfumature nei banchi di nebbia, nei corpi a corpi splatter, nelle notti perenni: il grosso, appunto, lo fa una lingua che suona magica sulle loro labbra, anche se di magie non può farne. Almeno per convincere uno spettatore come me, sensibile alle regie ardite ma anche alla noia diffusa del cinema d’azione. Godibile il minimo, per quanto all’avanguardia, Il primo re è il solito viaggio dell’eroe, ma raccontato secondo stilemi che non hanno né grandi imprese, né antagonisti memorabili. Apprezzabile, purché come prima pietra di un’impresa maggiore. (6)

Siamo in una Campania da terzo mondo. Nascosta sotto un cappuccio, con un molosso al seguito, la protagonista gestisce gli affari di una trafficante di neonati in una landa di extracomunitari e prostitute. Fino a quando non si scopre incinta. In lei, così, si risveglia il desiderio di fare la differenza. Come può portare a termine il travaglio? Come può mettere al mondo un innocente in una folla disumana, fatta eccezione per un giostraio dal cuore d'oro e una ragazzina zoppa? Prendete la violenza morale di Dogman e aggiungeteci i palpiti di Roma. Questo presepe laico ha la crudezza del documentario, infatti, ma sorprende per l’accuratezza delle scenografie e la grazia di una regia ispiratissima, capace di rintracciare la poesia anche nel totale squallore. Pina Turco regge il film con la tempra delle interpreti navigate: le rese dei conti con la spregevole datrice di lavoro, il giro in giostra alla Truffaut e le raccomandazioni al nascituro, per altro, le hanno dato man forte nello strapparmi lacrime di rabbia e gratitudine. Peccato non averlo visto in sala: il ritorno di De Angelis sarebbe finito nel meglio della scorsa annata. Mi ha fatto un male cane, ma gliene sono riconoscente: ci vizia con un altro spaccato indimenticabile. Regalando speranze al cinema italiano, e alle vite prigioniere dei forse. (8)

Passando da Venezia, Valerio Mieli è tornato con un’altra coppia di protagonisti memorabili e una storia d’amore ancora meno incasellabile di Dieci inverni. Quale sarebbe il risultato se Malick potesse mettere mano ai capitoli della nostra convivenza, montandoli in un flusso di coscienza dei suoi? Incantevole e sperimentale, Mieli porta al cinema quella che Freud chiamerebbe libera associazione. Sorretto da una partitura minima, il suo film è fatto proprio della caotica poesia dei ricordi: quelli che affiorano all’improvviso, disordinatamente, e accostano senza un disegno le tessere di una relazione a un crocevia. Il malinconico Marinelli e l’adorabile Cariddi fanno l’errore di bruciare le tappe. Lei è forse pronta a rinunciare alla sua allegria per lui? Lui, invece, è pronto a tinteggiare la casa – la stessa dell’infanzia – per lei? Il melodramma del regista è della stessa materia ingannevole di cui è fatta la memoria: ci attingiamo per conoscerci meglio; ci attingiamo, si spera, per ritrovarci. Lui e lei si rubano il meglio. Si gettano addosso il peggio. Ne escono svuotati, sfitti. Ma cambiati. In amore ci si influenza e ci si limita, ci si perdona in nome della nostalgia: di per sé, il sentimento del passato. Se una relazione, al contrario, è il futuro, la nostalgia sarà abbastanza per costituirne le fondamenta? Lo è senz’altro per realizzare un film imperfetto – troppo allungato, quel finale da orchestra sinfonica – ma unico nel suo genere. (7,5)

Avere in mano le sorti degli equilibri internazionali e non poterlo dire a nessuno. È il dramma di un’agile Paola Cortellesi, costretta a mentire a famiglia e amici pur di salvaguardarli: sebbene su carta sia una dipendente del ministero, in realtà è un’agente segreto. Come non dire che è passata a prendere in ritardo la bambina perché inseguiva criminali in Marocco? Costretta all’anonimato, osa durante una rimpatriata fra compagni del liceo: ognuno ha subito un torto, ognuno si è fatto un nemico, e allora perché non vendicarli attingendo alle sue risorse? A Milani, regista degli altrettanto gradevoli come Come un gatto in tangenziale e Scusate se esisto, ha fatto bene il successo precedente. Potendo contare su un budget maggiore, questa volta realizza una commedia più ricca e curata, con frequenti cambi di location – nel finale si punta anche a Siviglia – e un cast popolosissimo, fra comprimari e cameo. Lo spunto è di quelli paradossali, con tanto d’incursioni alla buona nella spy story, ma risulta credibile grazie alla performance di una Cortellesi all’altezza di ogni travestimento. Serve forse essere una spia, però, per combattere la maleducazione del prossimo? Divertente con garbo, Ma cosa ci dice il cervello è un intrattenimento meno incisivo del precedente ma comunque godibile; un’avventura che parte dall’assurdo, e si rivela poi una lodevole lezione di civiltà. (6,5)

Siamo all’inizio degli anni Novanta. È un'estate euforica, quella dei mondiali di calcio. Siamo a Roma: città rumorosa e dispersiva, splendida  e orribile insieme, in cui ovunque ci sono feste esclusive; conversazioni altezzose; nomi altisonanti, reali o inventati. Tre aspiranti sceneggiatori – un siciliano, un toscano, una romana – sono indagati per la morte di un produttore, Giancarlo Giannini, precipitato con la macchina nel Tevere. Sembra l’imitazione del peggiore Sorrentino. Ma, amaramente, siamo invece al cospetto dell’ultimo film di Paolo Virzì: accolto nel migliore dei casi con freddezza, nel peggiore con stroncature spietate, è di ritorno dalla traversata americana di Ella & John. Da bravo illuso, da bravo fan, ho preferito non dare troppo credito alle stroncature: ho fatto male. Storia mal recitata di giovinezze ambiziose, carriere bruciate e grandi speranze, Notti magiche saccheggia i salotti della Grande bellezza e i triangoli del cinema di Truffaut. Il risultato è inqualificabile, non all’altezza delle citazioni e inutilmente ridondante, con un miscuglio di generi incomprensibile. Un giallo stinto, che nelle sue notti non trova magia. (4,5)

Un altro film che parla di film. Un’altra Roma di parvenu e donne fatali. Richelmy, scrittore dalle sfumature imprevedibili, accetta che il villain di un esilarante Barbareschi – accanto a lui, le pericolose Bellè e Gerini: quest’ultima con una scena di nudo già iconica – realizza la trasposizione del suo esordio: il risultato è disastroso. Come salvare un film maledetto se non con tanta pessima pubblicità? L’ingegnosa strategia, ahimè, non ha riguardato questo DolceRoma, passato a torto in sordina. Volutamente esagerato e meta inematografico, rompe la quarta parte e spazia fra i generi: un po’ commedia nera, un po’ noir, mescola verità e finzione, realtà e aspettative. Venirne a capo, insieme a un bel cast, è uno spasso. L’ottimo Resinaro s’ispira  alla regie forsennate di Ritchie e Boyle, e la sfrontatezza dell’impresa fa del film un videoclip psichedelico – non bello, ma fighissimo – visto di rado. Questa Roma dolcissima e metropolitana, di luci al neon e rapimenti inventati, per fortuna sa come non risultare stucchevole. Ma punge, a tratti, come un’ape che a torto sembrava amichevole, quando invece difendeva il proverbiale posto al sole. (7)

Cos’hanno in comune Gassman e Bentivoglio, sesso a parte? Tanto cafone il primo quanto snob il secondo, s’innamorano nonostante le differenze. Ma come conciliare le famiglie, all’oscuro della sessualità dei genitori? Si va insieme in villeggiatura, e sarà la catastrofe annunciata. Il problema sono i figli – su tutti, una straordinaria Trinca: nevrotica e abbandonata – o i protagonisti stessi, opposti destinati ad attrarsi solo per un po’? Riuscitissima commedia dei caratteri, Croce e delizia diverte facilmente con le contrapposizioni, i cliché, il conflitto ideologico e generazionale. Lo fa con più emozione del previsto, schierando in campo alcuni dei migliori attori di casa nostra – raramente, eppure, si sono prestati in passato alla commedia brillante – e riproponendo il sodalizio Godano-Steigerwaltz, già superiore alle aspettative in Moglie e marito. Per rovinare tutto una famiglia media ha forse bisogno dello shock di un outing fuori tempo massimo? No, lo fa naturalmente. Evviva i film che sanno raccontarlo senza pretese e con uno sguardo alle unioni civili. Evviva Simone Godano, che al secondo film ci delizia davvero. (7)

Lui è un aspirante cantautore. Lei è una hippy di ritorno in patria. Lui segue lei a Roma, mettendo i suoi sogni in pausa, e si reinventa intanto autore frustrato di jingle televisivi. Patiranno l’imborghesimento e la città, amandosi, odiandosi e riprendendosi. Ci sono di mezzo le ambizioni di La La Land, da premettere qui all’amore; una gelosia che ispira tanghi alla Moulin Rouge nelle balere di borgata; campi e controcampi, nel finale, che ricordano gli sguardi sui tetti di Across the universe. Se Michele Riondino, convincente anche dal punto di vista vocale, fa sempre una discreta figura, lo stesso non può dirsi purtroppo di una Laura Chiatti antipaticissima e dalla dizione robotica. E il regista Marco Danieli, invece, passato dall’impegno di La ragazza del mondo al musical in salsa italiana? Trainato interamente dalle canzoni sempiterne di Battisti, Un’avventura è un esperimento singolare. Ma, a dispetto dell’idea apprezzabile e della validità del comparto tecnico, risulta goffo e didascalico soprattutto nella parte musicale: imperdonabile, soprattutto, l’amatorialità del montaggio sonoro. Si canta (molto), si balla (poco), si sguazza in un mare di nostalgia (a tratti). Come in ogni avventura, memorabile o meno, degna di questo nome. (5,5)

16 commenti:

  1. uh ma questi li voglio vedere tutti! su tim vision qualcuno c'è, devo recuperare al più presto!!

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  2. A guardarli tutti rischierei un'overdose di italianità. XD

    Almeno Il vizio della speranza e DolceRoma comunque devo recuperarli. Mi tenta anche Un'avventura, nonostante il rischio brutta copia di La La Land e Across the Universe. Però a pensarci una brutta copia di La La Land e Across the Universe potrebbe non essere così male. :)

    Il primo re temo che lo patirei tantissimo...

    Ricordi? bellino, ma poteva essere ancora meglio. No, l'incomprensibile "finale da orchestra sinfonica" non glielo perdono. XD

    Notti magiche nella sua evidente Grande Bruttezza ho finito per non detestarlo troppo. E' così poco riuscito, in particolare nella parte da giallo, che m'ha fatto quasi tenerezza. :)

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    1. Peccato che Un'avventura, in definitiva, faccia più l'effetto dei musicarelli con Nino D'Angelo.

      Il primo re meritevole, ma palloso proprio come sembra.

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  3. Preferisco le fiction italiane al cinema Made in Italy, comunque tra questi film potrebbero piacermi "Ma cosa ci dice il cervello" con Paola Cortellesi e "Un'avventura" perché mi piacciono i musical! :)

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    1. Le fiction, al contrario, io le cerco col lanternino. E salvo solo La magia uccide solo d'estate. :)

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  4. Alcuni di questi li ho visti! Anche se alcuni purtroppo mi hanno un pò deluso!

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    1. Il cinema, soprattutto italiano, sempre un terno al lotto!

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  5. Davvero tanta Italia, molta della quale persa e che con i tuoi voti non so se recuperare. Il vizio della speranza continua ad ispirare solo pesantezza, Dolceroma e Croce e delizia troppa leggerezza.
    Trovandoci d'accordo su tutto il resto, compresa la stroncatura di Virzì, dovrei ascoltarti, lo so.

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    1. Per motivi diversi, inutile dire, te li consiglio tutti e tre. Ti do ragione sulla leggerezza di Croce e Delizia, ma i personaggi dei figli sono così umani e sfaccettati che gliela si perdona.

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  6. Sai bene che non concordo su "Il primo re"; ma high five altissimo per "Ricordi?" 😂😂
    Intanto, grazie ancora per avermi consigliato De Angelis.

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    1. Il primo re, brutto dirlo, non mi ha deluso. Mi ha annoiato.

      Per fortuna, mi perdoni perché debitore di De Angelis (e delle gemelle!).

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  7. per il momento ho intenzione di vedere solo "Il primo re" perché l'ho noleggiato su chili (tra l'altro devo anche sbrigarmi perché a breve scade). Sono curiosa, però allo stesso tempo ho paura perché sembra abbastanza pesante

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    1. Genere e durata, al cinema senza intervallo, li ho patiti.

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  8. non vado molto d'accordo con i film italiani..c'è sempre qualcosa che stona e mi fa odiare il tutto. Non sempre però.. vedrò di dare qlc possibilità alla Cortellesi e al Vizio della speranza.

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    1. Io, invece, cerco sempre di tenermi al passo. Apprezzo sempre i registi che hanno voglia di sperimentare e, vedasi Rovere, non mancano.

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