Nadine
convive con il trauma della morte del padre, una
mamma protettiva, un fratello vanesio ma non
vuoto come il luogo comune vorrebbe. La sua migliore amica, la sola, le ha spezzato il cuore. A scuola la fanno distrarre un insegnante
esasperato, che la protagonista deve avere scambiato per uno sportello
psicologico, e il classico ragazzo bello e dannato. Eppure The
Edge of Seventeen non è il classico film teen. Di certo, non
un'altra stupida commedia americana. Esordio fortunatissimo nel
circuito indipendente - la protagonista è
arrivata anche ai Golden Globe -, è una fotografia agrodolce della vita liceale. Ci sono i pro e i contro, il
pessimismo cosmico, le beffe di Madre Natura. Un'eroina sconsolata
che, in cerca della propria autenticità, si perde e si ritrova.
Nadine non è particolarmente bella, non è particolarmente popolare.
Costretta alla crudeltà per legittima difesa, si rende una una spina
nel fianco pur di non essere ignorata. Sboccata, egocentrica, sprezzante, è fieramente chiusa nella propria
misantropia: barricata dietro i musi lunghi e i vestiti brutti; nella
lotta contro i mulini al vento, gli adulti e il suo nemico numero uno
– se stessa. Solo lei soffre, infatti. Solo lei ama non
ricambiata. Solo lei ha ragione, mentre chi le sta accanto ha torto
marcio. A essere sbagliati sono l'universo, gli altri, o proprio lei?
Hailee Steinfeld, qui brutto anatroccolo, è adorabile con le sue
smanie, il suo cinismo e gli scarponi che danno nell'occhio: sui Red
Carpet, intanto, fa girare le teste. Il titolo originale
parla dell'adolescenza come fosse una vertigine. Un bordo, un limite.
Ma tranquilli, dice, se vi sbucciate le ginocchia. Se baciate le persone
sbagliate, rispondete male e ve ne pentite. A un tratto rinsavisci. Hai
tanto tempo, tanta vita ancora, per rimediare. Per fare pace con il tuo riflesso allo specchio, mattina dopo
mattina. (7)
Lockhart,
giovane rampante a Wall Street, viene spedito in una spa all'ombra delle alpi per ricondurre all'ovile un importante azionista. Chi, in fondo, non sarebbe lieto di soggiornare in un simile
paradiso? Bloccato con una gamba rotta nel castello – teatro,
duecento anni prima, di un amore finito nel fuoco –, Lockhart si
infatuerà della sfuggente Hannah e, in cerca della verità, tornerà
dal suo trattamento cambiato nel profondo. Sano o malato? La cura
dal benessere, nuova creatura dell'inaffidabile Verbinski, è
un'esperienza curiosa. Ha una durata spropositata, una straordinaria
estetica burtoniana, un gusto tipicamente europeo. Lo spettatore,
dall'inizio alla fine, ne è in balia. Avevo provato qualcosa di
simile, vagamente, seguendo le stranezze di The OA – e dal
gioiello Netflix, neanche a farlo apposta, Verbinski prende in
prestito lo scienziato pazzo di Jason Isaacs. Se però nella serie
TV il gioco valeva la candela, lo stesso non può dirsi di questo
ibrido riuscito a metà. Un horror con lo spunto di Shutter
Island, le montagne innevate di Youth e i degenti sui
generis di The Lobster, che sembra un gioco punta e clicca.
Un'indagine nei territori del romanzo gotico e della mente umana, in
cui il senso di attesa – in definitiva, mal riposto – porta
all'affermarsi di una progressiva frustrazione. In due ore e venti di
incesti, corpi in formaldeide e anguille, La cura dal benessere si
rivela squilibrato e a tratti senza capo né coda. Ci sono buchi
narrativi imperdonabili, scene visionarie splendide ma assolutamente
fini a loro stesse – il sontuoso ballo finale, la sequenza di un
Lockhart annaspante mentre il suo infermiere si trastulla –,
dettagli che vanno al posto sbagliato o restano sospesi nel loro
brodo primordiale. Verbinski risponde con un comparto tecnico impeccabile, il carisma del promettente DeHaan, la seduzione di
Mia Goth (che a volte è bella, altre brutta, ma nel dubbio si fa
contemplare). La sua: una terapia claustrofobica, irrisolta,
piuttosto superficiale. Un pasticcio di idee, echi, volontà
incoerenti. Ma un pasticcio di quelli affascinantissimi, e tanto basta. (6)
Samuel
mette la testa a posto nel momento in cui si scopre padre. Tocca
farlo, se la mamma di sua figlia gli lascia la neonata tra le braccia
e scompare. Il protagonista parte per Londra in cerca della genitrice
in fuga. Rimarrà lì, dopo aver trovato lavoro come stuntman e
rinunciato alla speranza di dare una madre alla piccola Gloria.
Finché, otto anni dopo, la fuggitiva non torna all'ovile. Famiglia all'improvviso
è il remake di una commedia messicana vista qualche anno fa,
Instructions Not Included:
una chicca imperfetta ma emozionante, con una protagonista dolcissima
e una svolta finale da crepacuore. La copia carbone dei francesi –
di solito, quelli destinati a essere riadattati, non a riadattare –
piacerà, forse, a chi non sa bene cosa aspettarsi. A chi della
pellicola originale non ha conosciuto il calore e i difetti
grandi e piccoli – una durata eccessiva e la serietà della
parentesi giudiziaria, anche qui superflua e furbissima. La storia
cambia lingua e colore, e
nella traduzione trova quella retorica, quella stucchevolezza, di cui
non reputavo capace il cinema d'oltralpe. Il remake parigino
ambientato in Inghilterra sembra una produzione statunitense. Con gli
sfarzosissimi loft dai mattoni a vista, gli stereotipati amici gay,
la bambine ricciolute che scorazzano in giro come in
Annie e un Omar Sy, venuto già a noia, che vorrebbe essere Will Smith. Una falsa americanata, insomma. Di quelle patinate, ricattatorie, che del
vecchio film fa proprie le pecche ma non l'onestà. Che si lasciano
guardare a guance asciutte, e da chi ha lasciato i dotti lacrimali
sfitti in attesa che This is us, a proposito di genitori e figli, di famiglie allargate, torni a farci
disperare come questo Hugo Gélin qualsiasi non sa. (5,5)
L'usurpatore
è arrivato in casa in taxi. Indossava un completo scuro e uno di
quei sorrisi che fanno fessi gli adulti. Si è
introdotto nella famiglia perfetta.
Solo Tim sa che il nuovo arrivato, però, non è innocente come appare. Sembrerebbe l'intreccio di un
thriller home invasion. Siamo, invece, all'interno dell'ultimo cartone DreamWorks. Colui che
ha stravolto gli equilibri di una famiglia come tante altri non è che un neonato. Un fratello minore tenero e dispotico, che
monopolizza le attenzioni, toglie il sonno e, sul
suo seggiolone, ordisce congiure insieme ai malefici bimbi del vicinato. Da
dove vengono i bambini? Cosa fanno quando nessuno li tiene d'occhio?
In Baby Boss non li
portano le cicogne né crescono sotto i cavoli. Qualcuno di loro,
infatti, si forma in una compagnia esclusiva in cui si resta imberbi per
sempre e si combatte la concorrenza
spietata dei cuccioli, amatissimi sui social. E se smettessimo di
fare figli, un giorno, preferendogli il cane dei sogni? Tra allegre
contaminazioni di generi e citazioni – dall'Esorcista
al Signore degli anelli,
chi ne ha, più ne metta -, pappe e guance cicciottelle, Baby
Boss è un intrattenimento
spassosissimo, educativo e originale nell'approccio. Racconta le
rivalità in famiglia come in una storia di spie (in pannolino).
Ricorda l'importanza dei legame di sangue – i parenti purtroppo
non li scegli e non puoi neanche rimandarli indietro, tocca farseli
piacere scovando il meglio – con una
leggerezza gradevole, ma incapace di durare nel tempo. Per chi dai fratelli
maggiori ha ereditato i panni smessi e i giocattoli usati. Per chi,
come me, dai minori ha preso tutto il resto – complessi di
inferiorità inclusi. (6,5)
Ferro
e Cate hanno fatto una cazzata epocale. Glielo
rimproverano tutti. Adolescenti o poco più, si sono imbarcati in un'impresa più
grande di loro: diventare genitori. Pensano di tenere la bambina.
Vorrebbero chiamarla così, Piuma, come augurio di leggerezza.
Presentato al Festival di Venezia, accolto dalla severità dei fischi
in sala, la commedia di Roan Johnson aveva disseminato il tappeto
rosso di simpatiche paperelle di gomma. Aveva provato invano a portare una
ventata di freschezza nel rigore della nostra kermesse. Di
chi era la colpa: della critica ufficiale, notoriamente
intransigente, o di un film troppo modesto per un cinema italiano che ci ha regalato numerosi fiori all'occhiello? La verità
sta nel mezzo. Piuma è
un lungomotreggio senza grandi ambizioni e senza grossi meriti. Male
non gli si vuole, ma il Juno dalla
cadenza romanesca – qui, a tratti, decisamente fastidiosa – ha
esordienti spontanei e una sceneggiatura risicata. Le
arie da commedia indie, giustificate nelle sequenze oniriche a pelo d'acqua, si
incontrano e si scontrano con situazioni concepite calcando la mano;
con personaggi chiassosi, nevrotici, che non rimpiangevamo. Le
minacce d'aborto portano i protagonisti a passare l'estate a casa,
rinunciando al viaggio della maturità. I compagni ritornano
vittoriosi, tra tentazioni e conquiste amorose. L'appartamento si
restringe, con una piscina gonfiabile in salotto, due genitori
litigiosi e un papà scansafatiche, un nonno con procace
fisioterapista al trotto. E ci si ripensa ma ci si ravvede. E si
esagera, a volte, con la commedia goliardica – quella delle
famiglie allargate, dei tradimenti immotivati, dei figli venuti a
colpo sicuro: I Cesaroni, per intenderci –, preferita provincialmente a quella indipendente. (5,5)
Bella rece di The Edge of Seventeen.
RispondiEliminaBello anche il film, il 7 ci sta, però gli manca qualcosina per trasformarsi in un cult teen assoluto...
Parlando de La cura del benessere mi hai incuriosito con il paragone con The OA, anche se a quanto sembra non è certo allo stesso livello.
Non sapevo che Famiglia all'improvviso fosse il remake di Instructions Not Included... e a me già quello non è che avesse entusiasmato quanto te.
Mi aspettavo un giudizio più positivo per Piuma e uno più negativo per Baby Boss (che ancora mi mancano).
Negli ultimi tempi non è che sei troppo buono con il cinema d'animazione? ;)
La cura del benessere è un pasticcio, assolutamente, però quel senso di onnipotenza degli sceneggiatori - ti prendo e ti porto dove dico io, come mi pare - mi è piaciuto. Peccato non sappiano dove portarci, appunto, ma sono dettagli.
EliminaMa no, vedrai che Baby Boss è divertente. Sono buono perché, purtroppo, in giro non c'è di meglio. Guardo qualcosa di... non brutto, e mi sento realizzato.
Piuma, nonostante avessi aspettative bassine, comunque mi ha deluso. Fuori posto a Venezia, e in un anno di bel cinema italiano. Non è malvagio, ma di commedie adolescenziali di nicchia - tra Maicol Jecson e Short Skin - ne abbiamo fatte di migliori, in tempi recenti. ;)
Il deserto è sempre più ampio nei cinema, ma no, non mi hai convinta né a vedere Baby Boss che pare troppo costruito per i miei gusti né Omar Sy di cui temevo proprio quel buonismo generale né La cura del benessere, anche se DeHann bello-non bello ha sempre il suo perchè.
RispondiEliminaFortuna che ci sono gli adolescenti, con il per niente scontato The edge of seventeen con cui mi trovi un gran d'accordo e Piuma, leggero leggero, forse troppo, che male non è e che quei fischi ingiustificati forse hanno aiutato a rendere più popolare...
Che desolazione questo mese...
EliminaPerò Baby Boss, fordianissimo, non è da buttare. E io, se si parla di cartoni animati, ho la noia facilissima.
il primo devo vederlo, ne parlano tutti benissimo il secondo mi intriga ma ho sempre avuto la sensazione che il trailer fosse migliore del film
RispondiEliminaIl primo non è davvero come sembra.
EliminaSul secondo, invece, potresti avere ragione. La sceneggiatura è un pastrocchio - e qui si parla di libri, di storie, prima che di cinema - però anche l'occhio, in Verbinski, vuole la sua parte. Grandi atmosfere, storia pretestuosa.
Sto attraversando un periodo di anoressia cinematografica senza precedenti. Unica eccezione in questa quaresima del grande schermo: Indivisibili, a cui ti consiglio di dare un'occhiata se ancora non l'avessi fatto (con sottotitoli, mi raccomando!).
RispondiEliminaLa cura del benessere sembra interessante, la metto in lista.
Ciao Grazia! Stessa situazione, ma mi sto rifacendo coi telefilm: ho Fargo da recuperare (in realtà sono alla seconda stagione) e Netflix sta dando una comedy carinissima, Girl Boss, che incastro volentieri a fine giornata. Indivisibili l'ho visto, e senza l'ausilio di sottotitoli (nonni campani): bello, bellissimo. La scena finale è memorabile.
EliminaCi do dentro con le serie tv anche io, stile metadone. Sono in pieno trip Santa Clarita Diet, mi manca l'episodio finale - di cui ho già letto in giro peste e corna - per termianre definitivamente (sigh, sob) Girls, mi sono bevuta in poche settimane le tre stagioni di Peaky Blinders (consigliatissimo) e seguo in pari con gli Usa la quinta stagione di The Americans (ultraconsigliatissimo). Ma il cinema è il cinema, ragassi.
EliminaEh, ma se in sala rotolano balle di fieno...
EliminaDavvero, non c'è niente di niente, che tristezza. Tocca scovare film con il lanternino. Delle serie che citi ho visto solo Santa Clarita Diet: nonostante qualche parere contro, mi ha divertito moltissimo. E che bravo Olyphant, tempi comici che non immaginavo!
Ho visto Baby boss e l'ho trovato tanto carino :D certo, non il migliore degli ultimi anni, ma comunque parecchio godibile e divertente! Dunque direi che siamo sulla stessa lunghezza d'onda :3 a parte la questione famiglia... io a casa ero la più piccola e l'ultima arrivata, ma col fatto che i miei fratelli avevano già 16 e 18 anni quando sono nata io, ero la più coccolata e viziata sorellina del mondo!
RispondiEliminaHo guardato anche Piuma per curiosità un giorno che non avevo niente da fare... e anche qui la penso come te... caruccio, sì, ma il risultato finale fa tanto "vorrei ma non posso" >.<
Davvero un peccato, Piuma.
EliminaLo scorso anno il cinema italiano era in forma smagliante, e questo qui un po' sfigura...
Non pensavo che Baby Boss valesse la pena.
RispondiEliminaDici che devo tentare il recupero?
Assolutamente, piacerà molto anche al Fordino!
EliminaI primi due ancora non ho avuto modo di vederli, sono ancora impegnatissimo con il recupero della saga di Alien - e pensare che oggi tocca solo al secondo capitolo....
RispondiEliminaIl terzo l'ho visto al cinema settimana scorsa e non mi è affatti dispiaciuto. Purtroppo è un po' banalotto e la parte tragica mi è sembrata messa lì un po' per non sembrare un film eccessivamente felice. L'originale messicano mi manca, però un 6 per me riesce a risicarselo dai.
Edge of Seventeen l'ho visto andando a Tokyo, mi è piaciuto tantissimo, lei è un'adorabile drama queen e Woody Harrelson è strepitoso. La cura dal benessere... eh, un pasticciaccio. Ma non brutto, anzi, come hai detto tu lo salva il fascino.
RispondiEliminaBaby Boss potrei recuperarlo per il cinema a 2 euro invece :)