lunedì 7 ottobre 2024

Recensione: Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre, di Irene Solà

| Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre. Irene Solà, Mondadori, € 18,50, pp. 156 |

Cosa succederebbe se David Eggers, il regista di The Witch e The Lighthouse, dirigesse una sceneggiatura firmata dal fantasma di Gabriel Garcìa Màrquez? La bravissima Irene Solà, autrice catalana già di culto presso i millennial, sembra mostrarcelo in questo incubo a occhi aperti. Un po' menestrello, un po' strega, ci apre le porte di una saga familiare fosca e oscena, i cui personaggi si muovono in un limbo brulicante di insetti. Siamo in una stamberga sui Pirenei. Il casolare del Mas Clavell è paragonato a un corpo in decadenza, le stanze a una bocca guasta. È una proverbiale notte buia e tempestosa e, costretta a letto, la vecchia Bernadeta attende la morte: non è il paradiso che la attende. Veggente, è stata l'amante del Maligno in persona e una degli ultimi membri di una famiglia di donne irredente. Eccole, riunite intorno al capezzale, pronte a trascinare la parente inferma all'inferno. Hanno sgozzato un capretto. E disordinatamente, confondendosi coi vivi, si sono raccontate senza filtri al lettore. Vissute a cavallo tra le due guerre, appartengono a una progenie maledetta: nel loro DNA c'è il gene della mancanza, dell'abbandono.

Perché di mattino una donna ingenua poteva illudersi che la notte fosse finita. Mentre la notte non finiva mai, attendeva di nascosto e faceva sempre ritorno.

Solà ci propone un carosello spettrale di orgogliose peccatrici e, sondando le ombre, ci intrattiene con bambini divorati nella culla, abusi e mattanze, selve popolose di belve e briganti. Per leggerla è vietato essere impressionabili: gli argomenti scabrosi abbondano e poco è lasciato all'immaginazione. Il suo romanzo è una carogna che disgusta, eppure, misteriosamente, attrae. Come volgere lo sguardo altrove? Schiavo del turbamento, ho subito tessuto le lodi di una scrittura ritmica e fortemente suggestiva: sensuale perfino nell'orrore più turpe. Il difetto è che la trama non presenta una vera evoluzione e che, fino all'ultima pagina, aspettiamo soltanto l'ultimo rantolo di Bernadeta. Eccessivamente barocco, prima affascina e poi affatica, con uno stile densissimo e un albero genealogico troppo ramificato per duecento pagine scarse. Si respira un sentore di decomposizione. Ma anche l'odore del soffritto che intanto frigge in padella: cipolla, lardo, cannella. C'è una festa da preparare. Alienate dal mondo, mosse da attrazioni incestuose e fantasie di zoofilia, le donne di casa sghignazzano delle diavolerie dell'epoca contemporanea e nutrono nostalgia per gli eccessi che furono. Sono vittime inermi del Secolo breve o femministe all'avanguardia, in un passato in cui altrimenti non avrebbero avuto voce? Il loro sabbat è un commiato senza speranze in cui le tenebre sono l'unico spettacolo da rimirare; l'unica coperta abbastanza lunga da stringerle tutte insieme ancora una volta.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Thom Yorke – Volk


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