venerdì 9 ottobre 2020

L'importanza di chiamarsi Ryan Murphy: Ratched | The Boys in the Band

Stando a Wikipedia è ai primi posti fra i cattivi più iconici della storia del cinema. Cuffietta inamidata, sguardo luciferino, metodi poco ortodossi. Chi era l’infermiera Ratched, l’indimenticabile aguzzina di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo? A cinquant’anni di distanza dal film capolavoro, l’instancabile Ryan Murphy tenta di spiegarci le origini del male. Lo fa citando – troppo poco la pellicola originale, in verità, e moltissimo gli anni Sessanta –; lo fa inventando alberi genealogici, sottotrame e moventi. La giovane infermiera trova il volto dell’attrice feticcio Sarah Paulson. Non nuova alle collaborazioni con l’autore televisivo né ai racconti del terrore, l’interprete aggiunge alla collezione l’ennesimo ruolo intrigante e perverso. E un’altra grande performance. Austera, elegante e bellissima, la Paulson ci mostra Mildred prima che diventasse Ratched. Infermiera di guerra, nei primi episodi cerca mezzi leciti e illeciti per essere assunta presso un dato istituto psichiatrico: l’ultimo arrivato – il pluriomicida Finn Wittrock – e la caporeparto – Judy Davis, superba – le daranno filo da torcere, mentre l’infido D’Onofrio si prepara a diventare senatore. La serie comincia sotto gli auspici migliori. Gli abiti sono una gioia per gli occhi, la fotografia che vira al verde è un omaggio al miglior Hitchcock, il profilo psicologico della protagonista inquieta. Purtroppo, come puntualmente capita, l’equilibrio ha i minuti contati. L’autore esagera. Con il sangue, con il sesso, con i volti noti, con vicende di contorno sbucate da una soap opera patinatissima. Stufa e annoia, inoltre, inserendo l’immancabile componente amorosa per ammiccare alla comunità gay: non me ne voglia Cynthia Nixon, che come il vino buono invecchia con classe, ma la sua relazione con la Paulson appare stucchevole. Serviva per forza sessualizzare un personaggio tanto misterioso? Serviva, ancora, trasformare una villain in un’anti-eroina piuttosto politicamente corretta? Ratched  è un sapiente falso d’autore. Non ha nulla in comune con il film di Forman, né per toni grotteschi né per contenuti. Ma, tra sigla e comparto tecnico, appare una delle stagioni più godibili degli ultimi anni di American Horror Story: peccato dovesse essere tutt’altro nelle intenzioni. (6,5)

Squadra vincente non si cambia. A Broadway così come su Netflix. Questa volta nelle vesti di semplice produttore esecutivo, Ryan Murphy adatta una celebre pièce con un cast di amici fidatissimi. Già chiamati a interpretare questi ruoli a teatro, già più volte entrati nelle grazie dell’autore, nove assoluti animali da palcoscenico passano sul piccolo schermo nella trasposizione fedele di The Boys in the Band. Già portato al cinema negli anni Settanta dal regista William Friedking, il film – uno di quelli d’interni, e soprattutto d’interpretazioni – mostra le spiacevoli conseguenze di una festa di compleanno. Radunati a casa di un sorprendente Jim Parsons – il più triste, crudele e contraddittorio del gruppo – per festeggiare il luciferino Zachary Quinto, otto amici affiatati sono costretti ad accogliere un ospite dell’ultimo minuto: un compagno d’università in crisi matrimoniale, che non sa nulla dell’orientamento sessuale dei presenti. Lo script, effettivamente un po’ datato e non sempre in equilibrio perfetto, passa in fretta dalla frizzante leggerezza del primo atto alle rivelazioni gravose del secondo. Dopo un acquazzone improvviso, i personaggi si spostano dal terrazzo al salotto. Lì avrà inizio un gioco al massacro, dove qualcuno dirà troppo e qualcun altro troppo poco. Prima della paura dell’Aids, prima della nascita della comunità LGBTQ, gli omosessuali newyorkesi dovevano essere così: il drammaturgo Matt Crowley e il regista Joe Mantello ne fanno un ritratto figlio dei suoi tempi, a tratti sin troppo disincantato e amarognolo. A ben vedere cosa hanno in comune i personaggi, se non il fatto di essere uniti dallo stesso segreto? Accettarsi a vicenda è abbastanza per volersi bene? Ora sguaiato, ora malinconico, ora desolante, The Boys in the Band racconta i cuori infranti, le coppie aperte e l’omertà diffusa con i pregi e i difetti tipici degli adattamenti cinematografici: funzionerà senz’altro maggiormente a teatro. Ma il risultato, un Perfetti sconosciuti diretto da Ozpetek, merita ugualmente l'applauso. (7)

10 commenti:

  1. A me Ratched ha annoiato fin dall'inizio, non oso immaginare se proseguo... :)

    The Boys in the Band peccato per la struttura eccessivamente teatrale. Il crescendo drammatico però è davvero notevole e coinvolgente.
    Lo script oggi sarà datato, ma per l'epoca doveva essere avantissimo.

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    1. Io, invece, vedendo Bly Manor mi trovo a rimpiangere la cura di Ratched. In confronto, la serie horror sembra una puntata del Segreto. Perché, perché?

      A me le strutture teatrali non dispiacciono, onestamente, ma lo script ha la sua età. The Normal Heart, con un cast simile, con un tema simile, era molto più potente.

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  2. Non capisco il senso di un'operazione come Ratched. Nel film funzionava perché era una cattobigotta convinta di fare del bene, farci tutto quel background mi pare davvero inutile...

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    1. E come perdere l'opportunità, nel 2020, di renderla femminista, omosessuale, stilosa e alle dipendenze di un datore di lavoro appartenente a una minoranza etnica, scusa? XD

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    2. React: *allora se mejo te* 🤣😂

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    3. Ahahahahah, rispetta sicuramente i nuovi canoni degli Oscar!

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  3. "Ma, tra sigla e comparto tecnico, appare una delle stagioni più godibili degli ultimi anni di American Horror Story": d'accordissimo con questo, ma anche con tutto il resto. Lei è davvero una diva, costumi, scenografie, fotografia, colonna sonora, omaggi hitchcockiani ecc... li ho graditi molto, ma poi si vira un po' nel disequilibrio (tipico questo bisogna dirlo di Murphy) e si ha la sensazione di guardare, appunto, una nuova stagione di AHS. Fatto sta che, nonostante questo, io l'ho comunque apprezzato notevolmente.

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    1. Io guarderei subito una seconda stagione, sperando però che Murphy non continui a ripetersi. Soprattutto nelle derive trash...

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    2. Già, poi con il cliffhanger finale ci ha un po' fregati tutti.

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    3. Che comunque faceva un po' Halloween. Ci mancava soltanto un serial killer mascherato!

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