mercoledì 14 marzo 2018

Recensione: La casa del padre, di Karen Dionne

La casa del padre, di Karen Dionne. Sperling & Kupfer, € 17,90, pp. 324 |

C'erano una volta un papà, una mamma e la loro bambina. C'era una volta un bosco nella Penisola Superiore, in Michigan. Lì, in una casetta nel fitto impenetrabile degli alberi, nessuno al mondo sapeva di loro. Helena, la piccola di casa, aveva ricevuto per il suo quinto compleanno una bambola di sterpaglie e un coltello affilato. Aveva imparato a sparare ai cervi e agli orsi, a sporcarsi le mani di sangue, fra i lunghi silenzi di una mamma eternamente afflitta e le occhiate orgogliose di un padre ferino, abbronzato, tutt'uno con gli elementi e quella forma necessaria di violenza. Helena ha vissuto in quell'isolamento idilliaco, in quella favola selvaggia, per dodici anni. Dove non esisteva nemmeno il tempo, se non quello meteorologico. I National Geographic di mezzo secolo fa per imparare a leggere e scrivere, una natura ora amica e ora nemica, il pensiero innocente che oltre gli alberi e le montagne non ci fosse altro da conoscere. Poi, un giorno, la fiaba di un'infanzia di luci e ombre giunge a una pagina inaspettata. Un colpo di scena. Quel capofamiglia affascinante e avventuroso – che a volte si rivela sadico e vendicativo, che a volte punisce la bambina chiudendola per giorni in un pozzo buio – in realtà è loro nemico, l'aguzzino di sua madre. Un'adolescente appena quando Jacob la rapì, ne abusò, confinandola nel bel mezzo del nulla. Helena è la figlia di una crudele prigionia, il frutto dello stupro.

I ricordi non si basano sempre sui fatti reali. A volte sono legati ai sentimenti.

Ormai donna, la protagonista ha tradito il suo spirito guida per il vivere borghese. Ha un marito, due bambine, marmellate biologiche per lavoro. Ha imparato le buone maniere, a coprire con un velo di trucco i suoi tatuaggi tribali, a mentire. Ha mandato in galera, soprattutto, il genitore cattivo. Ascolta distrattamente la radio quando annunciano che è evaso, assassinando due guardie con un punteruolo modellato con dentifricio e carta igienica. Il fuggitivo punta al Canada, ma è sempre stato un sentimentale. Helena è sempre stata la gioia dei suoi occhi, finché non gli ha voltato le spalle. Vuole rivederla, vuole punirla, e lei gli va incontro con un fucile carico in spalla e Rambo, un cane da caccia, al trotto. Per fermarlo, nel gioco del gatto col topo imparato un'esistenza prima. Per il bisogno tanto inspiegabile quando disperato di riabbracciarlo ancora.

Quello che fece a mamma è sbagliato, lo so. E il fatto che abbia assassinato due guardie è imperdonabile. Eppure una parte di me – una parte non più grande di un granello di polline su un unico fiore, su un unico stelo d'erba di palude, quella parte che rimarrà per sempre la bambina con le treccine che idolatrava suo papà – è felice che sia libero.

La casa del padre è un thriller cinematografico, muscolare, in marcia. Senza tranelli e senza inganni, articolato fra passato e presente com'è ormai norma, può contare su una sola idea – una riunione di famiglia che assume le fattezze di una sfida all'ultimo sangue –, una manciata di personaggi, piste da seguire aguzzando i cinque sensi. Sebbene ridotte all'osso per forza di cose, serratissime, le trecento pagine di Karen Dionne si reggono davvero bene. Merito di un'eroina dalla doppia vita, dalla doppia natura, cresciuta all'ombra di un padre adorato e ascoltando le leggende dei nativi assieme ai due amici immaginari. Merito di un antagonista che a tratti antagonista non è – viene istintivo ripensare a Viggo Mortensen, l'indomito patriarca hippie di Captain Fantastic –, che ha lanciato un inequivocabile richiamo in direzione della sua unica erede. Se soltanto Jack si fosse affezionato al suo carceriere più che a Brie Larson, sembrerebbe di leggere il seguito di Room. Una riscrittura del Re della palude di Andersen, se la protagonista – imprenditrice di successo sì, ma con una passione singolare per la caccia, la pesca, le trasferte in solitudine – fosse così brava a dividere i lati oscuri dal resto. I toni però sono quelli della narrativa d'azione, che procede in tempo reale e precede qualsiasi premeditazione.

Ero stata la crepa nella sua armatura, il suo tallone d'Achille. Mi aveva allevata modellandomi a sua immagine, ma nel farlo aveva piantato i semi della sua fine. Aveva il controllo su mia madre. Ma non lo aveva mai avuto su di me.

C'è, adesso, una giovane donna sulle tracce del padre assassino. In fuga, di nuovo, da un passato e da un DNA da zittire. Il terreno è accidentato in certi posti, ma non si fa quasi difficoltà. Karen Dionne e la sua protagonista ne assecondano gli avvallamenti, schivano i rami spinosi. Si prendono il loro tempo. Per esplorare. Per starsene riflessive, per conto proprio. Le cartucce non vanno bruciate infatti troppo presto. La natura è grande: copre il rumoreggiare dei pensieri, e le urla. Le scie – di foglie morte, legnetti spezzati, cadaveri innocenti, flashback – conducono alla resa dei conti. 
Per vivere così, forse, finalmente felici e contenti.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Guns N'Roses – Sweet Child O'Mine

8 commenti:

  1. Mi hai battuto sul tempo, uffa, stesso voto, stesse sensazioni, un bel romanzo che si regge benissimo nonostante i pochi personaggi. Il passato schiaccia il presente che è fatto di continui inseguimenti e per assurdo è la parte che ha tolto un po' di ritmo al tutto. Però morboso quanto basta per farmelo piacere.

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    1. Come immaginavo dagli scambi in chat, siamo rimasti fino alla fine della stessa lunghezza d'onda. Aspetto la recensione!

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  2. lo avevo accantonato proprio perché già visto/sentito con nessun mistero da svelare. dalla tua recensione sembra comunque un buon thriller non annoia ed è introspettivo il giusto.

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    1. Tutto quello che hai scritto, tutto quello che sembra.
      E, nei periodi sì, poco non è, no.

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  3. Sembra molto interessante, visto che voglio aumentare i thriller che leggo credo proprio che lo metterò nella lista dei forse :D

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    1. Senza neanche spulciare troppo, onestamente, troverai con facilità qualcosa di meglio, ma ho apprezzato.
      Difficilissimo, per me, far reggere un romanzo che sin dall'inizio gioca a carte scoperte.

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  4. Tra vicenda famigliare, Captain Fantastic e natura, mi sembra una cosa molto fordiana. Pure troppo, per quanto mi riguarda. :)

    L'accostamento con Room lo rende però già più interessante...

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    1. Come film, probabilmente, confermo che sarebbe un action thriller più nelle corde di Ford. Anche se è un Signor Papà, lui. :)

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