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mercoledì 22 maggio 2019

I ♥ Telefilm: Dead to me | Chambers

Si dice che la sincerità sia il fondamento di ogni relazione che si rispetti. Che si parli d'amore o d'amicizia, non importa. I rapporti interpersonali, davanti al non detto, scricchiolano. Senza bugie di mezzo, però, che divertimento ci sarebbe al cospetto di una commedia nera che di amori – bugiardi – e amicizie – insincere – parla? Alle prese con le migliori prove delle loro carriere, sempre in bilico fra ilarità e disperazione, Christina Applegate e Linda Cardellini sono agguerrite per farsi strada durante la stagione dei premi. Hanno personaggi finalmente sfaccettati e il supporto di una sceneggiatura brillante che, nel segno della solidarietà femminile, celebra la rivincita delle mogli nell'ombra e di attrici ridotte troppo a lungo a ruoli di supporto – anche se, nel caso della Cardellini, il 2019 può dirsi un anno davvero fortunato: compagna prima di Viggo Mortensen in Green Book, poi di Jeremy Renner in Avengers: Endgame, ha preso parte ai maggiori successi del botteghino. Una agente immobiliare con due figli a carico, l'altra pittrice stremata per l'ennesimo aborto, si conoscono in un gruppo di supporto dove servono pessimo caffè. Passano presto al vino rosso, alla maggiore confidenza del tu, in una splendida villa con piscina. Ma c'è poco da invidiarle: la Applegate, ossessionata dal senso di colpa, cerca infatti giustizia per il marito falciato da un pirata della strada. Chi guidava a velocità folle un'introvabile auto d'epoca? Perché, soprattutto, un padre di famiglia dovrebbe uscire a correre all'una del mattino? Ritmi esilaranti, dialoghi al vetriolo e toni indovinati sono i trucchi segreti di una novità Netflix che misteriosamente sa come non eccedere né sul versante del grottesco, né su quello delle leggerezza. Tutt'altro che innovativo ma d'alti livelli, Dead to me schiera sin dall'episodio introduttivo colpi di scena a raffica e mezze verità, anche a rischio di andare incontro a un finale più telefonato del resto. La commedia con qualcosa in più eccede, diverte, ma si lascia prendere assolutamente sul serio: il merito spetta all'impegno del cast, che poco ha a che spartire con il trash di Desperate Housewives, e alla premiata accoppiata Ferrell-McKay fra i produttori esecutivi. Non meritava la nostra fiducia, su carta, eppure si classifica in silenzio come la vera sorpresa della prima parte dell'anno: per soffrire meno la fervente attesa di Big Little Lies, così, ecco a voi un rimedio in pillole già pronto all'uso. (7+)

I primi due episodi, diretti dalla mano eccezionale di Alfonso Gomez-Rejon, erano così stilosi da lasciare ben sperare. Con le sue immagini curatissime e tanta attenzione nella descrizione di una comunità indiana ai margini degli Stati Uniti, Chambers univa le visioni di David Lynch alle atmosfere indie del cinema di Andrea Arnold. O così, a torto, sembrava. La storia è quella rivista e corretta di The Eye. In seguito a un trapianto d'urgenza – questa volta di cuore –, un'adolescente irrequieta eredita segreti e lati oscuri della ragazza che, morendo, le ha salvato la vita. L'opportunità le regala presto l'iscrizione a una scuola di lusso e la frequentazione di una famiglia in lutto. Cos'è successo alla sfortunata Becky? Cosa cercano di rivelarle il suo spettro, e il suo cuore? Dieci episodi di un'ora son tanti. Se i primi affascinano, gli altri – con un'antipatica nemesi femminile a metà fra Hannah Baker e Alison DiLaurentis – si trasformano in un monotono teen drama che tradisce il brivido per le schermaglie fra liceali; la possessione demoniaca per un'abusata setta di santoni new age, con una schiera di adepti più o meno sospettabili fra le proprie fila. La serie, con a carico spunti interessanti e ambientazioni originali, è vittima del troppo. Troppi nodi mai sciolti, oltre che troppe puntate. Troppa carne al fuoco. La scarsità di buone idee viene mascherata con la ridondanza, con la confusione. E il finale, aperto in vista di un prosieguo che vedo quanto mai difficile, nega soluzioni, offrendo soltanto stranezze aggiunte. Restano impressi il viso insolito di Sivan Alyra Rose, protagonista esordiente su cui scommetterei i miei soldi; il glamour di una coppia di cinquantenni bellissimi e bravissimi, composta da Tony Goldwyn e Uma Thurman – quest'ultima particolarmente intensa nel ruolo di una mamma inconsapevole, sull'orlo del collasso. A fine visione resta la sensazione delle occasioni perse, simili per frustrazione a un trapianto non andato a buon fine. Di Chambers, infatti, mi è venuto il rigetto strada facendo. E sul petto, nell'agenda delle serie spuntate, spunta una cicatrice a forma di delusione. (5,5)