Nemmeno
un anno fa, parlando del Sacrificio del cervo sacro, mi dicevo
attratto e disgustato dal mondo matto di Yorgos Lanthimos: il greco
da concedersi a piccole dosi, tanto forte era il disturbo nei suoi
lungometraggi, a cui ho sempre riconosciuto un tocco da maestro –
Kubrick e Haneke, tocca scomodarvi – ma intrecci troppo ermetici,
troppo strani, per conquistarmi. È tornato in anticipo con un film che su carta poteva
scoraggiare: mai stato un appassionato di ricostruzioni storiche
tutte intrighi e minuzie, infatti, e i pochi mesi di distanza
trascorsi dall'horror con Colin Farrell e Nicole Kidman acuivano il
rischio d'indigestione. Gli applausi, per fortuna, lo hanno preceduto.
Mi sono giunti all'orecchio prima gli echi degli apprezzamenti a
Venezia, poi la notizia delle dieci nomination agli Oscar. Davanti a
una tale scrittura, a un tale trio, a un tale Lanthimos il pensiero
vien da sé: per favore, diamogli tutti i premi che merita. La regina
della fuoriclasse Olivia Colman, volto del piccolo schermo qui in
attesa della definitiva consacrazione a star, tiene in gabbia
diciassette conigli in memoria dei diciassette figli che ha perso.
Nevrotica e bisognosa, si è attorniata di cuccioli, amanti e serve
in una corte che dev'essere il capolavoro di architetti e scenografi.
Immobilizzata dalla gotta, si trucca come un pagliaccio triste e, sul
finale, una paralisi le renderà il viso rattrappito per metà.
Mentre gli uomini indossano parrucche, importunano le ultime arrivate
per dispetto, lanciano frutta ai buffoni nel ludibrio
generale, le donne fanno. Hanno l'ultima parola nello scontro con i francesi, e la
crudele Weisz vota per l'attacco, l'imprevedibile Stone per
l'armistizio. Hanno parole di solidarietà, perfino di passione,
verso una reggente patetica e abbandonata che si circonda di bellezza
per contrastare il proprio decadimento fisico: la Weisz,
amica di sempre e sempre stupenda, ci prova con modi brutali e
consigli mirati; la Stone, sottovalutato agnellino sacrificale deciso a tornare nobildonna, si svende con moine, attenzioni, baci. Chi avrà la meglio?
Non è questione di onore. Soprattutto, non è questione di bon ton.
Il risultato, strepitoso e straniante, è una catfight che diverte da
morire seppure con i corsetti e le gonne di costumisti
in stato di grazia; di un Lanthimos che piace addirittura più del
solito, grazie a una sceneggiatura affidata a terzi. Il suo tocco
comunque non manca: dall'uso deformante del grandangolo al sesso
promiscuo con cui puntualmente si sollazza, dalle parentesi
grottesche agli attimi toccanti all'improvviso. Il dramma in costume
non è mai stato così maleducato, tanto nudo e crudo: la storia è
liberata dalla sua patina polverosa a suon di pallottole volanti,
scariche di vomito, colpi proibiti sotto la cintola. La guerra non è
mai stata priorità del sesso dominante, bensì un gioco caustico e
lezioso per dame in prova e dame provette. Sorretto da un umorismo
feroce, dalle autentiche eccellenze del cast e da un eleganza
esageratissima, il regista greco rischia di rimanere purtroppo a bocca
asciutta: non ci sono rivali che gli tengano testa, inutile dire il
contrario, ma i pronostici sembrano aver parlato chiaro – qualche
speranza soltanto per la Colman, per il comparto tecnico. Resterà uno dei
colpi di fulmine dell'annata, posso già stabilirlo a febbraio. Resterà
il mio favorito. (8)
Prendete
un regista parte di un duo demenziale, Peter Farrelly, e assolvetelo
grazie a una commedia tanto americana quanto funzionale.
Gli ingredienti segreti, furbi ma altamente vincenti, amalgamati
tutti in una sceneggiatura ammiccante – verso i temi giusti, verso
le simpatie ormai sdoganate dell'Academy – eppure efficace
dall'inizio alla fine, tra le atmosfere calorose del vicino Natale e
la fidata supervisione del produttore Steven Spielberg. Uno splendido Viggo Mortensen, italo-americano con lo
stomaco capiente e il cuore più grande ancora, condisce ogni
conversazione con esilaranti improperi in siciliano stretto
(d'obbligo, pertanto, la visione in lingua originale) e ha un fare
attaccabrighe che spesso torna utile. Autista a tempo
pieno, non ha grandi richieste per i successivi due mesi in viaggio se non tornare in tempo per il cenone. Nel mentre, da
bravo sentimentale, scrive lettere sgrammaticate e dolcissime alla
moglie e fa i conti con la propria natura di immigrato, con gli
sgarbi e i soprusi di un'America doppiamente intollerante. Impara,
così, a onorare l'amicizia con il suo datore di lavoro, un
Mahershala Ali in cerca di un secondo Oscar: seduto sui sedili
posteriori con le gambe accavallate e la coperta sulle ginocchia, il
musicista lo rimbecca all'inizio con falsa antipatia e gli confessa
infine le contraddizioni della propria solitudine. A che serve essere
un virtuoso del pianoforte richiesto in lungo e in largo, infatti, se
non è abbastanza bianco per gli illustri committenti, non abbastanza
nero per la comunità afroamericana, non abbastanza uomo per
sgualcire le giacche d'alta sartoria a suon di pugni? Grazie a una
delle migliori coppie che avremo modo di ammirare al cinema
quest'anno, la visione fila liscia come l'olio senza il rischio di
perdersi strada facendo né di sorprendere. I
confronti, il loro adorabile punzecchiarsi, rende godibilissimo il
viaggio insieme nonostante le due ore di lunghezza. La strada di
quest'ennesima strana coppia è già stata rodata da predecessori
noti e sconosciuti, ma gli autori hanno un asso nella manica accanto
ai ritmi perfetti e al cast indovinato: un manuale tascabile, il
libro verde del titolo per l'appunto, che da un lato contiene dritte
preziose su quali città evitare se sei un nero in trasferta nei
violenti anni Sessanta; dall'altro, al contrario, le svolte da
imboccare per un cinema vecchio stile che punti dritto all'obiettivo.
Farci gioire e commuovere, nello spirito scanzonato delle commedie a
tesi. Delle avventure con una morale nell'ultima riga, finale
stucchevole a parte, forse troppo perfettine per piacere all'unisono,
ma verso cui sembra impossibile muovere critiche sostanziali. È
un film che sta alla controversa presidenza Trump come l'uvetta al panettone. È un film a cui, nel mentre, si vuole bene davvero, per
quanto la benedizione dell'ottima compagnia sia preferibile a un
andirivieni dagli indiscreti scossoni emotivi, ma senza curve a
gomito. (7)
Mi sono proprio gustata le tue recensioni. Due film che devo assolutamente vedere. Un saluto da Lea
RispondiEliminaGrazie mille, Lea!
EliminaGreen Book lo voglio vedere tantissimo, mentre La favorita - nonostante le critiche entusiaste - continua ad ispirarmi meno di zero.
RispondiEliminaAnche se la priorità la darò a Il primo re :D
Ma come, un'appassionata di storia come te?!
EliminaCiao :) ancora non li ho visti, ma sono entrambi nella lista da recuperare assolutamente (chissà se riuscirò entro gli Oscar).
RispondiEliminaManca quasi un mese, ce la farai. 😉
EliminaIl primo mi chiama, lo voglio proprio vedere, anche se immagino non a breve :-D
RispondiEliminaTi piaceranno entrambi, promesso!
EliminaUn po' mi pento di non essere stata conquistata in pieno da La Favorita a Venezia, sarà che in mezzo agli altri film, così in costume, poco si è fatto esaltare, sarà che non era la storia più originale del mondo. Le attrici e il comparto tecnico sono però una garanzia. Non il mio favorito, ma che film!
RispondiEliminaQuanto a Green Book, rimando l'appuntamento a lunedì, le proiezioni in v.o. al mio multisala sembrano diventate la norma, che felicità!
Aspetto le tue impressioni allora, che fortuna le proiezioni in v. o. 😍
EliminaYorgo Comesiscrive è veramente bravo, ma l'oscar per la regia lo vedrà col binocolo (di quelli grandi, da marina).
RispondiEliminaQuesto è l'anno di Cuaron e del suo ROMA (palloso, ma antiTrump).
E Cuarón se lo merita, poco da dire. Tifo spudoratamente per Roma, fossero tutti così i film pallosi.
EliminaLanthimos mi aveva conquistato in passato, ma non questa volta. Purtroppo La favorita non mi ha entusiasmato quanto te. Mi è sembrato troppo addomesticato e classico rispetto al suo solito e le sue stranezze, pur presenti, mi son sembrate buttate lì un po' a caso.
RispondiEliminaNemmeno la mia favorita Emma Stone mi è sembrata troppo in parte...
Partirebbe anche bene, poi si spegne. Green Book al contrario parte con calma, tra molti stereotipi, poi accelera, cresce e li ribalta tutti!
Pensa che per me la Stone, poco nominata nelle recensioni, per me è a sorpresa la più brava. Ma come si dice, de gustibus.
EliminaMi aspettavo, invece, una stroncatura per il buonismo di Green Book: colpo di scena!
Conto di andare a vedere La favorita questa settimana, e pure Green Book lo devo vedere assolutamente prima degli Oscar. Mi mancano solo questi due e Roma, nella lista dei candidati a miglior film, quest'anno sono inaspettatamente in vantaggio rispetto al solito.
RispondiEliminaSpero possano piacere entrambi i film anche a me.
Be', ti manca il meglio!
EliminaHo adorato entrambi i film, secondo me sono tra i migliori visti nella frenetica rincorsa alla completezza pre-Oscar.
RispondiEliminaLa storia di Green Book è deliziosa e rinfrescante, gli attori sono favolosi (Mortensen in primis), mentre La Favorita, con tutto il suo wit ironico, è pesante come un pugno allo stomaco e loro sono semplicemente tre splendide streghe.
"Green Book" mi ispira molto, grazie per la recensione!😊
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