Buona
domenica a voi, amici, con una nuova rubrica che tanto nuova non è. Non mi piaceva, quando capitava di parlarvi
di un film uscito da più di qualche anno, inserirlo negli
stessi post con le novità al cinema o robe sconosciute, viste in rete coi
sottotitoli. All'occorrenza, insomma, il solito Mr. Ciak vi parlerà di “care e vecchie” conoscenze.
Per quando riguarderò cose che già conosco; o per quando, con lo spirito del rigattiere, pescherò dal cilindro (o dall'hard disk) film che mi ero perso. Si spera soprattutto cose belle.
[2009] Colin Firth, vittorioso a Venezia, ambiva alla statuetta per il Miglior Attore. Era il tempo in cui non mi prendevo la briga di fare le ore piccole per dare un'occhiata, prima della cerimonia, alle pellicole in lizza e in cui il radical chic era l'equivalente di un grosso segnale di pericolo. Evitavo certi film, pensando non fossero cosa mia. E non sono tutt'ora cosa mia, ma il melodramma di Tom Ford declinato interamente al maschile, col suo suggestivo sposalizio di autorialità e rigorismo, ha fascino - prima volta al cinema di uno stilista di fama mondiale, indiscusso arbiter elegantiae anche per il profano che fa spesa da H&M. Arriva all'anima, e soprattutto agli occhi, attraverso il canale a senso unico dell'eleganza. La storia di George, professore gay di mezza età nella Los Angeles dei primi anni '60, è quella di un uomo solo. Di un vedovo nel cuore che si trascina tra lavoro e vita privata, sfiorando cupi pensieri suicidi e richiamando, con incubi in bianco e nero, l'inizio e l'epilogo della sua storia d'amore. Si sono voluti bene per sedici anni, nella loro casa di vetro da falsi scapoli. Quando Jim è morto, George non ha raccontato a nessuno, se non alla sua migliore amica, lo strazio immane di quella perdita clandestina. Erano gli anni della Guerra Fredda, dei cartelloni che pubblicizzavano Psycho e degli aspiranti sosia di James Dean, ma ci si preoccupava di dare un senso all'amore. Firth, con il suo classico aplomb britannico e un'incredibile somiglianza col nostro Mastroianni, bravissimo per me lo è sempre, ma qui di più. Completi scuri d'alta sartoria e un film intero cucito addosso, in cui si muove con lo sguardo appannato ora dal pianto, ora dal desiderio, e una pistola carica a portata di mano. Rigido, serio, colto si specchia in una trama che assume per osmosi le sue movenze. A Single Man è così, impeccabile ma trattenuto. Si piange addosso solo in una delle prime sequenze, dopo una chiamata che stronca una vita, ma sarebbe una blasfemia dire che non comunica anche a modo suo, col controllo di chi vorrebbe confessarti la sua perdita, ma non può. E incorniciati ad hoc risultano più avvenenti del solito la meravigliosa Julianne Moore, che ha un ruolo breve ma significativo; il giovane Nicholas Hoult, con gli occhi di un azzurro irreale e i tratti scultorei; Matthew Goode, visto sempre qui e lì, ma mai colto impreparato. Le mascelle volitive, le labbra carnose, bellezza semplice e senza inganno, messe in risalto come in pittura. Il nudo, eroico, mostrato con una virilità davvero poco queer, dunque inattesa. Ford, con una fotografia languida e scene acquose, colpisce per lo splendore formale che va ricercando nei dettagli più minuti, mentre con voce spezzata ti racconta il più crudele e nudo dei dolori. Quello che, spaventosamente universale, è vietato svelare. (7,5)
[2010] Come dimenticare la vittoria del Discorso del re che, qualche anno fa, con parecchio sgomento, aveva sbaragliato una concorrenza di tutto rispetto? Alcuni rosicano ancora. Quella che per pigrizia non avevo seguito con l'hype degli ultimi tempi era stata un'annata fortunata: ricordo che c'erano, sul tappeto rosso, esempi di grande cinema, anche se, qualora qualcuno mi avesse chiesto una preferenza, non avrei nascosto il mio entusiasmo per le ballerine folli di Aronofsky. Immancabile, sul podio, il piccolo film in costume. Quest'anno c'era The Imitation Game; quell'anno il più fortunato dramma di Tom Hooper. Il vincitore che ha preso tutto: ha impugnato lo scettro e indossato la corona del Miglior Film. Il discorso del re è una rigorosa commedia british, vicina ai gusti dello spettatore medio e alle preferenze dell'Academy. Ineccepibile e aristocratica, anche se la vicenda del Duca di York, in tempo di guerra e di abdicazione, sa suscitare qualche risata che non ne intacca la sobrietà. Mi è piaciuto. E' dalla parte del popolo ed è di cuore, alla faccia della pellicola d'autore e di reali che non mostrano bontà in pubblico. Però le nominations erano tante e le quattro vittorie troppe. Resta una deliziosa ricostruzione storica senza un comprimario e un dialogo fuori posto, che ha tutta l'aria del polpettone sulla Grande Guerra e un'inaspettata frivolezza. Déjà vu con il successo inspiegato di Shakespeare In Love. Godibile, confezionato con maestria, ma similmente sopravvalutato. Il dato è tratto, inutile piangere sull'Oscar assegnato e impossibile odiarlo. Gli si vuole bene. Si storce il naso nella parte conclusiva, quando un'altra guerra sta per scoppiare e a palazzo ci si preoccupa più di dizione che di questioni di Stato. Un po' come se fuori la gente chiedesse il pane e dentro il sovrano facesse colazione coi cornetti, come disse qualcun altro. Ma Il discorso del re è un prima, il tempo delle lotte di tutti i giorni e sì, anche dei croissant; termina con un lieto fine, prima che il mostro Hitler – con i suoi soldati e i suoi discorsi alla massa senza balbettii – glielo rovini. Colin Firth, con tutta la sicurezza con cui è possibile essere insicuri, è claudicante nel parlare e fragile in maniera convincente. Sua sposa fedele, una Helena Bonham Carter che quando non fa l'idiota è assai capace. Suo allenatore, amico e psicologo-fai-da-te, un Geoffrey Rush al di sopra dei colleghi: spinge il futuro Giorgio VI a canticchiare e a coniare parolacce per superare l'incertezza e nel suo studio, quello con i muri scrostati e spogli che ricordano la piattezza dei fondali teatrali, la macchina da presa dà il meglio e il mestiere dell'istrione si fa ammirare. (7)
[2009] Un
protagonista che colleziona miglia e teste per un'altra commedia
d'autore che, sempre agli Oscar, con un numero sproporzionato di
candidature, si era fatta notare. Quando i film selezionati non
sembravano dovere durare per forza dieci ore, la giuria era meno snob, i capricci sentimentali del divo brizzolato facevano
sognare le casalinghe. L'era d'oro di Reitman jr. che poco
prima aveva lanciato Ellen Page in una commedia indie che è già cult.
Ora, meno irriverente e pubblicizzato, trova fredda accoglienza
all'estero, ma non ci fa scordare che resta sempre in
gamba. In Tra le nuvole sembra un Cameron Crowe piacevolmente
imbastardito: dirige una commedia romantica, infatti, che parla del
più cinico degli amori. Quello verso sé stessi: il solo a
non darci buca. La regia è convenzionale, ma lui ha una
cifra stilistica inconfondibile che si nota in uno script arguto
e nella semplicità delle intenzioni, elevate grazie a un cast
ottimo e a dialoghi che sono il segreto di tanto
successo. La trama, solita ma con
un retrogusto che turba, segue le vicende di un
cinquantenne che non sta fermo. Vive a cavallo dei fusi orari e per il senso di stordimento da jet lag. Lui è quello che,
in periodo di crisi, ha licenziato una persona che conosci. Quando l'avvento della modernità
minaccia di di renderlo finalmente
sedentario, che sarà della sua
voglia di vivere sospeso in eterno, nel blu dipinto di blu? La
rivelazione Anna Kendrick, squalo in erba, già allora
spiccava per quella simpatia che adesso l'ha resa richiestissima. Vera Farmiga, quarantenne di un altro pianeta, sbocciava piano e in ritardo: Reitman l'ha
aiutata. Insieme a lei – coppia di romantici coi giorni contati, cuori in scadenza – il George Clooney di cinque anni fa, lo scapolo
ambitissimo, con la
maturità che ha trovato da poco. Si sa che i film e le
sceneggiature, se brillanti, accorciano i tempi. E che le
stanze vuote sul lago di Como, se viaggi in solitaria, non si
riempiono come per magia. Lui, che mi sta mortalmente antipatico
nella vita vera, qui dovrebbe fare altrettanto, e avrebbe davvero il
gioco facile, ma il suo vagante Ryan Bingham – sincero come uno mai si aspetterebbe – suscita qualcosa che somiglia all'empatia. A volte, se ti
fermassi a pensare a cosa ti rimarrebbe, a chi ci sarebbe per te, ecco... sarebbe la fine. Hai presente la sensazione? Perciò fa' una valigia e via; parti. Vola
sul mondo. Senti le lancette scorrere, e ignora: rimanda. Sii passeggero della tua vita, come in Iggy Pop. (7)
bel quartetto...anche per me Once ha qualcosa di speciale , sarà anche perché su quelle strade ci sono veramente stato...tra i 4 il meno convincente per me è stato Il discorso del re...cinema fatto su misura per la notte degli Oscar...
RispondiEliminaConcordo, però è indubbiamente un bel vedere, anche se quell'anno c'erano Black Swan e Inception, quindi la vittoria era un tantino scandalosa. Visto così, anni e anni dopo, sicuramente non è male. Però Firth in A Single Man è proprio un altro mondo :)
EliminaIo ammetto di essere tollerante verso il genere, ma Once ha di per sé un certo non so che per farsi accettare senza smorfie da tutti. Sarà che non sono esattamente canzoni da musical... Grazie per la visita ;)
RispondiEliminaTi sei dato al recuperone selvaggio Michè! :D
RispondiEliminaA Single Man davvero bello, mentre gli altri devo ancora vederli.
Il primo che recupererò sarà sicuramente Once.
E sì, a Pasqua e Pasquetta il tempo era schifosissimo.
EliminaDovevo tenermi impegnato ;) Once, per me, ti piacerà!
Il primo e il secondo mi mancano, ma di Once ne stanno parlando tutti bene ora che lo stanno passando in TV. C'è stasera in seconda serata, magari riesco a vederlo.
RispondiEliminaIl discorso del re a me era piaciuto molto e non avrei fatto vincere miglior film al cigno nero nemmeno se fosse stato in gara con tutti i cinepanettoni del mondo ;) ma è una questione di gusto, puramente di gusto! C'erano effettivamente anche altri titoli piuttosto meritevoli..
Sì, io sono solitamente avverso ai film bollati come d'autore, ma Black Swan mi aveva molto colpito. Dovrei rivederlo. Sì, Once l'ho rivisto anch'io in tivù, su Rai Cinque. Con un po' di fortuna, su Iris o Rai Movie (adesso non so dirti, con precisione) potresti trovare anche A Single Man :)
Eliminaottimo, terrò presente!
EliminaSe scopro qualcosa prima io, ti aggiorno, lasciando un commento al post!
Eliminatroppo gentile, intanto io ho apprestato tutto per la registrazione di Once ;)
EliminaHo scoperto il tuo blog. Sarà più facile comunicare :)
EliminaLa faccenda del Discorso del Re, che tutti son contenti che fa il discorso quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale, l'ho rivalutata dopo aver parlato con un'amica di mia nonna, che la guerra la ricorda bene: lei lo trovò perfetto perchè ricordava quanto sentire i discorsi di Giorgio VI li aiutasse a non perdere la speranza, a continuare a resistere, spesso e volentieri senza che capissero una sola parola d'inglese, ma solo grazie al carisma. Lì ho capito perchè esultassero tutti quando riesce a parlare senza balbettare: non era solo una vittoria personale, ma un passo che gli permise di sostenere emotivamente, con la sola voce, ben più dell'Inghilterra.
RispondiEliminaAh, grazie per la precisazione, Kate.
EliminaIl film l'ho trovato assai bellino, recitato a regola d'arte, ma è proprio quello che mi dici tu che è emerso un po' poco. Comunque ho apprezzato, anche se mi è mancata questa chiave di lettura :)
"Tra le nuvole" è l'unico di questi che ho visto (e rivisto). Non saprei dire neppure io perchè, ma mi piace da matti!
RispondiEliminaPurtroppo mi mancava (quando invece Reitman lo adoro proprio), ma è stato un ottimo recupero. Tra quei film che, effettivamente, rivedrei ;)
EliminaA Single Man è l'unico film in cui Colin Firth mi ha convinto.
RispondiEliminaNe Il discorso del re anche no, uno degli Oscar più rubati nella storia degli Oscar...
Decisamente meglio volare Tra le nuvole. :)
Però anche lì le nomination per le due belle coprotagoniste e per la regia (quando invece è convenzionalissima) era un tantino fuori luogo. Per Clooney niente da dire: gigione e bravo, al suo solito ;)
Eliminaonce non l'ho visto ma ce l'ho, e ben presto colmerò la lacuna, complimenti per il blog davvero molto interessante verrò spesso a trovarti, se vuoi venire dalle mie parti ecco il link http://lafabricadeisogni.blogspot.it
RispondiEliminaGrazie, passo subito!
EliminaPs. La tua immagine della Green migliora le giornate :)
3 su quattro visti, manca "il discorso del re" e tre su quattro amati per ragioni differenti. Belle recensioni.
RispondiEliminaGrazie, Beatrix. Da' un'occhiata, se capita, al Discorso del re. Chissà se lo amerai o lo odierai. Per me, la verità sta nel mezzo: è caruccio proprio :)
Eliminail discorso del re mi ha distrutto le palle, classico film che dovrebbe, per legge, durare al massino 80minuti
RispondiEliminamassimo
RispondiEliminaEsagerato :-D
EliminaUn ottimo inizio per questa nuova rubrica, un poker d'assi che approvo appieno!
RispondiEliminaOnce è nel mio mp3 da sempre, che te lo dico a fare, con Tom Ford è stato amore vero a prima vista ma non ho mai voluto riaffrontarlo per paura che l'incanto si spezzasse, con il re sono state lacrime ben indirizzate e Tra le nuvole mi sono trovata malinconicamente molto bene!
Sapevo di trovare la tua approvazione :)
EliminaConcordo con l'amore per il film di Tom Ford, mentre Tra le nuvole è cinico come sa essere Reitman, ma più amaro!
EliminaA me, Alessandra, è piaciuto un bel po' pure il Reitman super romantico di Labor Day, però. Mi piace sempre :)
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