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I due esorcisti, di Ray Russell. TEA, € 14, pp. 206 |
I
venti funesti di Halloween sono passati così come sono arrivati.
Nelle vetrine del cinese all'angolo brillano già le
luminarie natalizie. Tra una cosa e l'altra, questa volta, sono
rimasto un po' indietro: la zucca da buttare con un groppo in gola
nell'umido organico – è stata la prima incisa da me, l'ho chiamata
Belinda –, il mancato biglietto per il reboot di John Carpenter in
sala, la recensione di un romanzo rispolverato in una sera di candele
tremolanti e castagne tenute in caldo. Fino al mese scorso inedito in
Italia, I due esorcisti ha
preceduto di un decennio buono romanzi cult come L'esorcista
e Rosemary's Baby. I
titoli venuti dopo, non facciamone mistero, lo hanno raggiunto e
abbondantemente superato in fretta. Nell'inedito di Ray Russell –
scomparso vent'anni fa e nel mentre diventato autore cult per Stephen
King e Guillermo Del Toro –, c'è tuttavia del pionieristico: molto di lodevole. Un'ironia affilata e un gusto per il satirico, ad esempio, che nei
primi anni Sessanta facevan sì che lo scrittore parlasse e
sparlasse senza peli sulla lingua di ciò che di più sacro esistesse
per l'americano medio: la Chiesa e la famiglia.
Non
potremmo dire che gli attuali psicoanalisti, credendo di curare
scientificamente i loro pazienti, stanno invece praticando in maniera
inconsapevole un moderno esorcismo che scaccia effettivamente e
letteralmente il diavolo dai corpi dei loro pazienti? Danno alla cosa
un altro nome, ricorrono a rituali e termini differenti e si
rifiutano di riconoscere il Diabolus quando lo vedono, certo, ma
questo si spiega semplicemente rifacendosi a Baudelaire. È così che
vuole il demonio. La migliore astuzia del diavolo sta
nel convincerci che non esiste.
Siamo al St. Michael: parrocchia che appare decorosa ma provinciale agli occhi
del nuovo parroco, abituato alle migliori frequentazioni e alle
peggiori calunnie. Padre Sargent, bello e chiacchierato, è approdato
in città perché in fuga da uno scandalo. Peccava infatti di
eccessiva vanità e, di tanto in tanto, alzava un po' troppo il
gomito. O una retrocessione o la scomunica, gli hanno intimato, proponendogli di sostituire un sacerdote destinato ad altre greggi. Forse perché promosso, forse perché in
procinto di scappare da qualcosa di losco: l'influenza di
Susan Garth. La sedicenne, orfana di madre, rifugge la
vista del crocifisso, si spoglia in pubblico attirando sguardi
libidinosi, pecca di cattiva condotta. Le servirebbe uno psichiatra,
ma un padre burbero e omertoso la porta invece in canonica. Da lì i
parrocchiani sentiranno urla e risate indecorose, il frastuono dei
vetri infranti, l'odore dello scandalo. Non sanno che c'è un
logorante esorcismo in corso né che Sargent – la barba sfatta e
tentazioni dappertutto – è affiancato dal Vescovo Crimmings in
persona. All'appello non possono mancare vomito, turpiloquio e
mutilazioni corporee. Ma il rito, per fortuna, questa volta è fatto
più di parole che di brutture. Mentre la mano dell'Altissimo minaccia
all'esterno fulmini e saette con un temporale da apocalisse biblica,
fra le mura sacre si è tutti presi da un assedio di cui sono ignari
i pettegoli e i complottisti della città. Una prova di forza
disputata da sacerdoti di generazioni opposte: il primo scettico e
con gli scritti di Kafka e Baudelaire sul comodino, l'altro dal credo
incrollabile. All'inizio, eppure, scartano l'ipotesi di una
possessione demoniaca. Forse che in fondo non credano nel Diavolo, e
dunque in Dio? Il bene e il male, infatti, sono facce complementari
della stessa medaglia.
L'omicida
e la vittima si guardarono l'un l'altro con una certa comprensione e,
in quel frangente, compresero per la prima volta la più profonda,
terribile ed eterna verità della dannazione: che non distingue tra
colui che commette l'atto colpevole e colui che in cuor suo desidera
sia commesso.
Ben scritto ma sconsigliato a chi in
cerca di brividi facili, I due esorcisti doveva risultare
senz'altro provocatorio per l'epoca: i vizi privati del clero messi
alla berlina, la denuncia della violenza fra le mura domestiche, le
prime controversie sessuali e nessuna risposta consolante racchiusa
nell'epilogo. Le pagine son poche, la suspance abbonda. Merito dei
salti equilibrati da un personaggio all'altro e di un'inattesa
dimensione corale. Dei capitoli lapidari e accattivanti, conditi da
dialoghi fiume e tracce di psicoanalisi. Di una struttura variabile
che, alla maniera degli autori moderni, vive sospesa fra psicologia
ed esoterismo, questo mondo e l'altro. Quanto è sottile la linea che
li separa, tocca chiedersi, se l'autore chiude il romanzo con un
inquietante aneddoto biografico? Il ronzare di quattro mosconi
sbucati dal nulla gli diede il tormento, pare, proprio nella
stesura del capitolo clou: un frullare di ali, uno sfregare di
zampette che lasciano suggestionati al pensiero di questo presunto
sabotaggio. Ben più della lettura di un horror che paura non me ne ha fatta, no, ma in compenso mi ha
regalato un'importante lezione di filosofia morale sulla
fede, il libero arbitrio, la natura spinosa del peccato.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Depeche Mode – Black Celebration
Ne ho sentito parlare, a sorpresa, su youtube e mi ero vagamente interessata. Ora sono decisa a prenderlo :)
RispondiEliminaNon il must che qualcuno ha dipinto (insomma, non l'hanno tradotto per cinquant'anni, cosa che non succede mica ai capolavori), però interessantissimo. ;)
EliminaCi sono aspetti che mi incuriosiscono, altri un po' meno.
RispondiEliminaDevo pensarci su.
Può tranquillamente stare in stand by al momento...
EliminaDevo assolutamente procurarmelo!
RispondiEliminaNulla di imprescindibile, ma interessante.
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